Occhi calmi e luminosi, un ristorante antico nelle tradizioni e rivoluzionario nelle ambizioni (merito di una chef che studia la storia della famiglia Medici, ma ne parleremo), nuove missioni per il turismo in tempi sospesi di Covid e balance emotivi che ti spostano da Milano alla campagna toscana a venti chilometri da Firenze. La Tenuta di Artimino è la visione di Annabella Pascale, amministratore delegato e co-proprietaria, insieme al cugino Francesco Spotorno Olmo, di un piccolo mondo antico che guarda al moderno. Quando il sole affonda tra le vigne, qui svetta una delle meraviglie d’Italia, La villa Ferdinanda, colossale residenza voluta nel 1596 da Ferdinando I De Medici, detta anche la Villa dei 100 camini, architettura medicea che ha ospitato Galileo Galilei e che, fiera della scalinata più suggestiva della Toscana, rientra nel Patrimonio Unesco. Tra 730 ettari di Tenuta, 80 di vigne, 37 camere che si snodano in quella che fu la Paggeria Medicea, 59 appartamentini, un borgo, un museo etrusco e un centro vinoterapico si trova la formula di ospitalità diffusa dove tornare a più riprese. La racconta Annabella, classe 1980, seduta nel ristorante Biagio Pignatta cucina e vino (nome dal primo maggiordomo di Ferdinando I de Medici ndr): ottimo vino locale, sublime cibo territoriale, eccellente accoglienza nella stanze che dai colori dell’arredo e delle pareti ricordano i colori intensi del mosto, le albe tra le vigne e i tramonti autunnali.

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Annabella Pascale

“Nonni paterni napoletani, nonni materni genovesi, avevo 8-9 anni quando mio nonno Giuseppe Olmo ha acquistato la Tenuta di Artimino, sono cresciuta a Milano ma un po’ di milanesità l’ho portata qui e in cambio mi sono presa un po’ di Toscana, con uno spontaneo amore per la campagna. Ci sono capitata piano piano, l’ho assaporata senza rendermi conto che sarebbe diventata la mia vita. Mio nonno è stato un grande ciclista e poi industriale (medaglia d’oro olimpica nel ’32, ha fondato l'omonima fabbrica di bici e poi una grande realtà di industrie, il Gruppo Olmo ndr), qui abbiamo riscoperto la dimensione del borgo, del lavoro costante legato alla forza delle stagioni, da bambina trascorrevamo i Capodanni con la famiglia, ne ricordo uno con Little Tony! A 20 anni frequentavo lo Iulm e ho iniziato a interessarmi ad Artimino, ma in modo blando, vivevo a Milano, mi sono formata nel mondo degli eventi, in una grande agenzia e redazione televisiva, fino a quando a 33 anni con la socia dell’epoca ho incominciato a fare un po’ di consulenza a questo luogo che ho sempre chiamato casa”.

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LORENZO VECCHIA

Gli hotel diffusi vivono di poli diversi, tutti con la stessa missione: farci immergere in un ambiente sconosciuto che diventa casa in poche ore. Annabella Pascale sa che il senso di appartenenza e origini può, deve, portare al futuro: “quando ho iniziato a vedere Artimino in modo diverso rispetto all’infanzia ho scoperto quanto lavoro c’era da fare, dalla comunicazione - essere sui social, lavorare sul sito e sull’immagine - alla sensazione che c’era qualcosa che andava rinnovato. Insieme a mio cugino Francesco lo abbiamo proposto ai “grandi capi” di famiglia e deciso di venire a gestire la Tenuta e, con una squadra di persone nuove e giovani, abbiamo iniziato a trasformarla piano. Siamo partiti dalla valorizzazione del vino e dai vigneti che ci mettono tanti anni: qui dal 1716 si produce il Carmignano, in questi terreni dall’epoca degli Etruschi già consumavano vino, è un terreno di uve forti: sangiovese, cabernet sauvignon, merlot, syrah e malvasia”. Personalità che conosceremo in un tramonto di vendemmia insieme l’agronomo Alessandro Matteoli, fervido cultore di una sostenibilità concreta della produzione e all’enologo Filippo Paoletti. La passione delle persone che abitano il borgo e la Tenuta certifica più di qualunque altro attestato la qualità: “la sfida più grande che ho trovato qui? Innanzitutto il mio lavoro come amministratore delegato è stato seguire le persone, l’80% è lavoro di psicologia, lettura degli altri, e sempre più formare lo staff, lasciare a loro l’azione, delegare, presto sarò una neo mamma, mi piacerebbe che i miei futuri figli potessero trovare qui la loro sfida, tramandare loro le mie passioni, però anche fare sì che Artimino segua la sua strada qualunque essa sia: anche se, lo dico? È un orgoglio essere italiani e seguire una tenuta italiana”.

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ALESSANDRO MOGGI

La femminilità della Tenuta di Artimino non è femminismo da marketing, è concreto: poche ore prima della vendemmia al tramonto è una giovane enologa under 25 anni, cresciuta a pochi chilometri da qui, a raccontarci come nasce l’Occhio di Pernice, un vino da dolce forte e sensuale, così come è la chef Michela Bottasso a insegnarci come realizzare i cantucci con le nostre mani in una cooking class che prende le tradizioni, le inforna e le rende un piacere comune. È sempre l’ingegno femminile di Michela, piemontese, a raccontare ai commensali come si può ritrovare un'anatra o un dolce cucinati in epoche rinascimentali - che oggi risulterebbero immangiabili - e renderli una sensazione che esplode in bocca e parla fiorentino. Il mondo dei vini è maschile? - provochiamo Annabella - la quale risponde con i numeri di una tenuta che non produce al di sopra delle proprie possibilità, cura la sostenibilità come ciclo naturale e non green-washing (imperdibile, per chi soggiornerà un weekend romantico, una visita all’orto da cui provengono solo frutta e verdura di stagione, momento arcaico di amore cortese). L’esperienza del vino a 360° non deve essere un mordi e fuggi del mercato straniero ma un lieto rituale del pubblico italiano che, in un anno che non ci ha ancora dato tregua, ha riscoperto il territorio meno scontato. “Dal lockdown abbiamo imparato che siamo fragili, basta poco per svendere il Paese, i casali, i borghi: c’è bisogno che il nostro governo pensi al Made in Italy concretamente, a proteggerlo, abbiamo un Pil italiano, dipendenti italiani del settore da sostenere”. Ci siamo appoggiati troppo, nel periodo più florido, al turismo straniero e non abbiamo investito in quello italiano? “Noi italiani siamo campanilisti - prosegue Annabella - se vai in Valle d’Aosta vuoi bere vino locale, se vai in Sardegna idem, i toscani amano passare le vacanze nella loro Toscana. Non abbiamo investito abbastanza sul pubblico italiano perché lo straniero era più alto-spendente però, secondo me, abbiamo galleggiato sul turismo straniero, noi italiani abbiamo la forza, ci sono privati italiani che hanno finanziato il restauro del Colosseo, per esempio. Ha ragione Oscar Farinetti, più giri il mondo e più ti accorgi della bellezza dell’Italia. Ho deciso di continuare a vivere a Milano, che è la mia base, perché è dove mi rigenero, dove ho i miei amici, la mia famiglia, dove mi faccio venire le idee, e poi torno qui e metto in pratica quello che secondo me è la bellezza del territorio e il suo potenziale infinito”. Questo ne è l’esempio: non è il Chianti(sire), ha la privacy di un piccolo borgo, è una culla del tempo dove poter amare.

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La strepitosa scalinata di villa Ferdinanda.