"Non sei obbligata da nessuno, fallo finché ti rende felice!". Forse è stato proprio grazie a questa frase-mantra che Valentina Diouf, opposto azzurro classe 1993, ha capito da giovanissima che la pallavolo era la sua strada. Nonostante la sua altezza (due metri e due centimetri), la sua conseguente difficoltà a livello coordinativo, un infortunio alla caviglia all'età di dieci anni l'atleta, nata da madre italiana e padre senegalese e con un glorioso passato nel Volley Bergamo e nel Busto Arsizio, la felicità sembra proprio averla trovata sottorete. Dopo essersi trasferita in Brasile per il campionato 2018/2019 poi in Corea, dove è tuttora, per giocare nel KGC Ginseng, Valentina, atleta Nike e testimonial Laureus, non si tira mai indietro quando c'è da sostenere un nuovo progetto che unisce sport e inclusione. "Se le ragazze credessero maggiormente nelle proprie capacità e nella possibilità di essere leader il miglioramento sarebbe inevitabile. Potrebbero migliorare le loro comunità e sentirsi, di conseguenza, più sicure in tutti gli aspetti della loro vita. La metafora dello sport si è spesso rivelata utile per la sensibilizzazione di massa. Gli allenatori sono spesso i leader del cambiamento che sta dietro al successo di una squadra". Ed è proprio con l’intento di aiutare le giovani donne a credere in se stesse e nelle proprie capacità di essere changemaker che Nike e Laureus hanno creato Made To Play, un programma che coinvolgerà tre organizzazioni sportive e quasi 200 bambini delle scuole elementari della periferia milanese. Abbiamo contattato Valentina per parlare di questo programma, che lei e altri atleti Nike stanno supportando, della sua storia sportiva e le abbiamo chiesto di dare qualche consiglio alle giovani donne che si stanno avvicinando alla pallavolo o ad altri sport.

Quando hai iniziato a giocare a pallavolo e quando hai capito che era il tuo sport?
Ho iniziato molto piccola, avevo sei anni e praticavo già nuoto. Non è stato semplice perché crescevo in fretta, quindi a livello coordinativo avevo delle difficoltà. Ho sempre avuto una grande passione e questo mi ha permesso di non mollare di fronte ai primi ostacoli. Durante l'adolescenza, intorno ai 14 anni, ho capito che il futuro nel volley poteva essere concreto e di conseguenza ho deciso di scommettere su me stessa trasferendomi da Milano a Roma.

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Cosa ti ha spinto a non mollare negli anni dell'adolescenza quando gli stimoli esterni spesso prendono il sopravvento?
In realtà una volta, quando avevo 10-11 anni, dopo un infortunio alla caviglia ho smesso di giocare per quasi un anno. Avevo interpretato quell'infortunio come un segno che qualcosa non stava funzionando, mi venivano fatte molte pressioni perché non miglioravo molto dal momento che il mio corpo cambiava velocemente: crescevo anche sette centimetri in un mese! Non riuscivo a stabilizzare la muscolatura e, come dicevo poco fa, la coordinazione motoria. Dopodiché ho deciso di iniziare di nuovo nella società vicino a casa con meno pressioni e più voglia di divertirsi. In fondo avevo solo 10 anni!

Sei ambasciatrice di Laureus Italia. In che modo stai supportando questa onlus? E come parteciperai al progetto Made to Play nato in collaborazione con Nike?
Sono ormai anni che sostengo Laureus Italia. Partecipo alle loro attività con grande entusiasmo e sono molto contenta che ci sia una onlus che opera proprio nel territorio dove vivo c0sì da potere toccare con mano i loro sacrifici e i loro successi. Quando mi è stata offerta la possibilità di presentare il progetto Made to Play di Nike mi sono subito emozionata. Finalmente si parla di ragazze, bambine, future donne! In sostanza questo progetto investe sulla famosa "parità di genere" perché ha come obiettivo quello di insegnare alle donne del domani cosa significa essere delle leader, essere le fautrici del cambiamento. Tutto ciò attraverso lo sport.

