Un'altra tornata di fashion week sta giungendo al termine, in questo momento così tumultuoso per l'industria della moda. La pandemia globale ha spinto i consumatori verso un inevitabile periodo di riflessione. E molti stanno mettendo in discussione quel bisogno di fare acquisti che avrebbero automaticamente soddisfatto in passato. Questo momento ha anche accresciuto la consapevolezza di come il nostro stile di vita basato sui consumi contribuisca alle sfide sociali e ambientali che dobbiamo affrontare.

Quando finalmente usciremo dalla pandemia, questo periodo avrà spinto tutti i consumatori a diminuire definitivamente gli acquisti, a scegliere abbigliamento vintage o di seconda mano o, in ogni caso, a guardare con più attenzione alle origini di ciò che si compra? Sicuramente no. Eppure, sta diventando sempre più chiaro che una parte significativa delle persone sceglierà di mettere in pratica una o più di queste azioni, dando il via alla tanto attesa "fashion revolution" che trasformerà l'industria della moda. E questa rivoluzione sarà sostenuta da due principi guida per i consumatori: comprare meno, comprare meglio.

Comprare meno è forse il messaggio più diretto. Negli ultimi anni si è discusso apertamente su quanto il modello del fast fashion possa essere dannoso. Non esiste una moda sostenibile senza che questo modello sia modificato. E questo a sua volta richiede un grande cambiamento nel modo in cui abbiamo imparato a relazionarci al mercato della moda negli ultimi vent'anni. Questa pandemia ci sta mostrando che molto di ciò che compriamo è spesso poco utile, quando non un vero spreco. È importante che questa mentalità sia interiorizzata e che non si torni allo "shopping di una volta". Un'ulteriore prova che i consumatori stiano andando nella direzione di acquisti più mirati e consapevoli è il successo della app Good on You, che ha appena compiuto 5 anni e continua a essere scaricata e consultata da chi cerca valutazioni sull'etica e la sostenibilità dei brand, sia per quanto riguarda i materiali utilizzati che per l'impatto ambientale e il tema dei lavoratori. La co-fondatrice è l'australiana Sandra Capponi: «Quest'anno la pandemia ha costretto molti brand di moda a ripensare al loro modello tradizionale di business. È stato fantastico vedere come siano emersi tanti cambiamenti in poco tempo, che siano le sfilate digitali o la crescita di giovani designer che mettono le persone e il pianeta come priorità del loro lavoro. Questo non può che portare a un dibattito fruttuoso e a ulteriori innovazioni, come quando Gabriela Hearst si è impegnata a rendere "carbon neutral" i suoi show, o quando Stella McCartney ha organizzato una tavola rotonda sulla crisi climatica prima della sua sfilata».

Questa rivoluzione comporta, però, due sfide. Innanzitutto, a volte abbiamo davvero bisogno di comprare cose nuove – i nostri vestiti e scarpe diventano vecchi, usurati o semplicemente non ci vanno più bene o non ci piacciono più. Dall'altra parte, il mondo sta già soffocando tra troppi vestiti, scarpe e accessori prodotti. Cosa ne faremo? Questo ci porta al concetto fondamentale che sta alla base del principio "comprare meglio": la circolarità della moda. Esiste una miriade di modelli e soluzioni che riguardano il concetto di moda circolare e la maggior parte riguarda tre aree della catena produttiva: i materiali, il design del prodotto, la distribuzione/rete di vendita.
Grazie alle iniziative cruciali di alcuni innovatori queste tre aree hanno mostrato un potenziale di crescita e innovazione eccezionale negli ultimi anni. Per esempio, il lavoro della Ellen MacArthur Foundation con il progetto Make Fashion Circular: dal 2017 cercano di coinvolgere grandi gruppi della moda (Gap, H&M, Burberry, Inditex) per ripensare il modello produttivo verso la circolarità dei materiali e dei capi. O la certificazione Cradle to Cradle - C2C, letteralmente "dalla culla alla culla", che certifica l'approccio alla produzione sostenibile in tutti gli ambiti, non solo nella moda: con questo modello gli scarti sono ridotti al minimo se non eliminati e il ciclo produttivo mira al riutilizzo infinito dei materiali.

