Caro Maestro,

avevamo ventilato l’idea di un’intervista leggera e persino un po’ frivola, complice l’atmosfera luminosa di una mattina al Lido di Venezia, dove lei ha presentato il suo bel film Francofonia.

Avrei potuto chiederle, chessò, se legge libri sui tablet, cosa ne pensa della vodka polacca e persino se sa perché alcuni suoi connazionali rubloforniti adorano la Versilia. E invece abbiamo finito con l’interrogarci sull’arte come baluardo alla barbarie, sull’utopia, sui destini geopolitici dell’Europa: roba spessa, a cui ha risposto con sorrisi amabili e un guizzo di malizia negli occhi. Mi perdona? Del resto, maestro Aleksandr Nikolaevič Sokurov, un nome che è un concentrato di “russitudine”, i tempi sono quelli che sono.

L’uscita il 17 dicembre sugli schermi di Francofonia, interamente girato a Parigi e al Louvre, è stata programmata un attimo prima degli attentati e dell’orrore, quasi profeticamente. E anche lei ci mette del suo: con un Leone d’oro nel 2011 per Faust, girato nel formato che fu del cinema muto (!); una trilogia dedicata a figure colossali come Hitler, Lenin e l’ultimo imperatore giapponese Hirohito; il record titanico di Arca Russa, il più lungo piano-sequenza del cinema girato all’Hermitage di San Pietroburgo, chiederle dove va in vacanza sembra brutto.

Certo, con Francofonia il registro è un po’ cambiato, si tratta di un film dai ritmi serrati e in qualche momento persino divertente, con il plot incentrato sulla collaborazione tra il direttore del Louvre Jaujard e l’ufficiale tedesco Wolff-Metternich, che si alleano per mettere in salvo i tesori del museo dalla bulimia collezionistica del comando nazista, dopo l’occupazione del 1940. Un film con risvolti ahimè attualissimi, e con quel sottotitolo che lei ama ripetere: Francofonia - Un’elegia per l’Europa.

Visto che citare l’Europa, e soprattutto la Francia, oggi ha lo stesso effetto di un nervo scoperto dal dentista, la domanda è: quale Europa intende, signor Sokurov?

Quella umanista, della pace. Un’Europa che non è soggetta né agli americani né ai bolscevichi (esatto, ha detto proprio bolscevichi, ndr), e che vive in pieno la propria identità. L’Europa è la culla della civiltà, e quindi ha il diritto morale di poter dettare al resto del mondo i propri principi etici. Il diritto e l’obbligo.

Su cosa sia l’Europa, però, c’è parecchia confusione. Come quando mesi fa i giornali titolavano “La Grecia fuori dall’Europa”, o ci si interroga sul ruolo della Russia nei nuovi assetti geopolitici. Infatti la Grecia fuori dall’Europa è un ossimoro, dovuto alla spaventosa ignoranza dei politici, ripresa a sua volta da qualche giornalista. Un’ignoranza che auspico involontaria, anche se temo che venga spesso usata in maniera strumentale, quasi teppistica.

Da russo, penso che la Russia non solo è per grandissima parte europea, ma è anche un’enorme risorsa per l’Occidente, naturale e intellettuale. Se ci sarà bisogno, noi saremo alleati, difenderemo insieme l’Europa dalle invasioni. In un certo senso la Russia è una sorella minore, più giovane. Non possiamo che sostenerci, siamo imparentati.

Se l’arte rimane un baluardo alla barbarie, a cosa servono i musei?

I grandi musei come il Louvre o gli Uffizi sono casseforti, raccolgono e preservano. E infatti non amano mostrare le collezioni. Sotterranei e magazzini sono molto più vasti delle sale da esposizione. Ed è giusto.

Perché sarebbe giusto?

Perché alla fine anche i quadri e le sculture si stancano di essere guardati. è difficile da capire, ma quando El Greco o Rembrandt dipingevano, una parte della loro personalità e della loro energia spirituale era trasmessa all’opera. L’arte ha un’entità fisica evidente. Prendiamo il Louvre, per esempio: non è un caso che attraversare un paio di sale ci stanchi tremendamente. I capolavori non ci danno energia, la risucchiano. In un’intervista ha sostenuto che dopo l’Ottocento l’arte non esiste, persino Picasso non è così grande.

Lo pensa davvero?

Certo, non lo rinnego affatto! E la ragione è che sino all’ottocento gli artisti parlavano al cuore, e non alla testa. Si relazionavano con la fede, in particolare con il cristianesimo. I contemporanei non hanno fede, o se ce l’hanno è frutto di una scelta razionale. Nel film c’è una Marianne che vaga per il Louvre ripetendo “liberté, egalité, fraternité”, parole che sono altrettanti spunti di riflessione.

Cosa rappresenta?

La Marianne è una poetessa. È la voce del popolo, la democrazia. Ed è per questo che non ha niente a che fare con la vita reale, perché la democrazia, ossia il potere del popolo, non esiste, in Europa come in Russia o in America. È un’illusione, un’invenzione. Recita solo un mantra.

Vuol dire che non esiste nemmeno una democrazia parziale, imperfetta?

Penso di no. Specie adesso, che si è affermata una classe sociale nuova, quella dei burocrati. Paradossalmente, molto più forte di quelle di cui scriveva Marx. Perché il capitale del passato aveva il potere dei soldi, mentre i burocrati non solo hanno ricchezza, ma anche il potere del potere. Oggi i nuovi eroi hanno il volto di un archeologo ottantenne, di un amico a un concerto, di un sorvegliante allo stadio.

In Francofonia, chi ha più coraggio?

Senza dubbio Wolff-Metternich, l’ufficiale tedesco. Il direttore del Wolff-Metternich, l’ufficiale tedesco. Il direttore del Louvre agisce sempre nei limiti, senza rischiare più di tanto. E infatti è rimasto al suo posto sino alla fine dell’occupazione. Mentre se il comando nazista avesse capito il meccanismo messo in moto dall’ufficiale, di certo l’avrebbe processato e ucciso.

Non le viene voglia di girare una storia più piccola, che riguardi il presente? Magari un film d’amore...

Beh, potrei prendere in esame il rapporto tra due persone. Ma una storia d’amore non è affatto un tema piccolo, è un enigma insolubile. Però non ne farei una storia tragica, non mi piace vedere chi non si ama, o peggio, si odia.

Per favore, lo faccia, maestro Sokurov. Ci faccia questo nuovo regalo. Ne abbiamo proprio bisogno.