Chi conosce A.B.O. (come lui stesso si è a soprannominato), ovvero Achille Boni­to Oliva, il critico più mediatico d’Italia, solo attraverso le sue irose boutade o i calembour («Io sono partenopeo e parte no»), potrebbe farsi un’idea sbagliata. Perché lui, 71 anni, è di sicuro anche que­sto: provocazione, narcisismo, certezza granitica di essere il numero uno. Ma la sua personalità è una stratificazione di elementi complessi, conditi da un’eccelsa intelligenza e da una volontà di ferro (in questi giorni, in libreria, la sua ultima opera: Enciclopedia delle arti contempora­nee, Electa).

A.B.O. è allo stesso tempo il militante che combatte per l’arte come vi­ta; l’esploratore innamorato, più che delle persone, dell’incontro; il performer che si ispira a Ignazio di Loyola e Andy Warhol. E infine, un signore indomito che mai ce­derebbe alla saggezza che si suole attribui­re alle persone navigate e di una certa età.

Il suo primo ricordo da bambi­no? Il mio palazzo di famiglia, il vento che si infilava di notte, io che guardo il camino… Era già un po’ come vedere la tv.

Quando ha capito di amare l’arte? Subito. Perché subito ho iniziato ad amare me stesso. L’arte è stata e sarà sempre mezzo di vita, nutrimento.

Il suo primo errore come critico? (questa non ho osato fargliela)

Perché preferire l’arte alla tv? Perché l’arte muta spesso, la televi­sione è sempre uguale a se stessa.

Cosa pensa di Jeffrey Deitch, miti­co gallerista Usa? È bravissimo, un grande conoscitore dell’arte di oggi.

Vede il Festival di Sanremo? No.

Sgarbi la cita sempre in coppia con Celant: perché, secondo lei?Forse perché in Italia tutto funziona per coppie o per contrapposizioni: Dolce & Gabbana,destra e sini­stra, Bonito Oliva e Celant…

Quanto conta il potere dei me­dia nel successo di un artista? Molto. E oggi gli artisti più svegli sanno come usarlo, e bene.

Lei crede in un’arte “per tutti”? Credo in un’arte che possa parlare a tutti; ma l’arte richiede sforzo,oggi la gente vuol fare sempre meno fatica.

Giorgio De Chirico: perché un giovane dovrebbe conoscerlo? Perché l’interpretazione che io ne offro è completamente nuova.

Dell’arte fascista cosa salva? L’ar­chitettura di Piacentini e Pagano.

E di quella comunista? (Non fatta)

La Biennale ha ancora senso? Ha avuto ancora senso fino alla mia Biennale. La prima veramente multidisciplinare, che ha superato il senso classico di nazione.

Tra cento anni l’arte esisterà an­cora? L’arte è esistita da quando esiste l’uomo, e sempre esisterà.

Su chi o che cosa sputerebbe del­l’arte contemporanea? Su nulla.

Perché l’arte di oggi suscita ag­gressività nella gente? (Non fatta)

L’arte può o deve ancora essere politica? È politica perché l’uomo è un animale politico.

Cosa pensa del modo italiano di discutere di arte? (Non fatta)

Un critico può essere imparziale? No. Non può essere catastale, notarile e neutrale: vive nella storia, nel rap­porto con la cultura come con tutto il corpo sociale. È emotivamente coin­volto in un rapporto di parzialità.

Cosa detesta del sistema dell’ar­te di oggi? I filippini della critica, i servi di scena, i maggiordomi e le badanti. L’ultima generazione che fa pura manutenzione.

L’ultima proposta a cui ha detto di no? Il premio Terna.

La proposta che non ha ancora ri­cevuto e a cui vorrebbe dire sì? Nessuna.Vivo sempre più in uno stato di santità, riduco i miei desideri.

Cosa può ancora fare l’arte per l’Italia? Trasformare l’arte“Made in Italy” in “Italy Made in Art”.

E l’Italia per l’arte contempora­nea? (Non fatta)

Perché abbiamo un costante sen­so d’inferiorità verso gli stranieri? Perché siamo uno Stato d’animo. Abbiamo un’emotività antropologica che ci porta a confrontarci in manie­ra idealizzata con quello che è al di fuori dei nostri confini.

Quanti bravi nuovi artisti scopre ogni anno? Sono come un chirurgo che non si commuove più davanti al sangue e quindi ne trovo sempre me­no. Ed è giusto: il mio sguardo non da angelo custode,ma da angelo sterminatore, salvaguarda la qualità.

Cosa direbbe a un giovane arti­sta: «Resta in Italia» o «Vai via»? Gli direi di fare quello che vuole, ma credo che il nomadismo sia parte in­tegrante della psicologia dell’uomo.

Cosa farebbe se fosse ministro della cultura? Cercherei di porta­re tutti i musei in una situazione di continuità: cioè evitare la divisione tra arte contemporanea ed arte an­tica, per lasciare un filo di con­giunzione tra passato e presente. Non voglio imporre l’idea che il con­temporaneo sia nemico dell’antico o che l’antico non contenga il contem­poraneo. E aggiungo anche che sen­za l’arte di oggi non capiremmo tan­te cose dell’arte di ieri.

