Radiosa di quella bellezza nonchalant che è la cifra stilistica di chi possiede in non modica quantità fascino, classe e intelligenza innati, Anna Mouglalis è la protagonista del calendario 2010 di Marie Claire, firmato da Karl Lagerfeld e ispirato alle grandi dive del cinema neorealista italiano (così come sono tutti firmati dai più grandi nomi della moda italiana tutti gli abiti che indossa mese dopo mese).

«Ho sempre amato l’intensità di Anna Magnani, la sensualità di Sophia Loren, il trasformismo di Monica Vitti. Per me, i film di De Sica, Visconti o Rossellini sono state grandi lezioni per la mia carriera, anche se...».

Anche se? «Sa quel che si dice, no? “Il neorealismo è finito quando i registi hanno smesso di prendere i tram e sono saliti sulle macchine con l’autista”».

E lei, a 31 anni e dopo tanti successi, ha la macchina con l’autista? «Macché, continuo ad andare in scooter come facevo a 20 anni».

E ride con la sua inconfondibile voce roca («in passato mi ha dato tanti problemi: pensavano non andasse d’accordo con il mio fisico...») che ricorda quella, grondante ambiguo erotismo, di Jeanne Moreau.

Attrice (la vedremo presto come protagonista in Coco Chanel e Igor Stravinsky, con la regia di Jan Kounen e nei panni di Juliette Gréco nel biopic Serge Gainsbourg, vie héroïque, di Joann Sfar), regista, scrittrice, mamma di una bambina cui ha dato il nome maschile di Saül, («il primo re di Israele, scelto dal profeta Samuele») è anche testimonial della maison Chanel che l’ha scelta per la sua eleganza naturale, esattamente com'è assolutamente, innegabilmente chic in questo momento: indossa una minigonna nera come la t-shirt più varie sigarette, suo accessorio irrinunciabile, «ma vi assicuro che sto cercando di smettere».

Oggi è vestita in maniera molto diversa rispetto alle sue mise per il nostro calendario... Devo essere sincera: non sono una fashion addict anche se apprezzo la bellezza e la qualità. Diciamo che il legame con Marie Claire Italia e con Karl Lagerfeld è di natura più emotiva e di rispetto che non solamente estetica. Credo nella condivisione dei valori, anche quando si parla di moda.

Qual è il suo rapporto con Karl Lagerfeld? Di amicizia pura, quasi di complicità: trovo che sia una persona molto generosa, soprattutto di se stesso. Ed è in assoluto la dote che più mi attrae nelle persone: non essere avari di ciò che si è, piuttosto di ciò che si ha. E poi di Karl mi continua a stupire la stupefacente vitalità e il pensare avanti continuamente come filosofia di vita: non ha nostalgie, non ha rimpianti. È di una contemporaneità che molti miei - non suoi - coetanei non si permettono neanche di sognare. È il mio interlocutore perfetto, mi ha dato fiducia e libertà non solo da quando sono testimonial Chanel, ma anche nei tempi in cui, per vivere, facevo l’indossatrice:sono andata via da Nantes, dove sono nata, a 16 anni e poi sono arrivata a Parigi...

...e lì è diventata una delle muse della maison più famose di Francia. Ma fare pubblicità e lavorare nel cinema non ha mai causato un conflitto d’interessi? Al contrario. Come le dicevo, condivido con Chanel e il suo creatore molto più che un modo facile per guadagnare denaro. Coco era una punk del suo tempo,un’imperatrice dell’andare controcorrente, una femminista antelitteram in un mondo dove essere definite intelligenti per le donne era un insulto. E averla interpretata è stato un grande onore. Nel film, a 37 anni, incontra Igor Stravinsky e lo mantiene, dato che è poverissimo e lei è così celebre e ricca da pagargli le cure per la figlia tisica. Ma la più bella creazione di Coco Chanel è stata la sua vita: lussuosa, solitaria e terribilmente infelice.

Lei ha ricevuto, al Circuito Off di Venezia 2009, una menzione speciale della giuria per il suo primo cortometraggio da regista, Les Filles (visibile sul sito www.secondsexe.com): un minifilm decisamente erotico, se non pornografico... Non è un film porno, anche se non ho nulla contro la pornografia, se non che è fatta, realizzata e consumata da maschi che rendono le donne un oggetto di piacere e mettono così in scena le loro fantasie. In realtà,mi interessava esplorare quest’argomento dal punto di vista femminile, sicuramente differente. Per le donne sessualità e sensualità spesso coincidono e non ci può essere sensualità senza provare delle emozioni. Anche delle emozioni molto forti.

Che cosa significa sensualità, per lei? È un’arte, un linguaggio con un suo vocabolario preciso, e nello stesso tempo ricco di significati. La sua rappresentazione dovrebbe essere, tanto per usare un termine a me caro, più “generosa” nel tenere conto di tutti i suoi aspetti, molto più complicati e lontani dalla banalità del porno.

C’è una parola che, per lei, sintetizza la complessità dei sentimenti e del desiderio visti da una donna? Sì. Volupté. In francese voluttà non rimanda solo al piacere fisico, ma a una filosofia di vita: godere di momenti e di cose belle. In questo senso anche un abito, un bicchiere di vino rosso o una serata con gli amici possono essere “voluttuosi”. Spero di averlo fatto capire con Les Filles, dove l’unica penetrazione è quella di un dito di una ragazza tra quelle di un uomo che ha la mano sul banco di un bar.

