Non è esattamente una mostra. Non è esattamente una presentazione, né tantomeno una celebrazione di un marchio contraddistinto da simboli potenti come quelli di Valentino. È il primo capitolo "fisico" di quell'aggiornamento degli elementi che ne caratterizzano lo stile, operazione che il direttore creativo Pierpaolo Piccioli chiama ri-significazione: un termine usato in psicologia quando si connotano con nuovi significati eventi appartenenti al passato. Quindi il progetto Valentino Re-Signify Part One negli spazi della Power Station of Arts di Shanghai fino al 17 gennaio, Piccioli lo chiama Brand Experience «perché non mi piace, non riesco e mi sembra riduttivo limitare tutto a una parola sola. Me ne servono almeno due» scherza, in una conferenza via Zoom con i giornalisti di tutto il mondo. Curata con Mariuccia Casadio e Jacopo Bedussi, è un itinerario dove i segni connaturati all'espressività della maison Valentino - la rosa, il motivo a borchie Rockstud, «che unisce borghesia e punk», il grande valore della Couture, il colore rosso - dialogano con opere d'arte, frammenti di film, fotografie, artwork e allestimenti realizzati per l'occasione, tra associazioni impreviste e inedite riletture. Tutto vuole andare incontro a quella trasformazione dei consumatori del lusso «da casta che segue un lifestyle, dove in realtà si dicono e si fanno le stesse cose o si va negli stessi posti, a community che condivide le medesime passioni, si ritrova nella ricerca di determinati argomenti ma al contempo mantiene inalterata la propria identità».
Quello dell'identità - intesa come segno distintivo di personalità e non come stigma di divisione - è un concetto che a Piccioli sta molto cuore. Nell'ultima sfilata di settembre, per la primavera-estate 2021, il casting dei modelli è stato accuratamente scelto tra giovani non professionisti, ma che avessero in comune un «qualcosa che trasmettesse emozione», sia pure molto diversi tra loro per anatomia, etnia, comportamenti. E lo ha ribadito anche nella chiacchierata virtuale dove ha insistito, a chi chiedeva perché nel titolo di questa esperienza ci fossero le parole "prima parte" «che potrebbe aggiungersene una seconda, una terza e così via». Nel processo di ri-significazione per Piccioli è implicita la libertà di interpretazione, di combinazione, di accostamento. Tant'è vero che «nello spazio della Power Station non ci sono percorsi prestabiliti, si può iniziare da qualsiasi parte si voglia, è organizzato secondo sale tematiche da percorrere come si desidera».
Si apre così un mondo molteplice e possibile in cui troviamo architetture illusorie, capi della maison dal passato remoto o recente, scarpe e accessori di collezioni di momenti diversi, compresi i meravigliosi abiti fuori scala della Couture of Grace and Light (tenuta a Roma lo scorso luglio, con abiti "impossibili" a rendere possibile il sogno che solo un certo artigianato può riprodurre) insieme a opere degli artisti Jacopo Benassi, Cao Fei, Jonas Mekas, Stanley Mouse, Robby Müller, Quayola, Anna Ridler, Rachel Rose, Sølve Sundsbø, Natália Trejbalová e Weirdcore. Così, quella che poteva sembrare, agli occhi dei più cinici, un'operazione di marketing rivolta soprattutto a coloro che fanno parte della Generazione X per esser loro più vicini proprio in un luogo dove la pandemia sembra essersi tramutata in ricordo, per Piccioli è «un esperimento di cui noi stessi non prevediamo i risultati. E aver scelto Shanghai significa confrontarsi con un popolo che ignora la lunga storia della maison Valentino. Nuovo, in fondo, è ciò che non si conosce: sarà interessante osservarne gli sviluppi in termini di comunicazione e di contatto umano».
Forse, allora, più che di ri-significazione (ma questo è solo il nostro modesto parere), si dovrebbe parlare anche di ri-semantizzazione di un linguaggio - perché la moda è un linguaggio e quella di Valentino ha sempre avuto un alfabeto molto specifico. Ovvero l'attribuzione di un nuovo senso significato a un elemento lessicale esistente, che così diventa un neologismo estetico. E assume quindi valori altri, perché ogni parola, ogni atto, ogni gesto con il passare del tempo acquisisce nuovi modi di essere percepito a livello sia culturale, sia emotivo.
Ne sono esempi le opere scelte da Piccioli con Casadio e Benussi: per esempio, la rilettura dei pois a opera del fotografo Sølve Sundsbø proiettati direttamente sulle modelle senza abiti per sottolineare che l'abito è “una seconda pelle" contrapposti al crudo bianco e nero di un altro grande fotografo, Jacopo Benassi, che ritrae aiuole di rose di giardini aristocratici come creature aliene e inquietanti.
E così che anche il lemma romanticismo, così tanto caro a Pierpaolo Piccioli, si priva di ogni possibile tintura confetto e diventa una prospettiva che attrae per il suo orientamento dinamico, per la sua concezione dell’individuo come unica entità fisica e psicologica. Una visione così importante, fresca e contemporanea soprattutto in tempi come i nostri, dove a farci nascere il desiderio non è il bisogno. Ma il sogno. E i sogni, in casa Valentino, hanno un ruolo importante nella vita quotidiana di ognuno di noi.