Ci incontriamo in una piovosa giornata londinese nell'iper-trendy Soho Hotel e appena mi vede Emily Blunt indica i miei stivali: «Mi piacciono da pazzi! Dove li hai presi? Ho una passione quasi feticista per questo tipo di scarpe, I love boots!». Dovevo immaginarlo. Una ragazza di 24 anni che diventa famosa impersonando l’assistente di Miranda-Meryl Streep nel Diavolo veste Prada non può non provare un minimo di fervore fashionista. Robin Swicord, la scrittrice e regista americana che ha appena diretto la Blunt in The Jane Austen Book Club (nei cinema italiani dal 18 gennaio col titolo Il club di Jane Austen), mi aveva messo sull’avviso: «Belli i tuoi stivali! Se te li vedesse Emily...».

Se vi state chiedendo cosa avevano di così particolare i miei stivali, ebbene, non erano niente di speciale, neri, da motociclista. Però efficaci per rompere il ghiaccio. Chiedo a Robin perché ha scelto Emily: «È speciale. Volevo lavorare con lei dalla prima volta che l'ho vista, in My Summer of Love. Ha quel tipo di qualità che la fa sembrare sicura di sé, quasi protettiva, ma se impari a conoscerla ti accorgi che brucia ancora in lei un rancore da bambina ferita, forse dovuto alla mancanza di affetto da parte di una madre un po’ assente».

Le biografie ufficiali dipingono però una vita senza scossoni per questa ventenne inglese che nel giro di tre-quattro anni, senza fatica, si è trovata descritta come la prossima Keira Knightley o la futura Scarlett Johansson.

Non è il tipo che ti racconta che aveva la recitazione nel sangue. Ha iniziato per caso in teatro quando era molto giovane e, provino dopo provino, un bel giorno, come in una favola, qualcuno l’ha notata. Nata da solida famiglia borghese, padre avvocato e mamma insegnante, è la seconda di quattro figli; ricorda un'infanzia felice e spensierata, segnata da unico problema, una forte balbuzie. «Era orribile, non riuscivo a esprimermi». A causa di questo difettuccio da libro Cuore, Emily insiste che a quei tempi mai si sarebbe vista nei panni di un’attrice professionista: «Ci sono entrata per puro caso. Pensavo di studiare lingue e diventare interprete. Ma amavo la recitazione e avevo un agente che ogni anno, dopo il brillante superamento degli esami, mi chiedeva: non vorresti provare a recitare sul serio? Prima che me ne potessi accorgere è successo davvero: recitavo! E grazie ai corsi di dizione mi ero anche liberata della balbuzie».

Bella (la tipica english rose dalla pelle di porcellana) e meticolosa nel lavoro, Emily Blunt non lascia indifferenti. Neppure le colleghe. Dopo averla vista in My Summer of Love (il piccolo film indipendente che l’ha lanciata nel 2004), Susan Sarandon l’ha voluta a tutti i costi ne Le verità negate (dove la ragazza era quella che le rubava il marito). E Meryl Streep di lei ha detto: «È la più dotata delle giovani attrici con cui mi sia mai capitato di lavorare».

Emily arrossisce ma sa bene che il successo del Diavolo veste Prada è quello che le ha cambiato tutto, quello per cui la gente la riconosce per strada, anche senza i capelli rosso brillante: «Sono io che ho insistito con la produzione per tingermeli di quel colore. Loro erano scettici ma dopo tutto, dico io, non è che la gente che lavora nei giornali di moda si veste davvero come Emily! Quel personaggio è una caricatura, mi sono ispirata a un paio di autentiche fashion victim di cui non posso fare il nome, e con Stanley Tucci ho fatto a gara a chi dei due riusciva a essere più sopra le righe. Ho vinto io».

In tutti i sensi: si è portata a casa il Golden Globe 2007 come miglior attrice non protagonista. «Non me l’aspettavo, e non mi ero preparata nessun discorso di ringraziamento. Sono salita sul palco, ho guardato il pubblico, c’era Jack Nicholson che mi fissava e io non riuscivo a ricordare neppure quale fosse il mio nome. Scena muta, imbarazzo pazzesco, ma anche felicità».

Da quel giorno pure i ruoli che le vengono offerti sono differenti. E a dire il vero la ragazza dagli occhi verdi ha steso tutti sin dal suo primo ruolo al cinema. Che era quello di Tamsin in My Summer of Love del regista polacco Pawel Pawlikowski, dove lei è una sexy ninfetta inglese della upper-class infatuata della sua migliore amica (Natalie Press) con la quale si concede un’intera estate d’amore. Tempo fa, al termine di una proiezione tra amici, il regista mi disse: «Aver lavorato con lei è stato come guidare una Ferrari: un sogno che insegui fin da bambino e finalmente si realizza. Come l’ho scovata? Grazie a un casting director pazzo quanto me, abbiamo visionato migliaia di ragazzine alle prime armi, girato per mesi nei teatri inglesi, e quando l’abbiamo vista non abbiamo avuto dubbi. Tamsin era lei».

