L’impressione è che non abbiano mai smesso di bere e divertirsi come pazzi. Fred Schneider ha deciso che parlerà con me a patto che prima si finisca una bottiglia di gelido Veuve Cliquot. Mi adeguo e mi sembra di salire in cima a un ottovolante della memoria: Fred e Cindy (Wilson), metà anima e corpo dei B-52s, la colonna vertebrale e musicale degli anni 80 (l’altra metà sono Kate Pierson e Keith Strickland). Una volta, almeno una volta, Private Idaho l’avete cantata anche voi. E sul giro di chitarra di Rock Lobster avete pensato che la vita, in fondo, non è niente male. Da qualche parte, nella valigia dei ricordi, c’è di sicuro un capodanno, una festa un po’ sregolata dove, a un certo punto, tutti su le braccia e via cantando Love Shack. Con le parrucche ipercotonate, i vestitini vintage, il kitsch elevato a forma d’arte e sovversione pop, sono stati il lato dadaista e ludico di quegli anni. «La più grande party band del mondo». E occuparsi oggi di loro non è reducismo: i B-52s li abbiamo ascoltati tutti e continuiamo a farlo. Anche quelli che non erano nati quando loro apparvero sulla scena trent’anni fa. E qui nasce un problema.

Come si fa a incontrare gli idoli della tua gioventù sapendo che sono ultracinquantenni un po’ imbolsiti, senza rischiare la delusione? Come puoi aspettarti che a sedici anni dal loro ultimo album da studio, questi non-più-ragazzi possano ripresentarsi con un cd almeno decente? Certo, lo champagne ghiacciato aiuta a vedere le cose con più indulgenza, ma la verità è un’altra. Che loro sono sempre lo stesso irriverente, energetico e travolgente gruppo di artisti che con venti milioni di dischi venduti s’è ritagliato una nicchia nella storia del rock and roll. Mi infilo le cuffie per ascoltare il nuovo album, Funplex, le voci fresche ed euforiche, e davvero sembra che la band sia scesa a patti col demonio. Non è un’operazione di restauro archelogico. Capisci al volo che sono sempre loro, ma intuisci che non volevano replicarsi. È tutta roba nuova, nasce dalla voglia di continuare a divertirsi come pazzi.

Cindy Wilson ci tiene a spiegare: «È un disco sexy. Il più sexy che abbiamo mai fatto. Ci sarà forse una sola canzone che parla di altro. Ma guarda che su quest’album abbiamo riflettuto tanto. Volevamo farlo solo a certe condizioni. Era come se aspettassimo che si creasse il giusto allineamento fra i nostri pianeti. E poi in questi anni, anche se non abbiamo inciso dischi, non abbiamo mai smesso di andare in tournée e fare concerti, quindi non è che avessimo bisogno di incidere un cd a tutti i costi. Ma quando ci siamo decisi, abbiamo fatto tutto in quattro giorni».

Una domanda ve la sarete fatta: che ci facciamo noi, gente di mezza età, in mezzo a tanti ragazzini?

Fred Schneider: Ma chi se ne frega. Quello che conta è la musica, se c’è l’energia giusta, cosa conta l’età. Certo, è capitato che mi abbiano detto che sono vecchio. E sai cosa rispondo? Stai zitto, giovane idiota, ti piacerebbe avere la mia energia alla tua età! Saliamo sul palco con band molto più giovani di noi, eppure prendiamo ancora tutti a calci nel culo. Musicalmente parlando.

Cindy: I fan ci portano i loro figli, e tra poco i figli dei loro figli.

Parliamo di look. Le rughe vi allarmano?

Fred: Grazie a Dio hanno inventato Photoshop, col computer le rughe spariscono meglio che col botox.

Cindy: Mah, sono una mamma rock e sono molto a mio agio con me stessa. Quindi perché preoccuparmi? Al pubblico interessa la mia sincerità, non gliene frega niente se ho qualche chilo in più.

Il vostro matrimonio di gruppo sfida tutte le leggi sociali. Come si rimane assieme per tanto tempo?

Cindy: Ma non credere che sia una passeggiata. Ci scontriamo su tutto, litighiamo, ci facciamo venire dubbi perché poi ognuno di noi scrive i testi, che vengono messi a votazione. Ma se continuiamo a lavorare assieme, fondamentalmente è perché siamo brava gente che si vuole bene sul serio.

