Il 4 gennaio su Amazon Prime Video esce un horror psicologico in grado di convincere anche chi non ama il genere. Il film è La Stanza di Stefano Lodovichi ed è da vedere: teatrale nella sua ambientazione casalinga (e lo sappiamo quanto le case siano state rifugio e gabbia, in quest'ultimo anno), cast minimal di alto livello, molti silenzi e inquietudine a pioggia, metaforica e reale. Da unica donna protagonista, Camilla Filippi è la vera chiave di accesso a tutte le letture del film. Niente spoiler, solo un consiglio: concentrarsi sul suo personaggio, Stella, fa comprendere i livelli di narrazione del film. Il corpo e l'inconscio, l'immaginazione e il difetto, la dipendenza emotiva e la liberazione umana: l'attrice e scrittrice bresciana dipana le contrapposizioni con una passione che le riempie la voce.

Stella è una madre fragile, sola, impaurita e senza difese, abbandonata a se stessa. Come hai affrontato le pieghe di questo personaggio?
Stella per me è molto fragile in generale, ma questa dipendenza che ha nei confronti del marito, una vera tossicodipendenza, le fa uscire anche la violenza: infatti quando lo vede poi lo mena. È assurdo quanto la fragilità possa sfociare in violenza. Fatta questa premessa, mi sono preparata con un lavoro di analisi di tutte le scene, per cercare una fragilità incoerente. Stella durante il film vive uno squilibrio, tutto il percorso non doveva essere perfettamente lineare. Ho cercato lo squilibrio e ho attinto ad un dolore che ho dentro, ai miei traumi, proposti in un'altra chiave perché il dolore che uscisse fosse reale. Dico sempre che mi sono pianta tutte le lacrime del mondo (ride).

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Hai lavorato anche sulle paure? C'è un ampio dibattito sulla difficoltà della maternità, siamo paradossalmente abituati a vedere madri fragili e madri supereroine della fragilità. Tu come ti poni in questo dibattito?
Sono tutt'altro che una madre supereroina. Cerco di fare del mio meglio, e cercare di fare del proprio meglio significa anche sbagliare parecchio. L'unica cosa che penso mi salvi, è chiedere scusa. Lo spiego ai miei figli: i genitori non sono dei supereroi, ma degli esseri umani che purtroppo hanno delle fragilità. E penso che l'onestà sia la cosa migliore: è sbagliato far credere di essere perfetti, la perfezione non esiste. Se insegnassi ai miei figli la perfezione, li spingerei a una vita alla ricerca di qualcosa che non si può avere. Bisogna spingerli a fare del loro meglio.

Ne La Stanza c'è un grande uso del corpo. Silenzi, movimenti, cicatrici. Il tuo corpo, il corpo di Stella, è molto in evidenza e riempie lo spazio in continuazione: come hai lavorato per dare corporeità a certe sensazioni?
Un tema centrale de La Stanza è l'acqua. Stefano Lodovichi ha citato Dracula nelle note di regia: la casa è in legno, scricchiola, sembra una barca, fuori c'è una tempesta con l'acqua che arriva in continuazione. E anche il mio personaggio si ispira all'acqua, in un certo senso: hanno scelto di farmi capelli molto chiari e ho perso del peso perché uscissero di più le ossa, poi sono molto bianca di carnagione di mio... È stato un lavoro in quella direzione, sul rendermi quasi trasparente. Ma non ti dico le botte, nonostante gli stunt e tutto: i lividi si vedevano, mamma mia! Abbiamo girato il film in 17 giorni, e dopo averlo visto la prima volta ho capito che non saremmo riusciti a girarlo per 20. Tra le lacrime, la tensione, a un certo punto è venuto l'osteopata sul set perché ero contratta, i muscoli di collo e spalle si erano chiusi e mi ero bloccata, non riuscivo nemmeno a girare il collo... Dopo una scena con Guido Caprino (suo collega sul set ndr) che è un metro e novanta, il giorno dopo sentivo un dolore fortissimo sotto la mandibola e avevo i lividi pure lì. Me lo sono portata addosso, il film (ride).

Giochiamo di immaginazione onirico-psicologica, come nel film: cosa dici alla Camilla Filippi tra cinque anni?
Mi raccomando di continuare a credere in me stessa. Ti viene sempre da scricchiolare e da cedere. Invece bisogna credere.