Al secondo piano ci siamo noi giornalisti in attesa, appesi come gli abiti che girano sugli stand e poi vengono inghiottiti dentro certe camere. Contiamo mentalmente quanti minuti in meno avremo a disposizione per l’intervista, dal momento che Susan Sarandon, in zona “terrace”, è ancora al makeup ed è in ritardo. Ogni tocco di mascara in più si ripercuoterà a cascata sul numero di domande che ciascuno avrà a disposizione. Una specie di rovinoso effetto farfalla formato mignon, che inizia dentro quel microcosmo isterico che è l’Hôtel Martinez nel giorno di apertura del Festival di Cannes e finisce sulle pagine dei giornali di mezzo mondo. Poi finalmente la Sarandon (nuovo volto di L’Oréal Paris per la linea Age Perfect) arriva con una camminata ieratica, ma forse è cauta per la caviglia convalescente (se sei a Cartagena de Indias, in Colombia, per il Festival Internacional de Cine, e per l’occasione ti consegnano la chiave della città, dopo vuoi non fare alpinismo sulle montagne lì intorno?).

Indossa un tailleur in broccato rosso scuro molto castigato, e non lascia immaginare che poi, sul red carpet, esibirà una scollatura e uno spacco garibaldini che faranno molto parlare di lei, insieme ad alcune dichiarazioni sulla pedofilia incestuosa di Woody Allen, il valore delle registe di film porno, eccetera eccetera. Di qui a poche ore, riceverà con Geena Davis il Women in Motion Award per il suo multiforme impegno riguardo ai diritti delle donne e di tutti gli altri.

Alla fine del frenetico domanda e risposta, quando sono già alla porta, mi fermerà e indicherà le mie scarpe, delle specie di Dr. Martens d’oro che uso per dare un colpo al cerchio e uno alla botte quando non so bene cosa mettere: «Ne ho un paio simili, ma a stivaletto, arrivano sotto il ginocchio». Lo dice a tempo scaduto per darmi qualcosa di più a livello umano, per trovare un contatto difficile da creare quando un’intervista è obbligata a diventare un interrogatorio serrato, e io le voglio bene per questo, perché quello in cui crede, e di cui mi parla, è ciò che evidentemente pratica nel piccolo e nel grande, in tutti i momenti della sua vita.

Uno la vede nel Rocky Horror Picture Show, in Atlantic City, Usa di Louis Malle, in Thelma & Louise di Ridley Scott (un cult che quest’anno compie 25 anni), in Dead Man Walking di Tim Robbins (suo ex marito, padre di due figli su tre) e crede di conoscerla. Poi scopre che magari non la conosce davvero, però la riconosce. A partire da quel volto luminoso, (im)perfetto, unico.

Qual è la sua personale idea di perfezione?

Mah. Non c’è niente di interessante nella perfezione. È l’imperfezione a rendere le persone esattamente ciò che sono. A ben guardare, ogni cosa è imperfetta.

Compie 70 anni a ottobre. Potrebbe scrivere una miniguida alla vita in cinque punti, dedicata ai suoi nipoti?

Siate autentici. Siate gentili. Fate i vostri errori. Siate coraggiosi. E siate flessibili.

Cos’ha perso per strada che avrebbe voluto tenere con sé, e cosa ha conquistato che prima non aveva?

Ho perso delle persone e delle cose, ma nulla che mi servirebbe davvero adesso. E ora mi ritrovo con una visione d’insieme davvero ampia.

Gli anni 60, e poi Thelma & Louise, e poi eccoci qua, adesso. Come sono cambiate le donne? Gli obiettivi sono in fondo sempre gli stessi?

Non lo dica! Il controllo delle nascite è stato una svolta decisiva. Ha permesso di non dover scegliere tra carriera e figli, di stabilire quanti e quando, o anche nessuno. Non la sto facendo facile, non sto banalizzando, so che è dura tenere insieme tutto. Ma prima ti veniva spiegato che o stavi a casa, o stavi fuori. Oggi può persino capitarti che se lavori, la tua famiglia sia felice lo stesso. Lo vedo con mia figlia (l’attrice Eva Amurri, figlia di Franco, che da poco ha avuto una bambina, ndr). Avere la possibilità di scegliere ti dà un grande senso di potere sulla tua vita. Penso anche che nei 50 e 60 prevaleva, tra le donne, la competizione, e il loro modo di acquisire potere era attraverso quello degli uomini. Ora si rivolgono alle altre donne per farsi coraggio, per chiedere un supporto. Le considerano parte della loro tribù. Ultimamente, anche nel mio lavoro, ci si può permettere di essere sincere. Certo che è un’industria competitiva, ma la maggior parte di quelle che conosco, coetanee o più giovani, vedono le donne come una risorsa.

