Il momento prima di una diretta video, sia essa televisiva o via Zoom, ha sempre un certo fascino. C’è chi si sistema il vestito o la giacca, c’è chi si schiarisce la voce e nel frattempo chiede consigli a qualcuno dietro la camera, c’è chi manda whatsApp o telefona e chi - come nel caso di Margaret Atwood - si rilassa bevendo una tazza di tè fumante. La mug bianca compare per qualche secondo prima che inizi a parlare con noi, una diretta Canada-Italia, Toronto-Roma, lì giorno, qui notte. Ogni volta che l’abbiamo incontrata dal vivo, a Milano come a Pordenone o a Londra, non ha mai indossato alcuna maschera: la Atwood è così come è, una donna con idee ben precise – apertamente dichiarate e urlate, a voce come su carta - che quando ti parla ti fa dimenticare di essere una delle voci più importanti della narrativa e della poesia canadese, vincitrice due volte del Booker Prize e di molti altri premi e riconoscimenti. Lo fa anche nel quotidiano, come testimoniano anche le foto sul suo profilo ufficiale di Instagram dove in una sta tenendo una conferenza, in un’altra presenta un libro, ma in quella successiva fa il pane, si batte per salvare un quotidiano locale o il pianeta e in un’altra ancora indossa una t-shirt rosa che le ha regalato la sorella per il suo 81esimo compleanno con la scritta “Understimate-me that’ll be fun”: “Sottovalutarmi sarà divertente”. Che è poi quello che cerca di fare ogni volta con l’ironia che la caratterizza, riuscendoci appieno.

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Courtesy Instagram

Come una strega buona e curiosa (in questo è aiutata anche dai suoi abiti e cappelli sempre particolari), scruta il suo interlocutore con attenzione e se capisce che lo interessa, si apre ancora di più trattandolo come se lo conoscesse da sempre, senza alcuna finzione. “Sono stata educata così: ad ascoltare e a rispettare chi ho davanti, non importa chi”, ci disse anni fa durante un’indimenticabile passeggiata fatta insieme nell’enorme giardino della Santa Maddalena Foundation, ritrovo speciale per scrittori e botanici a Reggello, poco distante da Firenze. All’epoca c’era anche Andrew Sean Greer (che della fondazione ne era il presidente e che poche settimane dopo avrebbe vinto il Pulitzer) ma soprattutto c’era suo marito, lo scrittore canadese Graeme Gibson, scomparso lo scorso anno proprio mentre lei stava per iniziare in Inghilterra il tour internazionale di I testamenti, sequel del bestseller Il racconto dell’ancella, un libro oramai cult pubblicato come gli altri da Ponte alle Grazie, grazie anche al successo planetario che ha avuto l’omonima serie tv. “Mr & Mrs Atwood” si amavano moltissimo e bastava soffermarsi ad osservarli per qualche secondo quando erano insieme: amici, complici e amanti di una quotidianità di cui si facevano protagonisti tra battute, risate, silenzi più o meno lunghi, passeggiate e, ovviamente, molte tazze di tè. Proprio come quella che sorseggia davanti a noi, facendoci così entrare a casa sua, in uno studio dove spicca una grande libreria sullo sfondo. All’epoca come adesso, anche se in maniera differente, c’era e c’è un periodo di difficoltà, ma l’importante, dice lei e non soltanto lei, è cercare di andare avanti e non arrendersi. “Durante il primo lockdown e in questo, sto continuando a fare quello che ho sempre fatto”, ci dice. “Sono una scrittrice e pertanto, quando non viaggio, sono a casa a leggere, a studiare, a scrivere, a parlare con persone come adesso”. “Se uno ha la batteria scarica – aggiunge – può fare due cose: camminare oppure andare a dormire. In questo secondo caso, la mente, anche se non lo percepiamo, continua a lavorare per noi, ma almeno i problemi restano al di fuori. Quando ti svegli, si possono cercare delle risposte, altre volte no, ma questo va bene lo stesso,

perché nella vita di ognuno di noi è importante che ci siano anche delle incertezze”.

