Mentre Facebook ci fa sempre più storcere il naso e ci fa riparare su Instagram, c'è un uomo a Milano che grazie alla sua inventiva (e anche a Facebook) si è preso una gran bella rivincita dopo un momento di crisi. Lui è Francesco Minoli, ed è stato Amministratore Delegato di Pomellato dal 1999 al 2009, un decennio in cui l'azienda è cresciuta al punto da diventare leader, in termini di volumi, nel settore della gioielleria in tutto il mondo. Finita questa avventura, Francesco si è trovato a ripensare alla sua vita e all'epoca che stava vivendo. Pur se gratificato economicamente da anni di successo, l'uscita dal mondo luccicante della gioielleria aveva lasciato a questo cinquantenne la sensazione di avere ancora qualcosa da dire.

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Courtesy F. Minoli

Così, dopo un'attenta analisi del mondo, ha messo le mani nella cassetta degli attrezzi dei suoi valori e coraggiosamente ha fondato Queriot. Più che un'azienda, uno storytelling vincente, un mondo parallelo, fiabesco e poetico: «C'è un paesino, non troppo lontano, non troppo vicino. Una cittadina allegra fatta di alberi e casette dove le storie scorrono e gli affetti si intrecciano», si legge sul portale. Gli affetti sono diventati messaggi, incisi su gioielli in oro e argento. Idee che prendono forma, pensieri che si possono condividere, stati d’animo e ambizioni per sognatrici (e sognatori), tutti rigorosamente made in Italy. Senza esibizionismi, quindi con prezzi accessibili.

Il paesino è ben presto diventato una città, di nome Civita, specchio dell’idea dell’azienda. Batte la sua moneta, un amuleto speciale, dalla forma tonda e imperfetta, preziosa perché può pagare in riconoscenza e amore. E di scambiare emozioni. Ora la città è abitata da una community che su Facebook, appunto, conta 533mila fan. E che, con lo shopping online hanno garantito a Francesco Minoli di tornare a essere protagonista in quel mondo (e in quel mercato) che ben conosce, seppure al timone di una realtà produttiva più piccola, ma tutta sua.

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courtesy Queriot

A sentir lui, il segreto è stato proprio in questo "piccolo è bello". Le dimensioni ridotte gli hanno infatti permesso di creare un "gioiellino" di azienda, in linea con i tempi, quindi sufficientemente lontano dai diktat finanziari e lontanissimo da quel verticismo maschile che pervade molte aziende, anche quelle che in realtà hanno come clienti finali le donne.

Non è stata una passeggiata: «È stato difficile, perché ero abituato a lavorare con un concetto di delega ampissimo nei miei confronti ma anche da parte mia nei confronti dell’imprenditore», mentre al tempo si è trovato a essere personalmente in prima linea a fondare un’azienda in un periodo decisamente nero per le start up. Anche le idee, nonostante la voglia di rimettersi in gioco, sembravano ribellarsi alla missione: «All’inizio, nel 2010 arrivavano solo idee banali, che non davano i risultati sperati. Poi ripercorrendo la lunga esperienza del mio passato sono riuscito a costruire lo storytelling della mia azienda».

Uno storytelling e un'azienda che oggi Francesco Minoli vede come qualcosa con un valore aggiunto umano. Capace di "restituire" alla società la sua stessa fortuna: «Queriot è un piccolo atto politico nei confronti di una società civile che mi ha dato successo e grandi possibilità economiche e che io, come appartenente alla generazione dei sessantenni, vergognandomi dell’eredità economica e politica che la mia generazione sta lasciando al Paese e ai giovani, ho voluto in qualche modo “ripagare”».

Con un certo discernimento, però. Prima i giovani e le donne: «Lavoro con 15 donne e questa scelta mi ha confermato la capacità d’innamorarsi del lavoro, lo spirito di sacrificio e l’impegno fuori dal comune di cui le donne, combattenti vere, sono capaci». Con sprezzo del recruiting imperante, ormai attentissimo a controllare età delle candidate, situazione sentimentale ed eventuali aspirazioni ad avere dei figli prima di assumere, Minoli dice: «Sono andato contro il pensiero corrente di donna-maternità-carriera professionale e quello demagogico secondo cui una donna può “tranquillamente” realizzare la sua famiglia, avere dei figli e, al tempo stesso, realizzarsi professionalmente, una presa in giro che di fatto le ha escluse dal mondo del lavoro pur promettendo il contrario. Quindi ho preso tutte ragazze che sono in età di fidanzamento, matrimonio e figli, tre caratteristiche fondamentali per lavorare insieme. Ho cercato di sostenerle nelle scelte personali e affettive, oltre che nella crescita professionale. Poi, con il Jobs Act sono riuscito ad assumerle e a renderle soggetto economico».

C'è da chiedersi come reagirebbe oggi un qualsiasi direttore di banca di fronte a un idealista che sogna la «casa/azienda in cui trovare tutto il sostegno necessario e in un clima di tranquillità esistenziale, dove non si lavora in affanno per vivere, ma scoprendo il piacere di lavorare, sapendo di poter vivere». Questa terribile crisi, alla fine pare aver portato tutti a un cinismo scontato. Tranne chi dimostra con i fatti che una dimensione lavorativa più umana è possibile.

Non dice, Minoli, quando smetterà di lavorare. Ma quando gli chiedi a chi lascerà questa piccola grande avventura parla di "una generazione": sono le ragazze di adesso, destinatarie del lascito in termini di cultura manageriale dell'ideatore dell'azienda. Le ragazze che lavorano in Queriot avranno in mano le redini, tutte con un ruolo da azioniste.

Purché nessuna di loro dimentichi il senso di Civita: ogni gioiello (che sia un ciondolo, un beds, un bracciale) racconta la storia di questa città ideale, che non rappresenta altro che il nostro mondo, i nostri valori, i nostri sogni. E la fatica necessaria a realizzarli.