«E adesso eccomi qua», mi dice Emily, «in poco più di tre anni sono passata dall’essere la teen di quel film di adolescenti lesbiche, come dicono i giornalisti americani che neanche si ricordano il titolo, a sfilare sui tappeti rossi di Hollywood e scegliere con chi voglio lavorare».

Nel Club di Jane Austen (un film «brillante e elegante») lei è Prudie, insegnante di lingua francese in crisi con il marito (al quale pare che l’unica cosa che interessi nella vita è lo sport), che perde la testa per un suo studente, salvo poi capire che il tradimento non è certo una soluzione ai problemi matrimoniali. Prudie è solo uno dei sei personaggi principali del film (tra gli interpreti ci sono anche Maria Bello e Hugh Dancy). Le domando con quale di loro si identifica maggiormente. Risposta a sorpresa: «Più che con Prudie, con Allegra, la lesbica. Mi piace il suo spirito libero, il fatto che le piaccia correre dei rischi...». E mentre io sto pensando «chissà che stivali indosserebbe Allegra», mi accorgo che Emily è sempre più imbarazzata: «...e mi piace perché è realista, ma non perché è lesbica!».

Credi che Il Club di Jane Austen sia roba da ragazze? «Be’, il film ha un linguaggio molto evocativo e analitico, più affine ai nostri gusti, se il pubblico maschile si troverà in difficoltà è perdonato, lo posso capire».

Nei panni di Prudie, Emily sfoggia un bel caschetto di capelli neri: non posso fare a meno di notare che ogni pellicola si trasformi per lei nell'occasione di sperimentare tagli dal parrucchiere. «È vero. Sfoggerò delle fantastiche extension da punk, blu e porpora in Sunshine Cleaning, una commedia che ho girato da poco con Alan Arkin e Amy Adams».

Ecco, parliamo dei film in arrivo. Negli ultimi mesi si è calata in tanti di quei ruoli che c’è da diventare schizofreniche, se non fosse il chiaro segno del successo. «Tanto per cominciare mi vedrete in Young Victoria per l’appunto nei panni della giovane Regina Vittoria in una pellicola prodotta da Martin Scorsese. Per lavorarci, mi sono dovuta svegliare tutte le mattine alle quattro e mezzo e sottostare a uno stretto regime dietetico. Il mio giro vita non doveva essere più dei famosi 60 cm. È stata durissima perché di solito mangio come un lupo e nel mio regime alimentare d’abitudine predominano le patatine fritte».

Sorridendo continua a raccontare: «Il colpo più grosso per me è stato recitare in Charlie Wilson’s War di Mike Nichols, storia di un senatore del Texas che si batte per aiutare i ribelli afgani contro l’occupazione sovietica. Il protagonista è Tom Hanks, e puoi immaginare come si sono sentita quando ho dovuto girare con lui una scena di sesso focoso. Ero lì che lo baciavo e leccavo quando sottovoce gli ho detto: “Ti adoravo in Splash, una sirena a Manhattan”. Siamo scoppiati a ridere e tutta la tensione si è dissolta. Buffo, ho preso parte anche a The Great Buck Howard dove oltre a John Malkovich, che fa la parte di un mago che vuole rilanciare la sua carriera, c’è anche il figlio di Tom, Colin Hanks. Strana coincidenza, vero?».

Che sia strana lo credo anch’io, ma lo penso di lei, e forse è proprio per questo che la ragazza piace molto. Ma lasciate ogni speranza di conquista nei suoi confronti. Emily ha un fidanzato da circa due anni, e non uno qualsiasi: Michael Bublé, cantante jazz-pop canadese, che lei ha conosciuto nel backstage di uno spettacolo televisivo in Australia. Dove, tanto per non smentirsi, lei l’aveva ingenuamente scambiato per un produttore tv.

Per niente offeso, lui l’aveva corteggiata dedicandole la cover di Me and Mrs. Jones (e nel disco c’è anche la voce di lei a fare i cori). «Che tra i due lui sia al momento il più famoso, è un sollievo. Michael e io, a parte le uscite ufficiali in occasione di qualche première, evitiamo di farci fotografare in giro. Siamo gelosi della nostra privacy. Piuttosto che cenare all’Ivy (il ristorante londinese preferito dalle celebrities) preferiamo andare in una pizzeria dimenticata da Dio. Passiamo buona parte della nostra vita su aerei e negli hotel, quando siamo insieme abbiamo semplicemente voglia di vivere come tutti».

Poi mi confessa che a Michael piaceva da pazzi la sua chioma rossa di Emily-veste-Prada («il mio vero colore è un castano molto più banale»), e chissà cosa l’aspetta in futuro. «Qualche altro ruolo da pazza o da bad girl. Ci sono abituata. Dev’essere colpa dei miei occhi, dicono che ho lo sguardo sfuggente e non si sa mai a cosa sto pensando». Per un momento, l’ho pensato anch'io.