Lei usa internet? La usano per me. Io non lavoro, io faccio lavorare.

Per cosa spenderebbe molto de­naro? Non esco mai con un soldo in tasca. Sono un mantenuto della vita.

Passione e ambizione: cosa è più importante nel suo mestiere? Nel mio, in particolare, è molto importante il narcisismo: è il mo­tore di ogni mio comportamento. Sono narcisista, non vanitoso: la vanità è il prêt-à-porter del narcisi­smo, è epidermica e si consuma ve­locemente. La passione e l’ambi­zione nel mio caso si sposano con l’erotismo, col mio rapporto col mondo, con il mio desiderio di vita.

Ha più potere l’artista o il critico? Ha più autorità l’artista e può ave­re più potere il critico.

Un artista che la fa uscire dai gangheri? Quella generazione che va da Piero Dorazio ad Achille Pe­rilli, che ha sistematicamente spara­to al bersaglio contro tutti gli arti­sti delle generazioni successive: Schifano, De Dominicis, Vittor Pisani, la Transavanguardia.

La crisi economica ha fatto bene o male all’arte? Ha fatto bene, ha bucato la bolla finanziaria, ha smascherato il bluff dei finanzieri che si fingevano collezionisti per avere un’immagine di potere. Ha ridimensionato i prezzi senza dan­neggiare l’arte italiana, che ha sempre avuto costi ragionevoli.

E agli artisti? Bene. Ha introdotto un principio di responsabilità e di frugalità.

Tre artisti che non possono non entrare nel Maxxi di Roma, per cui lei ha organizzato delle mo­stre? La collezione del Maxxi è in­ternazionale e pluralista per garan­tire la ricerca di qualità e novità.

Tre motivi per passare la domenica in un museo anziché alla partita?Primo: al museo non c’è la curva sud. Secondo: il silenzio. Terzo: quel che si vede dura molto più di 90 minuti.

Preferisce stare dietro la penna o davanti a un microfono? Io sto sem­pre davanti al microfono: il pubblico per me è indispensabile e solo davanti al pubblico do il meglio di me.

Un incontro che le ha cambiato la vita? È quello che sto cercando di avere con me stesso. Mi sto dan­do appuntamento ma sembra an­cora che ci sia qualche ritardo.

Un incontro che vorrebbe ancora fare? A me piace l’incontro. Se lo associo a una persona ne limito la portata. Io la mattina esco e cam­mino, cammino molto a piedi. Spesso siccome abito in un luogo molto bello, penso che non vorrei mai morire. Io mi sento in una con­dizione di immortalità: per me l’in­contro è da intendere in senso globa­le. Mi spiego: per me è importante anche scambiare qualche parola con persone che non conosco e poi anda­re oltre. E mi viene un’allegria legata al piacere di non fermarmi.

Qual è il suo maggior pregio? La velocità.

E il suo peggior incubo? Non ho incubi. Ma ho un sogno ricorren­te: sogno di camminare nudo per strada senza che gli altri se ne accorgano.

Cosa significa essere italiano og­gi per lei? Significa appartenere a una patria multimunicipale, il che non è scandaloso, perché per me equivale soprattutto a una grande complessità culturale.

Che cosa pensa delle giovani generazioni? Penso che debbano dimostrarlo, di essere giovani.

Se non fosse italiano cosa vor­rebbe essere? Napoletano.

Qual è il suo scrittore preferito? Franz Kafka.

Il suo film preferito di sempre? Otello di Orson Welles.

Quanto tempo dedica a ciò che non è arte ogni settimana? Tutto e niente, per me il lavoro è la vita.

Warhol o Bacon? Warhol alla Bacon.

Raffaello o Caravaggio? Caravaggio.

Alighiero Boetti o Mario Merz? Alighiero Boetti.

Va spesso al cinema? Certo, ma vedo solo film “mirati”. Credo di avere l’occhio e la competenza per selezionarli.

Il film più bello visto di recente? Lourdes.

Il suo gol più bello? La mia prima mostra: Vitalità del negativo nel­l’arte italiana, a Roma.

E il rigore sbagliato? (Non fatta)

Mi spiega la differenza tra un cu­ratore e un critico? Mi ripeto, il curatore è solo un filippino dell’arte.

«Potevo farlo anch’io»: mai pen­sato di fronte a un’opera? Mai.

Un quadro che non vorrebbe nep­pure in bagno? In casa non ho quadri da nessuna parte. Non ne compro, non ne accetto in regalo.

Un grande artista di meno di trent’anni? Non c’è.

Ora che la “lotta” tra pittori e non pittori è finita qual è oggi la questione scottante nell’arte? L’eco­nomia gonfiata che ha moltiplicato i prezzi dell’arte anglosassone.

