La buona notizia è che il periodo di burle(sque), corsetteria e guêpiére in cui strizzarsi (e sentirsi ancor meno Nicole Kidman) è finito da un pezzo; la cattiva è che se i costumi di Australia - ritorno sugli schermi del regista più visionario che c’è, Baz Luhrmann - segneranno i nostri costumi quanto i corpetti e laccetti di Moulin Rouge, siamo fritti. Perché se alla Kidman (nel film c’è sempre lei) e Hugh Jackman (il protagonista maschile) il cappello da farmer australe donerà sempre l’allure di misterioso fascino, su una persona qualunque è più facile non ripari dall’effetto “contadino neozelandese”. Eventualmente sappiamo a chi dare la colpa, per il trionfo di cappelli, cappellacci e cuffiette (e gonne longuette, giacche avvitate, spalle imbottite anni 30...) che sulla scia modaiola dell’epicolossal, nelle nostre sale a gennaio, inietteranno per le strade il tormentone aborigeno chic. La colpa sarà di Catherine Martin. E non vale che lei si barrichi dietro a un vezzoso e diplomatico «Ma io non ho mai preteso di lanciare tendenze!»: perché la costumista oggi più visionaria, eclettica e creativa di Hollywood e dell’emisfero australe, vincitrice di premi Oscar e soprattutto moglie «con la testa sulle spalle» di un marito «con la testa tra le nuvole» come è nella quiete domestica il regista Baz Luhrmann, le tendenze le lancia eccome.

Era scritto nel destino

Più che una coppia, sono una holding cinematografica a due piazze: la premiata ditta Bazmark, rodata peraltro dalle comuni origini. Lei è nata 43 anni fa a Lindfield, nel vecchio stato australiano del New South Wales, lui è nato 46 anni fa a Herons Creek, nel vecchio stato australiano di... indovinate? New South Wales. Entrambi hanno studiato al National Institute of Dramatic Art di Sydney (dove si sono diplomati anche Mel Gibson e Cate Blanchett), entrambi bazzicavano gli ambienti pre-hipster dei giovani intellettuali del Nuovissimo Mondo, entrambi quando si sono conosciuti, nel 1986, non hanno pensato «è la donna/l’uomo della mia vita!», ma un più razionale «voglio conoscerla/o meglio perché adoro parlare con lei/lui». E piano piano si sono innamorati, piano piano si sono fidanzati: «Baz dice che la nostra storia è come una conversazione che è iniziata quando ci siamo conosciuti e non si è ancora conclusa». Per sposarsi ci hanno messo 11 anni. Poi velocissimamente si sono invaghiti dei rispettivi talenti, che hanno unito la prima volta in un’opera lirica (Lake Lost), poi nei film di lui (Stricty Ballroom, Romeo+Juliet, etc.).

Emisfero di tendenza

Diciotto anni dopo, a 16.694 chilometri e otto fusi orari di distanza, la designer Oscar 2002 per la scenografia e i costumi di Moulin Rouge, risponde al telefono con voce incredibilmente squillante, considerato che da lei sono le otto del mattino. È una cascata di parole e aneddoti su Australia, l’ultimo film con il marito: «Si può dire che lo abbiamo fatto tutto in casa per ambientazione (le spettacolari distese dell’Outback) e storia, quella di un’aristocratica inglese, Lady Sarah Ashley (la Kidman) che arriva quaggiù per prendere possesso di uno sterminato ranch che ha ereditato, il Faraway Downs. Tutto si svolge tra il 1930 e 1942, anno dei bombardamenti giapponesi sulla città di Darwin, una Pearl Harbor australe». Inutile dire che la parte scenografica, con vestiti (e molti cappelli) ispirati alla moda del periodo, farà epoca. «A chi penso quando creo per una grande attrice e una cara amica come Nicole? Innanzitutto all’interpretazione. Poi, certo, anche a Nicole e a come le starà quel vestito. Ma alla base del mio lavoro, come in quello degli attori, c’è un’interminabile documentazione e ricerca storica sui personaggi». Nel caso di Australia c’è della passione in più: «Vivere ai confini del mondo ti fa sentire culturalmente un outsider, eravamo abituati a pensare che a nessuno interessasse la nostra storia, ma le cose stanno cambiando. E poi questo non è un film solo glocal». Scusi? «Ci sono molti elementi italiani, sul serio! Come il make up team di Maurizio Silvi, con cui abbiamo lavorato anche in Moulin Rouge e che sul set mi ha insegnato un sacco di parolacce italiane. Per non parlare dei litri di caffè espresso consumati durante le riprese. E di Prada, che ha firmato le valigie, e Ferragamo, per le scarpe e gli stivali». Come non aspettarsi, da cotanto product placement, l’effetto tendenza boomerang: dal cinema alle passerelle?

