C’è un universo parallelo nel quale, negli ultimi quattro anni, gli americani hanno avuto una femmina per Presidente. Se siete abbastanza vecchie da esservi tagliate i capelli corti negli anni Novanta, a questo punto starete pensando a Sliding Doors, e chiedendovi quale sia la porta scorrevole in cui infilarvi per vivere in questa realtà alternativa in cui ci siamo risparmiate Trump. Non struggetevi troppo, non è colpa della porta sbagliata: è che è un universo di fantasia. L’ha creato Curtis Sittenfeld, già autrice dodici anni fa di American Wife, romanzo su Laura Bush. Quest’anno si è inventata Rodham, ovvero: come sarebbe stata la vita di Hillary (e quella, se non nostra, almeno degli americani) se non avesse sposato Bill? Intanto, sarebbe stata diversa la vita di Bill: senza di lei, non diventa Presidente, solo uno sciupafemmine che macina quattrini nella Silicon Valley; ma prova a candidarsi contro di lei, il tapino, alle primarie del 2016. Quando, dice Sittenfeld, era tutto diverso. Già il fatto che quest’anno ci fossero varie donne tra cui scegliere è un progresso. Una normalizzazione. Un passo verso lo smettere di stupirsi per una donna candidata. Mi torna in mente un passaggio di Rodham in cui una collaboratrice di Hillary le chiede se abbia mai visto qualcuno con la faccia tatuata. "Mettila così: tu sei in tv a parlare della riforma sanitaria, e gli spettatori a stento riescono a seguire perché sono concentrati a pensare 'Perché si è tatuata la faccia?'. Ecco quanto vengono straniti, gli elettori, da una donna candidata alla presidenza".

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Courtesy Random House New York
La copertina di Rodham, di Curtis Sittenfeld (Random House New York).

Sittenfeld è pazza di Kamala Harris - come si fa a non esserlo: è efficace, carismatica, bella; praticamente è Barack Obama ma col filo di perle - eppure Kamala è la candidata vice: come se le grandi donne dovessero ancora stare un passo dietro agli uomini. E questo è il punto in cui di solito ci si chiede: l’America è pronta per una donna alla Casa Bianca? Rodham è uscito in America a maggio: Sittenfeld ha passato la stagione delle primarie a sentirsi fare la domanda. «Odiavo quando mi chiedevano se Elizabeth Warren avesse davvero la possibilità d’essere eletta, e odio che lo chiedano di Harris. Lo chiedono in maniera molto disinvolta, non credo si rendano conto di quanto sia una domanda sessista. È come chiedere a un’adolescente “varrà la pena amarti?”: quello che stai implicando è forse sì, magari no; è una domanda crudele». (Sittenfeld fa un elenco delle qualità di Harris molto interessante, a cominciare dal fatto che è una figura a portata d’ammirazione, non d’identificazione; e, quando dice «Ha una voce bellissima», lo fa premettendo «Spero non sia sessista dirlo». Mi viene il sospetto che il sessismo sarà finito quando potremo fare qualunque tipo d’apprezzamento senza farci venire la paranoia che sia sessista).

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Francesca Donzuso
Hillary Clinton in un artwork di Francesca Donzuso.

C’è una scena in Rodham (ancora senza editore italiano: qualcuno si sbrighi a tradurlo) in cui Hillary sente alla tv una cantante di successo dire che quando sei in cima sei sempre da sola. Mi viene il sospetto che, tra gli elementi che tengono le donne più lontane degli uomini dalle posizioni di potere, ci sia il terrore d’essere percepite come la zitella coi gatti. Preferiamo dare l’immagine di quella amata, che di quella sola al comando. Forse è la ragione del successo di Michelle Obama: il suo matrimonio sembra autenticamente felice, sembra la storia d’amore cui ambire, accidentalmente completa di Presidenza. «È interessante: più lei fa di tutto per umanizzare il suo matrimonio, più dice che è un lavoraccio e che certi giorni vorrebbe buttare Barack dalla finestra, più noi bramiamo la mistica del suo matrimonio perfetto. E ho come l’impressione che il problema di Hillary sia stato che aveva avuto il ruolo di Michelle, e ambiva a quello di Barack: forse era un po’ troppo pretendere che una persona sola riuscisse a essere entrambe le cose».

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Paul Morigi
Michelle Obama in una rielaborazione di Francesca Donzuso.