Perché va così poco in televisione ultimamente? Perché viaggio molto per il mondo, per andare in televisio­ne. Dovrei fare il presenzialista di professione e invece godo del privile­gio di fare il nomade di professione.

Cosa le interessa di quello che c’è al di fuori del sistema dell’ar­te? Come le dicevo per me non c’è differenza, non c’è un “fuori” e un “dentro”. Tutto è arte.

Critico, direttore di museo, col­lezionista: chi ha più potere og­gi? Direi senza dubbio chi dirige un museo.

La gente non capisce l’arte con­temporanea: di chi è la colpa? La gente è sempre più pigra. Sicco­me l’arte richiede di impegnarsi e non ti dà mai tutto e subito, tende a dire che non la capisce.

Un artista che le ha cambiato il modo di vedere l’arte? Marcel Duchamp.

Per capire un’opera quanto con­ta conoscere l’artista? Poco.

Nella sua esperienza è più narci­so il critico o l’artista? Io.

Gli anni d’oro dell’arte italiana? I 70 e gli 80: un periodo eccezionale.

Cosa pensa della moda? La moda è effimera e per questo è struggente: ci ricorda il tempo che passa. Chi non passa, purtroppo, sono gli stilisti...

Cosa guarda immediatamente in un’opera? Ciò che mi seduce.

Viaggia spesso? In continuazio­ne. L’ho detto: sono un nomade.

Cosa la emoziona ancora oggi? L’arte, quando la incontro.

Cosa riesce a intristirla? La ripetizione.

Cosa la rende davvero felice? Il momento più felice è quando ho finito di scrivere un bel testo o di installare una bella mostra.

È vero come dice Rolling Stone che Berlusconi è la più grande rockstar? Non capisco perché rock.

In cosa sbaglia la sinistra italia­na? Sbaglia a non avere il coraggio di riprogettare il futuro con un’at­titudine globale, rinascimentale.

Domani scoppia una rivoluzione che abolisce i mestieri intellet­tuali: lei come si ricicla? Io vera­mente non ho mai lavorato, ho sempre fatto lavorare gli altri.

Ha mai comprato arte? Compra­to? No, mai. Assolutamente.

Una mostra impossibile in Italia? Ne ho fatte a decine. La prima nel ’73 nel parcheggio di Villa Bor­ghese. E una che ho appena fatto: quella su Gino De Dominicis al Maxxi, arricchita da un catalogo con tutte le opere che fino a oggi era stato impossibile archiviare.

Un museo necessario che anco­ra non c’è? Lo hanno appena aperto: il Maxxi.

Cosa farà rinascere l’Italia? Una rivoluzione antropologica che riesca a toglierci da questa situazione di cul­tura cattolica per cui prima pecchia­mo, poi ci pentiamo e poi tutto rico­mincia sempre uguale a se stesso.

Lei è ottimista o pessimista? (Non fatta)

Chi l’ha chiamata A.B.O. per pri­mo? Io.

Tre capolavori che salverebbe da un incendio? Il ritratto di Ugo­lino Martelli del Bronzino. Les De­moiselles d’Avignon di Picasso. Una qualsiasi opera di Egon Schiele.

Un consiglio a chi vuole fare il suo mestiere? Il mio non è un mestiere. Critici si nasce, artisti si diventa, pubblico si muore.

Lei insegna? Sì. Insegno Storia del­l’arte contemporanea all’università.

Cosa le piace dell’insegnamen­to? Il silenzio degli allievi.

I ragazzi che oggi hanno 20 anni in cosa sono diversi da quando aveva 20 anni lei? Sono meno de­terminati, più ermafroditi, indecisi a tutto, hanno poche ambizioni e so­no figli ad oltranza, non vogliono la­sciare la famiglia d’origine. Vivono il piacere del mucchio, del gusto col­lettivo, non di quello individuale.

Non le piacciono molto, mi pare. No, niente.

Per cosa rinuncerebbe all’arte? Vissi d’arte. Non posso che conti­nuare così.

La differenza tra guardare l’arte e possederla? Nessuna: per me capire l’arte è possederla. Non ho opere in casa perché mi sento co­me un medico del pronto soccorso. Lei crede che quando esce dal­l’ospedale voglia vedere ancora del sangue sulle pareti di casa?

Di cosa ha ancora oggi paura? Del coraggio degli altri.

Un oggetto da cui non si separa mai? Il mio Swatch.

Amici del passato che rivorreb­be qui? Non ho nostalgie.

Un luogo magico di Roma? Via Giulia, dove abito.

Un luogo magico di Napoli? L’Hotel Excelsior.

La cosa più brutta che abbiamo in Italia, oggi? Il peronismo mediatico.

E la più bella? È un paese inaffondabile.

Un’opera di casa sua che non si stancherà mai di guardare. Il tra­monto fuori dal mio terrazzo, con il volo dei gabbiani che passano.

Desideri da realizzare? Continuare con questa fede di vita, questa curiosi­tà, quest’amore. Continuare a essere un inviato speciale nella realtà.