Fred: La verità è che ci divertiamo come ragazzini. Le sedute in studio di registrazione sono esilaranti e molto selvagge. Sono una festa dove accade di tutto, ciascuno ha diritto a dire e fare quello che vuole. Succede che poi il risultato finisce nel testo di una canzone, dentro a una melodia. Ma se funziona, lo capiamo al volo.

La gente vi riconosce per strada?

Cindy: Solo se io e Kate indossiamo le nostre parrucche. Una volta ce le siamo tolte alla fine di un concerto e siamo andate a mescolarci al pubblico. Nessuno si è accorto di noi.

Arriva un’altra bottiglia di champagne. Fred e Cindy dimostrano di poter reggere ben altro. E a me sembra di vederli dentro a un orrido ristorante cinese di un’improbabile città della Georgia, Athens (la stessa dei R.E.M., con cui hanno poi duettato in Shiny Happy People), dopo una bella sbornia a buttare giù accordi e rime, tanto per vedere l’effetto che fa. Era il 1976. Oggi invece siamo a due passi dal mitico CBGB, il locale di New York da cui sono passati anche loro assieme a decine di altri mostri sacri (Blondie, Talking Heads), quando nessuno li conosceva. Il CBGB ha chiuso da poco. Ci faranno una banca. Il segno dell’Apocalisse.

Cindy: È curioso tornare in questo quartiere, sembra il destino. Dentro a quel locale ci siamo formati: prima come fan di gruppi che non esistono più, poi come artisti.

Fred: Ci andavo ad ascoltare i Suicide, i Television: archeologia rock. Adesso li passo alla radio, ho una trasmissione tutta mia dove cerco di rievocare il clima pazzesco di allora.

Cindy: Ad Athens, quando ci siamo formati, c’era il deserto. Culturalmente non succedeva nulla. Io e Kate abbiamo fatto amicizia un giorno che ci siamo viste in strada, io avevo i capelli quasi arancioni, lei platinata e indossava una maschera. Andavamo insieme a comprare assurdi vestiti anni 50 e parrucche esagerate, nei club ballavamo come pazze e facevamo il vuoto intorno a noi. Dopo un po’ si era sparsa la voce, quando ci presentavamo a un party, ci chiudevano fuori!

E ora chiudono i club leggendari, e c’è chi dice che la rete ucciderà la musica.

Fred: Ucciderà il profitto, questo è certo. Ma la verità è che posti come YouTube ti fanno scoprire nuovi talenti e la tecnologia aiuta la musica ad allargare la propria base. Si devono solo stabilire regole precise. La musica dà lavoro a molta gente, se scarichi una canzone qualcosa devi pagare. Ma chiedi a Cindy che ne pensa, lei passa giornate attaccata al computer, per lo più siti porno. Altro champagne, altre risate.

Cindy: Cerco di tenermi informata, e vivendo in Georgia la rete è un ottimo sistema. Penso che molti gruppi non sopravviveranno se non si pagherà anche poco per la musica.

Che rapporto avete coi soldi?

Cindy: Abbiamo sofferto davvero tanto per imporci. Questo ci ha dato un senso della misura. Non abbiamo visto un dollaro fino al terzo album. Ricordo che con quel denaro mi comprai un’auto: una Honda. Mi sembrava di volare.

Fred: Siamo rockettari ma non facciamo la vita da star anche perché, per qualche insondabile motivo, non siamo riusciti a fare i veri soldi. Dio solo sa dove sono finite le nostra royalties. Ricordo che eravamo già affermati, ci fermavano per strada per gli autografi, e io non avevo neppure con che pagarmi l’affitto. Cindy si era venduta casa per sopravvivere. I soldi hanno l’importanza che hanno. Ma non sono mai il fine ultimo.

Popstar e attivisti?

Fred: Nessun attivismo. La realtà è di fronte agli occhi di tutti. L’era Bush col suo cieco conservatorismo è la cosa peggiore che potesse accadare a questo paese. Il livello di corruzione è alle stelle.

Cosa salvereste degli anni 80?

Cindy: Non ci piace guardare indietro. Stiamo lanciando un nuovo album e sarà una delle cose più belle dei prossimi dieci anni.

Fred: Viviamo nel presente al mille per mille. Non ci piacciono i rocker che rifanno il verso a loro stessi all’infinito. Proviamo a rinnovarci. Certo, a volte ripenso ai tempi andati. Credo che l’unica cosa che vorrei ricreare è l’energia, quell’atmosfera incredibile che si respirava e che oggi è svanita. O forse sono solo io che sto invecchiando... (risata divertita). Un altro bicchiere di champagne?