La prima foto è quella più straziante. C’è lei seduta sul lettino del Cedars Sinai Medical Center di Los Angeles che piange. I capelli raccolti in una cuffia trasparente, le gambe nascoste da una coperta bianca, e poi quelle mani congiunte in un gesto di preghiera che la trasforma in una Madonna sofferente. Lei è la modella americana Chrissy Teigen, 34 anni, moglie del cantante pop John Legend, che ha postato sul suo account Instagram da 32 milioni di follower cinque immagini che raccontano il suo aborto spontaneo avvenuto a metà gravidanza. Mentre le fanno l’epidurale, con il marito che le appoggia la testa sulla spalla, insieme che stringono un fagottino avvolto in un lenzuolo bianco. E poi le sue parole: «Siamo sotto shock e stiamo vivendo quel tipo di dolore profondo di cui hai sentito parlare ma che non hai mai provato prima. Jack ce l’ha messa tutta per essere parte della nostra piccola famiglia, e lo sarà per sempre»

In meno di 24 ore, quasi 600 mila commenti solo su Instagram.

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Nello stesso giorno, a casa nostra, un’altra notizia bomba per il mondo dell’Internet: Chiara Ferragni e Fedez aspettano il secondogenito. Anche qui: foto dell’amatissimo figlio Leone che tende il braccio a favor di camera per mostrare l’ecografia del fratellino/sorellina che sarà. “Bello il cavallino di Ralph Lauren sulla camicia ”, commentano subito i più avveduti.

Tutta questa pornografia delle emozioni ha risollevato un dibattito vecchio almeno quanto i social: fino a che punto condividere?

Se la lieta notizia dei Ferragnez tra i commenti rispolvera antiche questioni sullo sfruttamento delle immagini dei minori ma rimane un lieto evento e la felicità dei genitori bis è contagiosa, le foto di Chrissy Teigen e John Legend così belle da sembrare un set fotografico, per alcuni stridono con il momento doloroso dell’aborto. Tantissimi sono stati i commenti di supporto, altrettante le critiche. “Perché mettere una foto di te che soffri sui social? Si capisce che lo fai per una ricerca di attenzione.”. Oppure: “Sì, dai, mantieni quella posa, fantastico, vogliamo catturare il tuo dolore da mostrare a dei totali sconosciuti che non incontrerai mai. Il bianco e nero sta meglio con il dramma, super!”. “Solo a me sembra strano? Questi sono malati”. E così via all’infinito.

Ma davvero ci colpisce ancora che persone da milioni e milioni di follower di cui conosciamo, o abbiamo la sensazione di conoscere, ogni centimetro della loro pelle e delle loro case, decidano anche di condividere lo strazio della morte? Non è la prima volta che una celebrity racconta l’esperienza dell’aborto su un social network, ma nessuno prima di loro aveva condiviso scatti così privati. Hanno oltrepassato il limite? Forse. Ma il punto rimane che nel gioco della spettacolarizzazione totale delle esistenze, nel reality show senza fine che hanno deciso di recitare queste star-influencer, è facile che anche il dolore, che è parte della vita, diventi spettacolo. O intrattenimento. Siamo onesti, chi non si è soffermato a guardare in modo particolare le due immagini dove si vedono i genitori che stringono quel fagottino avvolto nel lenzuolo? La maggior parte di noi le avrà trovate scioccanti, ma le ha studiate attentamente.

Li seguiamo, mettiamo like alle loro ricette, ai loro video divertenti, li percepiamo quasi come fossero nostri amici e parenti. Con la loro popolarità ci sorprendono, come hanno fatto durante il lockdown Chiara Ferragni e Fedez per esempio, che hanno donato la quota iniziale di 100mila euro e sono riusciti a raccogliere quasi 4,5 milioni di euro tramite GoFundMe, dando il loro contributo per la creazione di nuovi posti letto nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale San Raffaele di Milano, dimostrando di poter essere un modello positivo. Li guardiamo, ci appassioniamo alle loro vite, ci affezioniamo ai loro figli - vedi il piccolo Leone. Gioiamo e piangiamo con loro e ci sentiamo anche liberi di giudicare le loro scelte. “È l’altra faccia della medaglia, bellezza”, rispondiamo. Ed è vero. Ma c’è un limite anche alle libertà del pubblico. A Chrissy Teigen è stato detto di tutto, parole irripetibili, così violente che stridono ancora di più di quelle foto del suo bambino morto e che fanno a pugni con qualsiasi discorso sull’emancipazione femminile.

Viviamo nell’era della mercificazione dei sentimenti e delle emozioni, ma si vendono così facilmente perché dall’altra parte dello smartphone ci sono milioni di persone che più o meno coscientemente le comprano queste emozioni in vendita.

Allora di chi è la colpa? Di noi che guardiamo o di loro che mostrano?

Forse l’errore sta nel cercare una colpa, forse va solo trovato un modo di vivere e gestire i social che ancora non conosciamo perché, in fondo, è ancora tutto così nuovo per trovare soluzioni.

Ma se non ci è ben chiaro quali siano i rischi e gli effetti a lungo termine della condivisione selvaggia, c’è un aspetto positivo che ritorna spesso in quasi tutte queste storie. Condividere fa sentire meno soli. Chiunque è passato nell’inferno della perdita di un bambino, sa che si tratta di un dolore atroce, sconosciuto, quasi atavico. Difficile da sopportare nel fisico e nella mente. La prima domanda che ogni madre si fa quando le succede è “perché a me”. Per qualche strano motivo, l’aborto è considerato un tabù. Probabilmente è ancora visto dalla società come un fallimento del corpo, dell’essere madre e quindi donna, e se ne parla troppo poco. Tutte coloro che l’hanno vissuto dicono che raccontando la loro esperienza ad altre donne, hanno scoperto che è un evento molto più comune di quello che si pensi e si sono sentite meno sole. È banale, ma ascoltare le storie degli altri, sentirsi sostenuti da chi ti può capire dà speranza. E forse quelle foto troppo forti di Chrissy Teigen e John Legend hanno fatto sentire meno soli altri genitori. Lo ha scritto anche Michelle Obama nella sua biografia, Becoming: «Quello che nessuno ti dice è che l’aborto spontaneo accade spesso, a molte più donne di quanto avresti mai immaginato, dato il relativo silenzio intorno. L’ho imparato solo dopo aver dichiarato a un paio di amici che avevo avuto un aborto, quando mi hanno risposto, riempiendomi di sostegno, che era successo anche a loro».