Successe a Minneapolis, dentro allo Skyway Lounge, uno di quei locali dove gli uomini vanno per sentirsi meno soli e dai quali escono (nella migliore delle ipotesi) ubriachi o altrimenti disperati. Ognuno ci entra con la sua personale candida giustificazione. La mia potrebbe essere una gelida notte nel cuore di un nulla chiamato Minnesota e il bisogno di mangiare qualcosa a un’ora in cui cosce di pollo e tette al silicone spesso vengono servite nello stesso menu.

Comunque sia, io allo Skyway Lounge ci sono entrato e ho incontrato Diablo Cody. Che non se lo ricorda (e nemmeno io, per carità): «Perché se anche mi avessi rivolto la parola, non sono sicura ti avrei risposto. Non è il tipo di locale dove immagini di farti degli amici».

Il secondo incontro ha due caratteristiche che vanno sottolineate: Diablo Cody è completamente vestita, ed è costretta a rispondere alle mie domande in quanto candidata all’Oscar per la sceneggiatura del film Juno. Diablo Cody, ciuffo di capelli vermiglio, al secolo Brook Busey-Hunt, anni 30 (quasi), ex spogliarellista e segretaria, scrittrice, blogger e tipo davvero molto simpatico. Primo film, prima nomination. Per una che spunta dall’omologa cintura urbana di una metropoli, Chicago, è una specie di lotteria vinta. È poi anche una boccata di aria fresca: a Los Angeles ci sono gli uffici dei talent scout ingolfati di ragazzine senza talento a caccia di una parte e chissà cos’altro; la metà si spoglia ogni sera per pagare l’affitto, ma giura di vivere con una vecchia e premurosa zia. Perché se si viene a sapere, addio carriera. Brook Busey-Hunt, non solo ce lo ha fatto sapere, ma sul suo passato attorcigliato attorno a una pertica di alluminio ci ha costruito la propria fortuna. Fu un agente di Los Angeles che scovò il blog (The Pussy Ranch, dove Pussy sta per vagina…) dove la ragazza redigeva verbali torridi delle sue serate in catena di montaggio. Una catena di montaggio molto particolare e ricca di umanità, senza dubbio. Ne è nato un libro che ha avuto un discreto successo. Poi è venuta la sceneggiatura di Juno, storia di una ragazzina di 16 anni che rimane incinta per caso, ma anziché abortire come suggerirebbe la logica, decide di diventare una madre surrogata, andando incontro a tutta una serie di esilaranti (e a volte grotteschi) incidenti di percorso. È una commedia lieve, di taglio ben poco americano e di intenzioni nobili. Ed è una specie di risarcimento: «L’ho scritta pensando a un ragazzo che ai tempi della scuola ho fatto davvero soffrire. Volevo in qualche modo scusarmi».

Un bel modo. Però resta da stabilire il nesso fra la spogliarellista di nome Diablo e la pia studentessa di nome Brook...

Tutto è nato un po’ per caso: l’idea di Diablo mi venne pensando alla mia educazione rigidamente cattolica, e al fatto che di certo mi stavo mettendo in un business che non avrebbe reso orgogliosi i miei maestri di scuola media. Cody è una città del Wyoming dove sono passata durante un bel viaggio. Il nome mi è piaciuto subito.

Cominciamo dallo Skyway Lounge: come ci arriva una brava ragazza dell’Illinois, per giunta tirata su a preghiere e sensi di colpa?

Ci arriva un po’ per disperazione e un po’ per spirito creativo. Voglio dire: quando in tasca ti rimangono soltanto 9 dollari, quali scelte rimangono? Io e mio marito John andammo in un grande magazzino a ci comprammo un sacco di pane e mortadella e anche qualche sigaretta. Per arrivarci si passava davanti al locale in questione e vidi che c’era un annuncio che ricordava la serata delle stripper-per-una-notte. Gente comune disposta a spogliarsi per gioco per vincere un premio da 500 dollari. Dissi a John che non avremmo mai più sofferto la fame. Ridemmo. Ma io ero seria.

La prima volta?

Davvero un’esperienza forte. Ma l’ho affrontata con la prospettiva che mi sarebbe servita dopo. Mi spiego: non mi spogliavo solo per bisogno, ma anche per stabilire un contatto con il pubblico che sarebbe potuto tornarmi utile, in seguito, nello scrivere. Una sfida: devi essere convincente. A 22 anni bisogna far credere a quegli uomini che sei lì di nascosto, che i tuoi genitori ti immaginano a casa a studiare. Quel genere di stronzate che servono per creare una chimica con chi ti sta davanti. Però le confesso una cosa: spogliarmi mi ha reso certamente più dura, ma rivelare a milioni di persone quello che hai dentro attraverso la scrittura è di gran lunga più brutale che andare in giro con le tette al vento.

Implicazioni morali?

Ma non scherziamo. Si guardi attorno e mi dica quale aspetto della nostra vita non sia puramente prostituzione. Il più antico dei mestieri. Persino le idee vengono al mondo con sopra l’etichetta del prezzo. Figuriamoci se mi metto a fare riflessioni morali, per aver sfilato nuda di fronte a un pubblico. Dalla politica al mondo dello spettacolo siamo tutti puttane con qualcosa da mettere in vendita.

La vendita ha avuto successo, il suo pubblico ora è planetario. Come cambia la vita?

La vita non cambia: è totalmente stravolta, quasi insopportabile. È tutto molto bello, intenso, per carità. Prendo dei bei soldi, ho già alcuni progetti che mi stanno impegnando. Ma il problema è che non ho più tempo per scrivere. Presto avrò bisogno di riappropriarmi della mia esistenza, tornare alla base, all’anima delle cose.

Uno stravolgimento che le è costato anche una separazione...

Io e il mio ex marito John siamo ottimi amici, pensiamo di mettere in piedi un gruppo rock, appena tutto questo sarà finito. Il fatto è che quando ci siamo sposati eravamo maledettamente giovani e romantici, ma non esattamente preparati al matrimonio. Forse quanto mi è successo nell’ultimo anno ha avuto un’influenza sul nostro rapporto, forse no. Di certo lo stile di vita che preferisco non è quello attuale.

Che invece sarebbe?

Io non sono molto ambiziosa. Amo scrivere, questo sì, ma non amo espormi. Diablo era solo una maschera, ma qui si vuole andare all’osso della vera me che invece preferirei tenere al sicuro. In realtà a Hollywood ci vorrei stare solo per lavorare e per fare soldi. Non pretendo che si creda che sono un’artista. Probabilmente non lo sono, sono solo una che fa questo lavoro. Che ha la stessa dignità di quando facevo la segretaria e dattilografa in un’azienda che si occupava di compagnia in bancarotta, a Chicago. Oppure la stripper.

Intanto Steven Spielberg le ha chiesto di scrivere un soggetto per la tv. Comunque un passo avanti rispetto alla vita di dattilografa.

Di certo, ma mica mi lamentavo. È un bel soggetto, la storia di una donna con molte personalità. Si chiama Tara ed è una tipa molto divertente. Non so quanto durerò in questo business, ma finché ci resto voglio scrivere di donne vere, complesse, cazzute, un po’ come la mia Juno. Sono nauseata dal tipo di donna melensa, idiota e sempre ben pettinata che ti propina l’industria del cinema.

Se dà di queste risposte, a Hollywood potrebbero legarsela al dito.

Non importa. Ho lavorato anche ai telefoni erotici quando avevo bisogno di mangiare, la fatica non mi fa paura. Il giorno che tutto ciò dovesse finire, saprei come cavarmela.

Non c’è ombra di dubbio.