NELLA FINE È IL PRINCIPIO
Invece che continuare a sfruttare e alla fine esaurire i preziosi materiali che usiamo per produrre ciò che indossiamo, non sarebbe un'idea migliore iniziare a riutilizzare i materiali di ciò che già esiste, che sia abbigliamento o altri prodotti? Riportarli però al loro stato originario per riutilizzarli si è rivelato un processo difficoltoso, soprattutto se si vuole farlo a basso impatto ambientale, per esempio ritrasformare un tessuto in filato. Molte sono tuttavia le idee promettenti, come le innovazioni studiate da Worn Again Technologies, la cui missione è recuperare e rigenerare i materiali di prodotti non più riutilizzabili, come tessuti, bottiglie in plastica Pet e altri imballaggi. Avendo intravisto in questo tipo di tecnologia una chiave fondamentale per il futuro della moda, il colosso H&M è stato uno dei partner del progetto fin dall'inizio nonché un investitore.

Quando abbiamo intervistato i vertici di H&M e altri leader nel settore moda per scrivere il nostro libro Leading Sustainably, una delle sfide maggiori che tutti citavano era appunto quanto sia difficile prendere l'abbigliamento usato e lavorarlo nuovamente per riutilizzare i componenti originari come fonte di nuovo materiale. Tuttavia esiste un numero sempre maggiore di startup che si stanno cimentando con il problema in questione. L'azienda Resortecs, con sede in Belgio, studia innovazioni come filati che si dissolvono ad alte temperature, rendendo più facile e meno impattante il riciclo dei capi. Non solo quindi esiste un ecosistema in crescita di innovatori in questo settore, ma anche sempre più investitori e finanziatori interessati a sostenerli, che siano colossi come H&M e il gruppo Kering fino a fondi specifici che si interessano di moda e sostenibilità come Alante Capital.

PENSARE ALLA PRODUZIONE COME CIRCOLARE
Iniziare a guardare all'abbigliamento che produciamo non solo come il prodotto finale ma anche come risorsa e fonte di materiali per pezzi futuri richiede un cambiamento fondamentale nel modo in ci approcciamo al design. Oltre a disegnare la moda per farla durare a lungo, dobbiamo quindi iniziare a pensare a quando sarà il momento di "decostruirla" per farne altro. Questo "nirvana circolare" dell'abbigliamento e delle calzature non è ancora giunto al culmine, ma ci stiamo avvicinando. Quegli oggetti che sono creati, in parte o totalmente, da tessuti o altri materiali derivati da altri prodotti sono molto richiesti e apprezzati dal pubblico. Quando Adidas nel 2015 ha lanciato la sua sneaker sostenibile Parley, fatta con plastica recuperata dagli oceani, è sparita immediatamente dagli scaffali di tutto il mondo. Da tempo la designer e leader nella sostenibilità Stella McCartney ha scelto di usare nylon e poliestere riciclato per le sue collezioni (anche cotone, lana e altri tessuti vengono ormai rigenerati con tecnologie sempre più ecologiche e all'avanguardia).
In questo ambito anche il brand spagnolo Ecoalf, fondato da Javier Goyeneche, è considerato un pioniere con un modello di business da prendere a esempio. Per i loro capi e accessori, dallo stile urbano e sportivo, utilizzano filati riciclati e rigenerati dalla plastica. Grazie alla collaborazione con gruppi di pescatori recuperano la plastica direttamente dai mari e la riutilizzano. Carolina Alvarez-Ossorio è la loro responsabile marketing e comunicazione: «Stiamo affrontando un momento critico e dobbiamo trovare l'equilibrio tra i nostri bisogni e la salute del pianeta. Quel che facciamo oggi e il modo in cui lo facciamo determinerà il nostro futuro e quello delle generazioni a venire. L'industria della moda deve chiudere questo cerchio, generare meno rifiuti ed educare meglio i consumatori. Ecoalf è diventata una B Corporation a tutti gli effetti e siamo impegnati per raggiungere l'obiettivo emissioni zero per il 2030».