Scrittrice pluripremiata e visionaria, la Atwood è capace di intuizioni spesso quasi profetiche e da grande appassionata e studiosa dei tarocchi, in questo incontro organizzato dal Museo Maxxi di Roma e dall’Ambasciata Canadese, ci ricorda che l’arcano XVIII è dedicato alla Luna ed indica un periodo di incertezza. “La luna è scostante e può darti illusioni, ma essendo un arcano non è negativo né positivo, spiega, ma un qualcosa che presenta le difficoltà o le facilitazioni che si possono avere in determinati periodi della vita”. La luna ci parla dunque di tutti quegli interventi che stanno dietro i fatti e alle situazioni e che alle volte incidono in maniera anche più potente di quello che vediamo immediatamente. “Quando esce in una stesa di tarocchi, ricorda, bisogna guardare oltre alle apparenze per arrivare a comprendere cosa fare”, che poi dovrebbe essere sempre una regola di vita. “La luna indica che quello che non si vede è forse più importante di quello che pensiamo di avere sotto gli occhi”. È collegata “all’energia femminile e all’intuizione”, ricorda la scrittrice, ma anche ai ritmi biologici dell’acqua, alle maree, ai cicli femminili e al passaggio dalla vita alla morte. Riflette la luce del sole e ci porta in una notte in cui, quando c’è, illumina il tutto, ma non bisogna dimenticare che il suo “è anche il mondo dei sogni, dell’immaginario e dell’inconscio”. Mostra solo una sua faccia mentre l’altra parte resta invisibile, “ma è sicuramente quella la più importante, perché simboleggia tutto ciò che è nascosto, a cominciare dal mistero dell’anima”. “Come la luna sei variabile nel tuo stato”, cantano i Carmina Burana in “O Fortuna”, ricorda la Atwood che ama molto i loro testi poetici capaci di far vivere, in chi li canta come in chi li ascolta, un’esperienza a dir poco mistica.

È un paesaggio intimo e lunare anche quello che lei descrive in Esercizi di potere, una piccola ma preziosa raccolta di poesie che scrisse nel 1971, oggi pubblicate anche in Italia dalla casa editrice nottetempo nella traduzione di Silvia Bre.

“Ti amo a scomparti e quando funzioni”,

scrive in una di queste, e quella frase la facciamo subito nostra. Una voce, la sua, che si mostra fedele, onesta e slegata dal tempo in cui l’interiorità e la storia sono tutte condensate nell’incontro/scontro tra uomo e donna, tra persone che da sole si bastano, ma che insieme possono completarsi aiutandosi reciprocamente. In un’altra poesia scrive: “Mi accosto a questo amore come una biologa, infilandomi guanti e camice bianco” e nel leggerla non possiamo non pensare che in realtà la Atwood è prima di tutto una biologa, un’ambientalista prima di ogni Greta (ha iniziato a esserlo negli anni’70), una grande sostenitrice della difesa dell’ambiente, “perché lo stesso ci garantisce le tre cose fondamentali di cui abbiamo bisogno: l’aria, l’acqua e il cibo”. “Ambientalista sì e femminista, ma – precisa prima di salutarci - non dipendo né dagli artisti né dagli scienziati. È importante avere un giusto leader politico che può ricevere consigli proprio da loro, ma che poi deve saper fare la propria strada”, e nel dirlo aggiunge anche che è molto felice che Trump sia stato sconfitto. “Abbiamo bisogno del pensiero creativo”, aggiunge, e l’arte più che mai può aiutarci a ritrovare le strade verso un futuro in cui luci e ombre possono coesistere e prosperare l’una con l’altra. “Oggi tutti gli artisti fanno riferimento a internet e non solo loro. Non possiamo farne a meno, ci ha migliorati, ma negli anni è cambiato molto il suo utilizzo ed è tutto un pullulare di porno, fake news e dichiarazioni politiche, quindi ben diverso da quando fu inventato, ma bisogna considerare anche il fatto che quando si inventa qualcosa di nuovo che diventa più grande di noi, si rischia di perdere il controllo e si possono fare errori. La storia ce lo insegna. Si pensi alla scoperta del fuoco fatta dagli uomini primitivi: se non si sta attenti, la fiamma può scottarti. Vale ancora oggi, quindi, prestiamo la massima attenzione in ogni cosa che facciamo”.

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