Lucy incontra per strada Charlie Brown: «Buon Natale, Charlie Brown! Penso che in questo periodo dovremo dimenticare i nostri contrasti e cercare di essere gentili». Lui: «Perché soltanto in questo periodo? Perché non può essere così tutto l’anno?». Lei: «Cosa sei, una specie di fanatico?».

A giorni alterni amo Lucy sempre di più. Qualche giorno fa ero a pranzo con un amico che al momento di andarsene ha travolto il cameriere. Niente di grave, solo un gran casino. E una grande sorpresa: il modo in cui si è scusato, i gesti, quelle chiacchiere veloci ma non di circostanza che s’è messo a fare col malcapitato. Quella sua gentilezza calorosa mi ha colpito. Ma tu guarda che bello, e che allegria che ti rimane addosso. Mica come quella volta che ho aggredito un altro amico esageratamente gentile: «Ma basta, di cos’hai paura, cosa nascondi sotto tutta questa carineria?». O come quando vado a comprare il pane e la tipa dietro il banco è tutto un «sono subito da lei, cara», «cara cos’altro vuole...». Ma cara chi? Ci conosciamo?

E pazienza se viviamo in tempi rabbiosi e villani: la gentilezza non è una posa, uno slogan, un cappottino di stagione. Casomai è un antidoto, e dunque quel che conta è la giusta dose. Appunto. Qualche giorno fa/2: entro in una libreria e in pole position vedo un tot di libri con la parola gentilezza nel titolo; poi arrivo a casa, accendo il computer e l’algoritmo sintonizzato col mio cervello mi fa sapere che il 13 novembre è la Giornata Mondiale della Gentilezza, dopodiché, mentre sto cercando non so più cosa, l’internet mi notifica sotto forma di messaggio promozionale che per un tot di personaggi da me amati - Joaquin Phoenix, Judi Dench, Ricky Gervais, Jane Goodall... - The only cure is kindness, come recita la scritta bianca stampata sulle loro t-shirt nere. Ora, con tutto l’amore per i cuccioli d’orso del Vietnam che la fondazione Animals Asia vuole salvare servendosi di questa gentile compagnia, così è un po’ abuso di moti dell’animo.

Viva una certa ruvidezza, allora. Viva quelli che nascondono la versione più empatica di se stessi. Per timidezza, per paura, perché sono troppo giovani, troppo vecchi, troppo spiritosi o troppo romantici per essere, innanzitutto, gentili. Per non sembrarmi un po’ sospetta, la gentilezza è quella cosa che c’è ma di cui ti accorgi, e di cui fai mostra, con cautela e col tempo. Che poco alla volta ti aiuta a entrare in contatto con gli altri, e che ti fa sentire vulnerabile ma anche più forte, più generoso, più grato, più vivo.

Mi viene in mente Leonard Cohen, e la poesia che ha scritto sull’isola di Hydra nel 1985, quasi vent’anni dopo la fine della sua storia con Marianne. Si intitola Days of kindness (I giorni della gentilezza), e a un certo punto dice: «Quel che ho amato della mia vecchia vita / Non l’ho dimenticato / È la mia spina dorsale / Marianne e il bambino / I giorni della gentilezza / Risale lungo la spina dorsale / E si manifesta sotto forma di lacrime / Prego che questa memoria / Persista pure in loro / Le persone preziose a cui rinunciai / Per educarmi al mondo». Mi viene in mente un’altra poesia, Lui cerca i vestiti del cielo di John Keats, che si chiude così: «Ho messo i miei sogni ai tuoi piedi; / cammina con passo leggero perché è sui miei sogni che cammini».

E mi viene in mente Lucy: «Forse sono scorbutica / forse dovrei cercare di essere più gentile / immagino che potrei se provassi davvero.../ oh, come odio dare al resto del mondo questa soddisfazione!».