E poi esistono molti brand più piccoli ma promettenti, come il fenomeno Marine Serre, che si mettono alla prova con questo concetto di design e che immaginano una nuova moda circolare. Ad esempio, Oth Paris produce una linea di sneakers con suole di gomma riciclata da vecchi copertoni di auto. I copertoni usati si stima rappresentino tra il 10% e il 28% delle micro plastiche presenti negli oceani, quindi inventarsi modi per riutilizzarli aiuta anche a risolvere un problema significativo per il nostro pianeta. Ma il fondatore di Oth Paris Arnaud Barboteau non voleva solo creare sneakers con suole riciclate, voleva disegnare scarpe classiche, senza tempo, che fossero anche completamente circolari e prodotte per durare. «Sostenibilità del design per me significa avere un prodotto che può essere indossato tutti i giorni, in tante stagioni, anno dopo anno. Non dovrebbe mai diventare fuori moda», spiega Barboteau, «l'idea è che le nostre scarpe durino anni». In collaborazione con l'azienda Francs Bourgeois - Recycled Leather, che produce da scampoli e scarti di lavorazione, la parte superiore di alcuni modelli è in pelle riciclata. Stanno anche studiando come inserire fili e rivestimenti interni fatti da plastica recuperata dagli oceani e anche il Bananatex, un tessuto innovativo ricavato dalla fibra dell'albero di banane (negli ultimi anni sono stati inventati molti tessuti a partire da vegetali, come mele, uva, alghe, il Pinatex dall'ananas ecc.).

QUANDO IL VECCHIO DIVENTA NUOVO
Infine, abbiamo bisogno di piattaforme online e non solo per rivendere e acquistare la moda vintage o di seconda mano. E in effetti negli ultimi 10-15 anni la crescita di questo tipo di rivenditori, della cosiddetta "pre-loved fashion", è stata spettacolare. Negozi di vintage molto belli aprono e prosperano in molte città del mondo e piattaforme e app di vintage di lusso come Depop e Vestiaire Collective stanno trasformando l'esperienza di acquisto online, perché operano ormai in tutto il mondo e raccolgono sempre più interesse e investimenti. Fanny Moizant, co-fondatrice di Vestiaire Collective, ha detto: «Cambiare il modo in cui le persone pensano e consumano la moda è il nostro obiettivo finale. Più che una semplice visione, la nostra missione è lottare per portare nel mondo della moda più senso di responsabilità, circolarità e sostenibilità. Dobbiamo alzare sempre più l'asticella». E nuovi modelli di rivendita al dettaglio di questo tipo continuano a nascere. Stuffstr permette ai consumatori di rimettere in circolo quello che indossano mettendoli in contatto con un retailer o brand che vuole comprare quel capo o accessorio per rivenderlo. In questo modo il consumatore risolve il problema di come disfarsi responsabilmente di un pezzo che non vuole più indossare. Stuffstr vuole spingere i brand a pensare al design in modo sempre più durevole, coinvolgendoli in questo meccanismo di rivendita, e dall'altra ambisce a muovere le preferenze dei consumatori verso oggetti di migliore qualità e che quindi potranno essere poi rivenduti.

Il mondo della moda ha indubbiamente fatto molti progressi verso la sostenibilità, che da semplice termine in voga e un po' vuoto si è trasformato in un vero business e opportunità di mercato. Tuttavia, questo percorso non può e non deve permettersi battute d'arresto. La circolarità offre all'industria della moda i mezzi per affrontare e risolvere le conseguenze del suo impatto sul pianeta, sia a livello ambientale che sociale, ed è in grado di rispondere a una richiesta e tendenza di mercato ormai sempre più apprezzata dagli amanti della moda di tutto il mondo.

Gli autori hanno pubblicato il libro "Leading Sustainably: The Path to Sustainable Business and How the SDGs Changed Everything" (edizioni Routledge, su Amazon). Trista Bridges è una consulente, insegnante e autrice di diverse pubblicazioni su sostenibilità e marketing. Donald Eubank è un manager che ha lavorato in Asia in settori come IT, finanza e comunicazione negli ultimi 25 anni. Sono co-fondatori di Read the Air, società che aiuta le aziende a integrare la sostenibilità nel proprio business e a calcolare e controllare il proprio impatto.

Traduzione e adattamento a cura di Laila Bonazzi.

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Leading Sustainably: The Path to Sustainable Business and How the SDGs Changed Everything di Trista Bridges e Donald Eubank (edizioni Routledge, su Amazon).