Come può un biscotto tanto buono avere un nome tanto crudele, è un pensiero comune. La storia dei krumiri biscotti di Casale Monferrato è un manuale di paradossi, complessità, avvenimenti, adattamenti linguistici e legislazioni. L'Italia, praticamente. L'Italia nella sua strepitosa capacità di ingarbugliare le cose semplici e renderle un meraviglioso caos esplosivo di stelle. Nella mappa spuria dei biscotti d'Italia, paese di pievi, leggende e pasticceria, i krumiri rossi sono tra i rari rappresentanti di un momento storico specifico, l'onda lunga del Risorgimento, e tra i pochi che possono marchiare il calendario della storia su un anno preciso, il 1878, in cui la loro diffusione iniziava ad essere particolarmente comune. Fino a diventare, cento anni e spicci dopo, il simbolo della biscotteria piemontese e un vero e proprio inno transgenerazionale, in grado di far convergere orde di tutte le età verso una merenda comune. Caratteristiche della perfezione dei krumiri: compatti sotto la scanalatura della superficie, friabili sugli orli smerlati di una frolla unica, si sposano con lo stesso ardore burroso ad ogni tipo di accompagnamento, che sia la cioccolata calda, la crema inglese, il vino dolce a fine pasto, il tè o il caffè, addirittura le creme spalmabili di nuova generazione. Versatile, accogliente, eterna certezza. Come l'Italia.

La nascita precisa dei krumiri di Casale Monferrato dovrebbe risalire ai primi mesi di quello stesso 1878, secondo alcune fonti. E come sempre accade per le cose migliori, in una notte particolarmente alcolica di involontario brainstorming al caffè della Concordia detto "Il Bottegone", di proprietà del pasticciere Domenico Rossi che è lì a gozzovigliare con alcuni amici. Vuoi per i bicchieri di troppo e l'atmosfera particolarmente euforica (post ardori del Risorgimento il diffuso senso di ottimismo e novità non si è ancora sopito del tutto), Rossi decide di sfidare i presenti con un'invenzione ex novo per dei biscotti da inzuppare a piacimento, magari anche per assorbire l'alcol ed evitare i postumi da sbornia. La prima infornata dei krumiri sembra essere nata così, dalla golosità sicura di un pasticciere che forse voleva solo tamponare gli eccessi di cicchetti. La documentazione più precisa sulla storia dei krumiri arriva qualche tempo più tardi, con i primi riconoscimenti istituzionali: nel 1884 sono premiati all'Esposizione Universale di Torino, nel 1890 è il sindaco del comune piemontese a battezzare ufficialmente i krumiri come figli dell'intuizione del pasticciere Domenico Rossi (fu Pietro) di Casale Monferrato verso un nuovo amalgama di burro buono, zucchero, uova felici, farina e vaniglia. La ricetta dei krumiri è questa: gli ingredienti più comuni della pasticceria in proporzioni nuove, voluttuosamente croccanti. Ma soprattutto la forma curva, riconoscibilissima, probabilmente ispirata ai baffi a manubrio che avevano reso iconico Vittorio Emanuele II, il galantuomo del primo regno d'Italia, morto proprio nel 1878.

Il nome dei krumiri è un pezzo di narrazione a sé che si innesta sulla storia principale. Ed è paradossale aver scelto un appellativo tanto negativo per una delizia così sublime: nemmeno la semiotica applicata sa chiarirne l'eventuale ironia. Probabile che l'esotismo del suono nella pronuncia sia stata l'unica motivazione. Il nome deriva dai Khumir, una tribù guerriera della Tunisia simile ai briganti nostrani, che era stata presa a pretesto dalla Francia per avviare la guerra d'invasione tunisina di pochi anni prima. Nelle lotte sindacali dell'Europa del primo Novecento, il crumiro rappresentava il lavoratore che non aderiva allo sciopero. Proprio in Francia nel 1895, il pasticciere Auguste Redon inventò i dolcetti di pasta di mandorle di Confolens e li chiamò Kroumirs, ignorando l'adattamento italiano del nome (o forse infischiandosene), ma i krumiri rossi dell'omonimo pasticciere di Casale Monferrato sono sicuramente primigeni. Sull'epiteto è inutile divagare oltre, cosa c'entri questo battesimo così infame con un biscotto tanto buono, non si è ben capito. E forse non lo sapremo mai.