Quanto è bello passeggiare o leggere un libro in un cimitero francese o inglese, meglio ancora se di campagna. Luoghi dedicati ai morti, questo è vero, ma pieni di gesti propri di una quotidianità di persone che della vita continuano ad esserne i testimoni e che lì hanno i loro cari a cui pensano distraendosi, andando avanti. “Il vero problema – ci disse anni fa Maylis de Kerangal – è di chi resta, non di chi va via per sempre”. “Chi si prenderà cura di loro? Qualcuno ci pensa?”, aggiunse subito dopo lei che, non a caso, aveva intitolato il suo bestseller Riparare i viventi (Feltrinelli, 2015). In uno di quei cimiteri la fotografa, sceneggiatrice e scrittrice Valérie Perrin ha deciso di ambientarvi il suo secondo romanzo, Cambiare l’acqua ai fiori (edizioni e/o, traduzione di Alberto Bracci Testasecca) che in questi ultimi mesi, soprattutto durante il lockdown, è diventato un vero e proprio caso editoriale nella sua Francia, in Italia e non solo. “È davvero un miracolo”, ci dice quando la sentiamo a telefono, noi a Capri, lei a Roma, ospite della prima edizione del Festival Insieme, il festival dei Lettori, Autori ed Editori all'Auditorium Parco della Musica e al Colosseo conclusosi pochi giorni fa con oltre 30mila presenze nel massimo rispetto delle norme anti-Covid. “Mio nonno era italiano - aggiunge con una voce calda dal tono deciso - quindi il fatto che il libro sia piaciuto e stia continuando a piacere così tanto anche da voi, mi inorgoglisce ancora di più. Voi italiani mi meravigliate sempre per la vostra cultura, per il vostro saper stare bene a più livelli e in più campi, per l’amore che avete per il bello e perché sapete stare al mondo”.

Il suo è un libro che va oltre le apparenze ed è stato anche questo a conquistare migliaia di lettori, tutti stregati dalla benevolenza della sua protagonista, Violette Toussaint, una donna che si preoccupa di riparare i viventi senza mai dimenticare i morti, la guardiana di un cimitero di una cittadina della Borgogna che diventa così il simbolo di un universale che attrae e conquista. “È la somma di più donne - ci spiega la Perrin, già autrice di Il quaderno dell’amore perduto (edizioni Nord) – è una persona come tante, una di quelle che se la incontrassimo per strada non ci colpirebbe affatto. Potrebbe avere poco più di quarant’anni, i capelli bruni avvolti da uno chignon e sicuramente un volto molto bello, direi dolce”. “Non sono i luoghi a renderci felici - aggiunge - ma le persone con le quali condividiamo i momenti importanti. Un raggio di luce può esserci sia in una residenza per anziani, dove ho ambientato il mio primo libro, come in un cimitero. È un luogo molto triste, non c’è alcun dubbio, ma quell’aspetto può essere compensato da straordinarie dediche d’amore sulle lapidi”, spiega lei che si divide tra Parigi, la Borgogna (è nata a Gueugnon) e la Normandia dove vive a circa due chilometri da un cimitero nel quale sono sepolti i suoi suoceri. “È proprio lì, un giorno, che ho pensato: e se scrivessi la storia di qualcuno che si occupa di un cimitero? È stata una vera illuminazione”.

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© Valentin Lauvergne

“C’è qualcosa più forte della morte, ed è la presenza degli assenti nella memoria dei vivi”, è l’epitaffio preferito di Violette che prima lavorava in un passaggio a livello con suo marito, di cui si sono perse le tracce. Nella sua nuova vita in quel piccolo cimitero continua ad avere una parola gentile per tutti, è sempre pronta ad offrire un caffè caldo o un cordiale, se nota un sepolcro abbandonato se ne prende cura. Tiene poi un registro in cui annota di tutto: chi è morto, chi era presente alle esequie, quali sono state le lapidi e gli epitaffi apposti sulla tomba. “Violette è una donna che assomiglia a tutti, è tutti”, precisa l’autrice, tanto che molte donne si rivedono in lei. Nonostante tutto quello che i media vogliono farci credere, l’uomo in fondo è buono, proprio come Violette che rappresenta la memoria di coloro che sono scomparsi”. I morti sono i suoi “vicini”, come li definisce nel libro, dei vicini “che non hanno preoccupazioni, che non si innamorano, che non si mangiano le unghie, che non credono al caso, non fanno promesse, non hanno l’assistenza sanitaria, non pagano le tasse, non cercano le chiavi né gli occhiali né il telecomando né i figli né la felicità”. Violette ama far star bene le persone e aiutare anche sconosciuti, come un poliziotto di Marsiglia che le si presenta davanti con una strana richiesta di sua madre che vuole essere sepolta in quel lontano paesino nella tomba di un signore del posto facendo così prendere alla storia una nuova piega gialla. “È una caratteristica dei miei romanzi, mi piace costruire le storie d'amore, ma come se fossero un poliziesco. L’ho fatto anche nel mio nuovo romanzo il cui titolo sarà Trois che dovrebbe uscire in Francia la prossima primavera. È la storia di tre amici d'infanzia, due maschi e una femmina, che all'inizio sono inseparabili, ma poi, non si capisce perché, non si parlano più”.

Nelle prossime settimane, però, la Perrin si dedicherà – come ci dice - alla scrittura della sceneggiatura del libro Cambiare l’acqua ai fiori che non sarà diretto da suo marito, il regista Claude Lelouch, “anche se – precisa – lui mi rimarrà accanto per darmi dei consigli così come faccio io con i suoi film. Sono la sua prima lettrice e gli dico sempre cosa ne penso”. “Ci siamo conosciuti quattordici anni fa a Deauville per caso – continua - perché all’ultimo momento decisi di accompagnare una mia amica giornalista che doveva seguire un evento in suo onore, in occasione del quarantesimo anniversario di Un uomo, una donna. Gli scrissi una lettera in cui gli facevo i complimenti, lui mi telefonò, mi chiese di conoscerci ed incontrarci e da allora non ci siamo più lasciati. L’amore – quando è vero - salva, aiuta, completa”. Quello di suo marito e dei suoi figli è fondamentale e lo è stato ancora di più durante il lockdown. “A Parigi adesso stiamo vivendo la seconda fase, spero che passi di nuovo presto. Ho troppa voglia di ritornare al cinema, di ascoltare un buon concerto, di rivedere gli amici con tranquillità e di abbracciarli e di bere con loro del buon vino ghiacciato. Italiano, ovviamente”.

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