Il clou della sinfonia del pranzo di Natale, il secondo di carne. Bianca o rossa, maiale o vitello, pollo arrosto, brasato o faraona ripiena. La tradizione è tradizione in tutta Italia, unificatrice di una potenza culinaria che ai tempi si riduceva ad un giorno-due l'anno, e che il benessere ha progressivamente reso più accessibile. Ma storicamente la carne è la pietanza rappresentativa per eccellenza dell'arte culinaria della casa (o del ristorante): trovare il taglio giusto, frollarlo con pazienza, condirlo e rosolarlo al punto giusto senza renderlo un pezzo di stoppa ma preservando tutti i succhi che lo rendono morbidissimo, sono passi di un processo magistrale, complesso e millimetrico. Che non può essere irrimediabilmente rovinato da gollate di un vino sbagliato, troppo delicato o al contrario tanto forte da sovrastare gli aromi sapidi del protagonista assoluto. L'arrosto, il brasato, chiunque sia. I vini da abbinare alla carne sono tanti, grande è la confusione sotto il cielo. Ma c'è una soluzione: affidarsi ad uno speciale Virgilio della Di-Vina Commedia del Natale.

Risponde allo smarrimento eno-dantesco Elena Brovedani del Ristorante Laite di Sappada (Udine), una stella Michelin con la chef Fabrizia Meroi, che della giovane sommelier è prima la madre poi il capo. La sintonia armonica tra i menu fatati della chef Meroi e gli abbinamenti affidati a mademoiselle Brovedani si avverte ad ogni assaggio. Tra le pareti foderate di legno antico, le intuizioni della giovane sommelier sono le degne gemme di un gigante di cantina e sala come papà Roberto Brovedani. "Ho appena assaggiato un bianco buonissimo" risponde entusiasta alla chiamata alla guida, catalogando da subito gli abbinamenti vino carne bianca (o pesce, se non mangiate carne), sempre più comuni. "Una Malvasia 2018 di Simon di Brazzan. Non le avrei mai dato quegli anni, ma è biodinamica, senza solforosa ha una discreta maturazione: al ristorante lavoro bene anche col loro Pinot Grigio, che è buonissimo. Su cose più delicate, ci sta bene anche un macerato friulano o sloveno, una Vitoska, una Malvasia o una Ribolla gialla con un po' di macerazione: più struttura, più rotondità. Io li chiamo rossi vestiti di bianco" continua Brovedani. Vista l'annata particolare ci tiene a voler consigliare più italiani che esteri. "Tendo a stare un po' sul territorio e a sottolineare amici e collaboratori che ho qui, senza togliere nulla al Sud che amo molto, o alle Marche: ad esempio il Verdicchio marchigiano o i rosati siciliani". Però molto freschi, più adatti al pesce o ai piatti di verdure: però i vegetariani sono sempre di più, vale la pena indicarli come seconda bottiglia da mettere sul tavolo durante l'esecuzione OPS la mangiata dell'arrosto.

Il consiglio generale di Brovedani è stare accorti alla temperatura di servizio dei rossi: "Non amo proporre i vini rossi troppo caldi. A me piace quasi fresco perché il vino deve andare di pari passo col cibo, da fresco accompagna meglio il piatto" spiega Brovedani. Funziona anche coi rossi più maturi, grandi vini che reggono splendidamente la struttura di secondi di carne sugosi, dalla lunga cottura e dai sapori profondi. La tradizione è bella, la tradizione può essere rispettata: "Con un brasato opterei per il classico Barolo, o un Barbaresco, o un Nebbiolo con tannicità e struttura più complessa. Anche il Taurasi, perché ho lasciato il cuore in Campania, può essere un'alternativa" rivela Brovedani. Ma c'è un validissimo outsider meno noto nel panorama della super classicità enologica, che invece rivela note speziate e aromatiche in grado di passare in modo trasversale dallo stufato importante alla selvaggina saporita: "Uno Schioppettino di Bressan o di Antico Broilo, e se ha qualche anno è ancora meglio perché mantiene acidità" racconta la sommelier. "Per la selvaggina a me piace mantenere la speziatura del cibo, quindi un vino che abbia un po' di spezia e sia leggermente pepato. Lo Schioppettino ha proprio il pepe dentro. Va bene anche il Vino Pepato di Fontezoppa, che è una buona variante della zona centrale italiana" prosegue Brovedani.

I cultori curiosi del vino da abbinare ai secondi di carne importanti, troveranno ristoro in un extra consiglio che è una vera chicca: "Il Ruché del Monferrato piemontese. È una DOCG, simile al Nebbiolo per struttura, ma non ha lo stesso tannino quindi rimane un po' più esile, morbido, acido e fresco". E come un abito nero delle feste, va praticamente su tutto. La passione di Brovedani per i vini inusuali si rivela definitivamente in un vitigno lavorato in maniera eccellente in Francia e anche -sempre di più- in Italia: il Pinot Nero. Affatto scontato, versatile, succoso q.b. ma con una discreta struttura a seconda della cantina che lo vinifica. "Io amo il Pinot Nero in Italia, ha mille declinazioni diverse: sull'Etna ad esempio c'è il Teorema di Enotrio, un vino che va bene sul pesce saporito ma regge benissimo anche il vitello. Qui vicino a noi c'è Le due terre, che secondo me fa uno dei Pinot Nero più buoni d'Italia". E quindi uscimmo a riveder le stelle. Pardon, a scegliere le bottiglie.