Qual è stata l'emozione/soddisfazione più grande che hai avuto in veste di ambasciatrice di Laureus?
Una delle emozioni più grandi che ho vissuto da ambasciatrice Laureus è stata la presenza dell'evento Charity Night. Vedere come le persone si sentono coinvolte nei progetti di Laureus e decidono poi di sostenere questa fantastica onlus mi dà speranza.

Sport maschili e sport femminili: che passi abbiamo fatto negli ultimi 20 anni e cosa ci riserva il futuro secondo te?
Negli sport femminili senza ombra di dubbio la fisicità, che era un prerogativa degli sport maschili, è diventata un punto di forza in tutti i settori. Inoltre dal punto di vista del marketing è stato investito molto negli ultimi 20 anni rendendo più appetibile alle nuove generazioni la pratica dello sport, a parer mio fondamentale durante la crescita psico-fisica.

Che caratteristiche deve, o non deve avere, una buona schiacciatrice?
Una buona prestanza fisica, una mente fredda e soprattutto l'intelligenza di sapere come gestire e allenare il proprio corpo.

valentina diouf per nike e laureuspinterest
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Hai giocato in Brasile e ora stai giocando in Corea. Come vivono le ragazze brasiliane e quelle coreane lo sport rispetto all'Italia?
In Brasile lo sport è senza ombra di dubbio l'"occasione della vita". Purtroppo c'è molta povertà e quindi la carriera sportiva è una delle alternative più allettanti. In Brasile impari a dare valore a tutto quello che hai. In Corea è molto diverso, qui impari il rigore, gli atleti fino dall'età di otto anni dedicano la loro intera vita al raggiungimento dell'obiettivo, cioè diventare atleti professionisti.

Che consigli daresti alle giovani ragazze che si avvicinano al tuo sport?
Non lasciatevi scoraggiare di fronte ai fronte ai primi ostacoli. La pallavolo è uno sport dove la tecnica è ancora molto importante, quindi investite su voi stesse.

Sei riuscita a coltivare altre passioni accanto al volley?
Ho sempre sentito la necessità di avere qualcosa oltre al volley quindi ho sempre coltivato le mie passioni. Amo leggere, leggo dai sette ai dieci libri al mese. Adoro la pittura e dipingere. Mi piacciono anche l'arte e la musica. In questo periodo sto imparando a suonare il basso.

Ci racconti una tua giornata tipo?
Mi alzo intorno alle otto. Verso le nove mi presento in palestra e dopo mezzora inizio l'allenamento. Alle 12 rientro a casa, pranzo e mi risposo. Alle 15 torno in palestra dove faccio due ore e mezza di allenamento con la palla. Terminato l'allenamento faccio terapia e poi sono libera.

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La partita che ti è rimasta nel cuore e perché.
Son molte, ma forse quella che mi è rimasta veramente nel cuore è la finale del campionato paulista in Brasile, è stata una bella chicca. Venivo da un periodo difficile e vincere un campionato così prestigioso in una pese straniero mi ha riempito di gioia.

Un anno fa abbiamo intervistato una tua collega, Margareta Kozuch, pluripremiata pallavolista polacca che sfrutta la sua visibilità per sensibilizzare il pubblico circa la sostenibilità. Qual è la tua mission?
Ho sempre messo la mia faccia e speso molte parole nelle campagne anti razzismo e anti odio in generale. Cerco sempre di fare arrivare il messaggio che la diversità è meravigliosa e non bisogna essere intimoriti dal diverso, ma incuriositi.

Hai un idolo cui ti sei ispirata e/o ti ispiri tuttora?
Cerco di ispirarmi a tante a persone che incontro sul mio cammino. C'è da imparare da tutti.

Motto, parole o gesti scaramantici?
Una frase, che ho tatuato, è joie de vivre, gioia di vivere. La vita è una sola, cerchiamo di godercela e di non fossilizzarci su negatività inutili.