Era il 1992. Bill Clinton era in campagna elettorale per diventare Presidente, e Hillary disse a una tv, a proposito del proprio essere un’orrida carrierista, «Sarei potuta stare a casa a infornare biscotti, ma ho scelto di fare il mio lavoro». Se ci fossero stati i social network, l’indignazione delle massaie sarebbe diventata immediatamente lo scandalo del giorno (trending topic, in neolingua); anche in quell’epoca di pace digitale, la frase le venne rinfacciata a lungo. Dieci anni dopo, la first lady di finzione nella serie The West Wing, già cardiochirurgo, aveva smesso di esercitare e scandalizzava il pubblico con «Ora sono solo una moglie e una madre» (lo scandalo era per “solo”, naturalmente). I biscotti sono una delle vere frasi della vera Hillary che Sittenfeld ha messo in Rodham, giacché siamo ancora lì: che qualunque scelta diversa dalla nostra ci sembra un insulto. «La cosa buffa è che Hillary stava dicendo che le donne dovevano poter scegliere: non stava disprezzando le donne che stanno a casa, stava dicendo che si era adoperata per difendere i loro diritti. Non capisco da dove venga quest’idea che o siamo per una cosa o per l’altra: la maggior parte delle donne è perché ognuna faccia quel che le pare. Forse a offendersi è chi è meno sicura delle proprie scelte, se vogliamo fare della psicologia». Le chiedo se gli americani avranno un problema anche con la carriera da docente di Jill Biden, la moglie di Joe. Dice che spera proprio di no, «essere una professoressa credo sia accettabile anche per i più conservatori, e poi non ha bambini piccoli che possano accusarla di trascurare». Cerco di spiegare a Sittenfeld che tutti i liberal americani che conosco ritenevano George W. Bush la fine del mondo, e ora l’hanno rivalutato e ne parlano come d’un padre della patria. Lei stessa ha scritto un libro su Laura Bush ma, quando su Twitter le chiedono se scriverebbe di Melania Trump, dice «per nessuna cifra». (Quando le cito una scena delle primarie repubblicane, mi dice che si è rifiutata di guardarle in tv). La prego di convincermi che Trump sia davvero il male supremo, e non l’ennesimo allarmismo della sinistra quando al potere c’è la destra. Mi dice che non c’è «mai stato prima questo miscuglio di xenofobia, sessismo, omofobia, razzismo».

washington, dc   january 20  l r us president donald trump takes the oath of office as his wife melania trump holds the bible on the west front of the us capitol on january 20, 2017 in washington, dc in today's inauguration ceremony donald j trump becomes the 45th president of the united states  photo by chip somodevillagetty imagespinterest
Chip Somodevilla
Melania Trump in una rielaborazione di Francesca Donzuso.

Penso a Reagan che trascura la ricerca sull’Aids; obietto che forse nel secolo scorso eravamo meno sensibili a certe cose. Mi dice che quelli di prima almeno erano educati, che in effetti è una solida obiezione; e che comunque, visto che i progressi rispetto all’integrazione erano stati fatti, adesso sembra che lui deliberatamente cerchi di cancellarli. Non è che tra vent’anni arriva uno peggio, e Trump viene anche lui rivalutato come padre della patria? «Dio mio, che domanda terrorizzante». Torniamo al discorso della solitudine. La Hillary che non sposa Bill forse diventa Presidente perché si emancipa dalla paura della solitudine, quell’handicap femminile. Sittenfeld non è d’accordo, dice che non crede sia un solo elemento, è tutt’un complesso di cose, e forse c’entra il sentirsi intruse, quando sei una femmina. «Di solito non ci percepiamo come persone di potere: i dati dicono che alle donne che si candidano a qualcosa, negli Stati Uniti, di solito qualcuno ha suggerito di farlo; agli uomini viene in mente da soli».

laura bush in una rielaborazione di francesca donzusopinterest
Artwork Francesca Donzuso
Laura Bush in una rielaborazione di Francesca Donzuso.

Parliamo ancora un po’ di carriere, mi ricorda che Laura Bush e Hillary Clinton - le due massime rappresentanti viventi delle categorie “first lady silente” e “moglie smaniosa di carriera propria” - sono coetanee. E che tra loro e noi è andato tutto molto in fretta. Tutto, o quasi tutto. «Hillary è nata nel 1947, io sono del ’75. È stato un attimo dall’essere donne della sua generazione - pioniere, apripista, che vivevano in anni in cui le donne non facevano i giudici o gli avvocati, mentre ora ci sono più studentesse che studenti nelle facoltà di legge - all’idea, per le donne della mia età, che possiamo fare tutto. Tranne, forse, il Presidente degli Stati Uniti».

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Curtis Sittenfeld (qui sopra) è una scrittrice americana (nata a Cincinnati nel 1975). Tra i suoi libri ci sono American Wife, un romanzo su Laura Bush, e Rodham (uscito a maggio da Random House), che riscrive la vita di Hillary Clinton (e sta per diventare una serie tv).