A proposito degli anni delle donne competitive: nella nuova serie antologica Feud diretta da Ryan Murphy sta per diventare la Bette Davis di Che fine ha fatto Baby Jane?. Cosa sta scoprendo di lei?

Sono terrorizzata dall’idea di diventare Bette Davis. Non ho ancora lavorato abbastanza, ho letto poco della sceneggiatura, ho scarsi dettagli a disposizione e per ora sto studiando i suoi vecchi film. Certo, conosco Jessica Lange (sarà Joan Crawford, ndr) e sono emozionata all’idea di lavorare con lei, e Ryan è a dir poco entusiasta del progetto, ma è ancora un po’ assorbito dalla produzione di American Crime Story, credo che non saremo completamente concentrati su Feud fino a settembre. Abbiamo ancora tempo... Ho in programma di entrare nel personaggio e ripercorrere le diverse tappe della sua vita. Comunque il focus sarà senz’altro su Bette e Joan, ma anche su una situazione del sistema hollywoodiano che tendeva a voler mettere un’attrice contro l’altra. Era un mondo di uomini, e lo è ancora! In questo senso non è che sia cambiato granché.

Il nuovo documentario di Michael Moore e l’ultimo libro di Ta-Nehisi Coates, Tra me e il mondo, raccontano che il sogno americano costa troppo caro per troppi americani. Oppure sta scomparendo. Qual è secondo lei la “revolutionary road” per riuscire a riacchiapparlo?

Gli americani ultimamente si sono svegliati. Bernie Sanders ha dato energia a un sacco di persone e le ha incoraggiate ad accorgersi di cosa stanno perdendo. È l’unico che ha saputo parlare della scomparsa della middle class, è davvero sulla stessa lunghezza d’onda di ciò che si racconta nel documentario di Michael, perché se guardi gli altri paesi e vedi come sono strutturate la sanità, la giustizia sociale, il sistema penitenziario, il concetto di vacanza, ti accorgi davvero di come l’influenza del denaro nella politica abbia fatto perdere il senso di dove stiamo andando. Bernie Sanders dice: riprendiamoci la democrazia. Il sistema educativo e le infrastrutture nel nostro paese stanno crollando perché c’è una forbice troppo larga tra chi sta bene e chi sta male. Sanders è stato il primo candidato a non prendere soldi da Wall Street, anzi vuole tassarla. Il primo a non essere connesso con la grande industria, il fracking o la General Motors. Mi pare un bel modo per iniziare a sovvertire lo status quo. Che, è chiaro, non sta funzionando. Molta gente cerca di dire che è un socialista, ma è un socialdemocratico. E non vuole più politiche interventiste, che anche Obama ha perseguito. Abbiamo sprecato l’occasione di sperimentare strategie alternative a quelle di cui si può avere già più che un’idea se la Clinton diventasse presidente.

È appena stata a Lesbo per partecipare ai soccorsi dei profughi. Come vede questa situazione europea?

Penso che la questione dell’immigrazione sia morale prima che economica, e deve essere vista come tale. Credo che la Germania si sia impegnata anche più di quanto poteva e non ho visto altri paesi farsi avanti. Dopo Cannes vado a Berlino per inaugurare un tavolo da ping pong in un campo per rifugiati, e mi renderò conto di come sta andando là.

Quand’è che nella vita ha avuto proprio, davvero paura?

Quando siamo entrati in guerra con l’Iraq. Faceva paura vedere dove stava andando l’America, e cosa succedeva se facevi domande: ho ricevuto minacce di morte terribili.

C’è stato un film che le è sembrato al di sopra delle sue possibilità?

Accade spesso. Ma quando mi fu offerta la parte nel Rocky, sapevo che se non l’avessimo fatto bene... Sembrano impossibili i film che trattano temi che non sono stati davvero affrontati prima. Senti un’enorme responsabilità.

Se potesse scegliere di fare una lunga conversazione a cena con qualcuno, chi sceglierebbe?

Direi... Quel prete, come si chiama? Matthew Fox, è una combinazione tra un religioso e un uomo di scienza. Le domande metafisiche mi interessano sempre di più. E poi parlerei con Niki de Saint Phalle. Faceva queste enormi sculture... Una donna selvaggia. Ha fatto un grande parco in Italia! (Il Giardino dei Tarocchi di Garavicchio, ndr).

Lei, che da ragazzina ha avuto una rigida educazione cattolica, dice che si può insegnare la spiritualità?

Nasci, e subito inizia il processo di socializzazione. Istintivamente riconosci il divino in ogni persona e nella natura: è questa la spiritualità. La sua istituzionalizzazione ti fa perdere la strada. Iniziamo tutti semplici e spirituali. E così potremmo restare.