La moda è un business troppo serio

Con quel tocco da Re Mida, si può dire che Catherine Martin stia a Hollywood come Patricia Field a Sex and The City: difficile pensare a costumi più memorabili di quelli fatti indossare sette anni fa alla Kidman in versione burlesque. Probabilmente perché la chiave del talento di CM (il nomignolo che le ha dato Luhrmann e con cui tutti ormai la chiamano, «tranne i miei genitori, che mi chiamano Catherine se ho combinato qualche guaio») è che rappresenta una cerniera perfetta tra fashion system, industria cinematografica e tradizione: «Penso che l’interscambio tra il mio lavoro, la storia e la moda sia una conversazione costante, un circolo continuo. Così come sono costanti i richiami storici nell’ispirazione dei grandi designer. Ma non sarei mai tanto arrogante da dire “Ok, adesso lancio questo trend”».

Modesta, ma non morigerata in fatto di shopping, perché Catherine Martin adora la moda e la colleziona: «Sotto forma di riviste, vestiti, scarpe». E con grande patriottismo veste griffes australiane («Cerco di farlo il più possibile, per supportare gli stilisti connazionali e aiutarli a crescere»), ma ha anche un debole per le creazioni di Miuccia, «così speciali, eppure le puoi indossare tutti i giorni». Be’, magari non proprio tutti, visti gli ultimi scivoloni sulle passerelle milanesi: «Ma va bene così, evviva anche i super-tacchi, il bello della moda è la sua follia».

Nonostante la passione fashionista - e una carriera parallela di designer di tappeti e accessori casa -, CM non ha ancora deciso di compiere il passo che ci si aspetterebbe da una creativa del suo calibro: lanciare una linea propria. «In passato mi sono già cimentata in piccole collaborazioni, ad esempio con RM Williams, un brand nazionale specializzato in outfit per gli australiani che vivono nelle fattorie, nei boschi... Ma a dire il vero non credo mi interessi: la moda è un business molto serio, ogni anno ci sono sei collezioni da mettere in piedi, è un impegno costante e a tempo pieno. E in questo periodo della mia vita sarebbe decisamente troppo». Per adesso.

Due cuori a profitto

Perché, per adesso, CM è completamente assorbita dal ruolo di moglie, mamma di due bambini e socia della Bazmark: impresa a conduzione coniugale che non sembra compromettere il menage à deux fuori e dentro il letto e fuori e dentro l’ufficio. E il set. E il red carpet. «Se lavori con tuo marito ogni giorno, può succedere che ti stanchi e pensi “ora lo uccido”. Ma è normale in ogni relazione». Ed è ben strano sentire parlare di normalità lei che è la complice di un sognatore come Luhrmann e che è stata un’adolescente ribelle («saltavo la scuola e i miei disperati finirono col mandarmi persino da uno psichiatra...»). Il segreto numero uno per riuscire a sopportare un partner a tempo pieno? Imporre una regola: «L’ultima parola non spetta a uno di noi, ma all’idea che risulta vincente. Anche se detesto ammettere quando l’ha avuta Baz». Il segreto numero due sta invece nell’alta dose di australianità: «Abbiamo un modo di essere così peculiare, così positivo, solare». Neppure il pensiero della morte per gli australiani è un cruccio: «Tanto torneremo tutti a una sorta di energia originaria». Tre motivi per amare il paese? La voce al telefono si impenna di qualche decibel: «Quando c’è una bella giornata a Sydney è impossibile trovare una giornata più bella in tutto il mondo. Poi, e lo dico anche se mia madre è francese e la vostra cucina è italiana, si mangia benissimo. Infine perché questo è un paese giovane, con idee peculiari, uniche. E io ne sono fiera».

Morale di coppia?

Per avere successo, se sei in affari col partner, bisogna essere complementari. O meglio, agli antipodi. Come Catherine “la concreta” e Baz “l’idealista”. Ma con molti punti in comune: «Siamo entrambi appassionati, determinati e dotati di un ottimo sense of humour». E ancora, adorano viaggiare (nel passato recente un indimenticabile soggiorno a Bora Bora, nell’immediato futuro le vacanze natalizie in Francia, dai nonni Martin). Hanno il pallino dei grandi classici («Avrei voluto vestire Rock Hudson e Liz Taylor e fin da bambina ho sempre sognato di disegnare i costumi per Vivien Leigh. Ma devo dire che Australia per certi versi è molto simile a Via col Vento, a partire dal messaggio pacifista»).Non cambierebbero mai la loro villa di Surry Hills con un’altra megavilla a Los Angeles. E credono più che mai nei valori della famiglia: «Se la casa andasse a fuoco? Penserei a salvare innanzitutto mio marito e i miei bambini. Poi le carte di credito».