Dopo questo premio ha pensato di continuare? Veramente ho giàquasi finito di girare il mio primo cortometraggio: si chiama Les Gars e il protagonista maschile è sempre lo stesso di Les Filles: il mio compagno Samuel Benchetrit. Per la trama mi sono ispirata a una fiaba russa di vampiri: lui è un crudelissimo cannibale che incontra una giovane vergine in un villaggio di minatori e la risparmia perché se ne innamora, ma non prima di aver sterminato la sua famiglia. È la storia di un’iniziazione amorosa.

Piuttosto crudele, mi sembra... ...ma altrettanto simbolica di qualsiasi rapporto d’amore. Non le pare? Ogni relazione sentimentale implica un vampirismo reciproco, ma da intendere in senso positivo: non volevo evocare il fantasma della morte, quanto quello della fusione assoluta tra due corpi e due anime.

Meglio fare la regista o l’attrice? Devo confidarle che la gioia di costruire un film - ho scritto anche il soggetto e la sceneggiatura di Le Gars - mi ha dato una tale soddisfazione che, in questo momento forse è il ruolo che mi piace di più. Inoltre, realizzare una storia per immagini è sempre il frutto di un lavoro corale: parli con l’operatore, lo scenografo, gli attori. Tutti possono offrire consigli preziosi perché riesca bene. Non amo fare la regista per la smania di potere, ma esattamente per il contrario.

Com'è stato diventare mamma? A costo di sembrare banale, è un’esperienza fortissima. Anche se non credo molto nella mitologia dell’infanzia, confrontarsi con un mondo - quello di una bambina di due anni - così denso di immaginazione, mi dà le vertigini. E poi Jules, il figlio di Samuel (sposato in prime nozze con Marie Trintignant, morta tragicamente, ndr) che ora ha undici anni, non vedeva l’ora di non essere più figlio unico...

Perché le ha dato un nome maschile? Innanzitutto Saül ha un suono bellissimo. E poi perché non mi piacciono i nomi troppo comuni: la nascita di un figlio ha sempre qualcosa di miracoloso e merita dunque un nome speciale. Infine, ai tempi del profeta Samuele, Dio preferiva solo uomini al potere. Che giunga l’ora del potere alle donne, finalmente! Darle questo nome è stato anche un omaggio alla Grecia, da dove proviene la mia famiglia, più precisamente a Kastellorizo: lì non si attende di sapere il sesso del nascituro per scegliere il suo nome, lo si decide già al terzo mese di gravidanza.

Lei ha sempre scelto di interpretare personaggi molto tosti: la prostituta Patriziain Romanzo criminale, Simone de Beauvoir in Les amants du Flore, ora due monumenti della cultura francese come Coco Chanel e Juliette Gréco... Non la spaventa confrontarsi con personalità tanto forti?

Sono tutte donne che mi ispirano per la storia della loro vita, anche se sono eroine in negativo, come Patrizia in Romanzo criminale. Devono affascinarmi, devono farmi venire voglia di essere come loro.

Lei è a conoscenza,vero, della strage di maschi italiani che ha compiuto con Romanzo criminale? In effetti, il film è andato molto bene. Ma questo perché sia la storia sia i colleghi hanno dato vita a un progetto interessante. Di sicuro uno dei più importanti di tutta la mia carriera.

In Italia è diventato un serial di successo... Me l’hanno detto e ne sono contenta, anche se rimango convinta che i film al cinema stanno alle serie tv come l’alta moda sta al prêt-à-porter.

Come si prepara a interpretare certi personaggi così ricchi di sfaccettature psicologiche? Seguo un doppio binario: per esempio, in testa ho la mia Juliette Gréco o la mia Coco Chanel, ma poi inizia il lavoro di confronto della mia immaginazione con una quantità impressionante di materiali: film, interviste, trasmissioni. Sono estremamente curiosa dei personaggi difficili - o anche sgradevoli - e quindi ho bisogno di poterli interpretare seguendo ciò che rappresentano per me, ma anche cercando di restituirgli la loro autentica essenza psicologica. Una cosa che non sopporto sono gli attori che recitano come se andassero in ufficio: tra una scena e l’altra corrono nei camerini a fare telefonate, a chiacchierare, a organizzarsi la serata. Quando recito io sono del tutto immersa nel film, aderisco a quello che sto facendo.

Un’altra cosa che proprio non sopporta? Chiunque usi l’espressione «Ho fatto del mio meglio». C’è sempre un “meglio” ulteriore, per così dire, ed è nostro compito cercare la perfezione.

Cosa pensa del cinema italiano, lei che è così amata da noi? Credo stia vivendo un bel momento di rinascita: il film che di recente mi ha fatto più riflettere è stato Gomorra. Mentre il film italiano preferito di sempre è Lo scopone scientifico, di Luigi Comencini, con un’altra attrice-mito, Silvana Mangano.

Cosa pensa del cinema di oggi, in generale? So di avere la fama di un’attrice che sceglie film di nicchia, ma in realtà apprezzo Michael Haneke esattamente come una produzione Pixar.

Lei è nota anche per essere politicamente impegnata... Preferirei non parlarne. Quello che mi sta a cuore dire è che si tende a considerare gli artisti - attori, pittori, scrittori - meno importanti dei politici, quando è vero esattamente il contrario. È più importante e incisivo il messaggio sociale lanciato da un film oda un libro piuttosto che qualsiasi dichiarazione di uno statista.

Ultima domanda: bianco e nero o colori? Nessun dubbio: bianco e nero. I colori del sogno, della fiction, della creatività... E delle foto di Karl Lagerfeld per il vostro calendario.