Primati bianchi nella foresta di Gombe, in Tanzania, non si erano mai visti. L’anno era il 1960, l’esemplare speciale era una giovane ragazza inglese spedita dal guru della conservazione in Africa, il già celebre antropologo dr. Louis Leakey, a iniziare un progetto di ricerca sugli scimpanzé della zona.

Jane Goodall ha familiarizzato tanto da arrivare a dar loro un nome e a raccontare la loro storia. Sfidando l’ortodossia scientifica (prima i soggetti da studiare erano soltanto dei numeri) è riuscita a dimostrare parecchio. Grazie al suo “amico” David Greybeard, il primo ad avvicinarsi a lei, ha documentato che i nostri “antenati” sono come noi dei creatori di utensili (dei bastoncini per scovare le termiti), mangiano carne (fino a allora si riteneva fossero erbivori), hanno legami familiari molto forti e scatenano guerre di potere. Da allora l’attività della pluridecorata etologa è stata inarrestabile: ha fondato The Jane Goodall Institute (janegoodall.org), che ha sede all’Università del Minnesota, dove si trovano i migliori esperti nello studio dei primati.

Di scimpanzé nel mondo ne sono rimasti soltanto 220mila, minacciati dall’aumento della popolazione, dalla caccia e dalla deforestazione che erode il loro habitat. Per questo Jane Goodall ripone molte speranze in Roots & Shoots, un progetto educativo che coinvolge migliaia di giovani, dall’età pre-scolare all’università, in oltre cento paesi nel mondo («Quando si riuniscono e li senti parlare di come salvare gli animali, essere attivi nella comunità e nell’ambiente, ti commuovono e speri diventino i leader di domani»). I “jane-scout” curano il giardino di zona o salvano i cani abbandonati, fanno scambi culturali d’estate e un sacco di altre cose (rootsandshoots.org).

La bella signora di 74 anni, dietro un’aria apparentemente fragile, nasconde energia e determinazione immense. È una di quelle “che fa la differenza”, e proprio per questo è stata scelta da Gant, azienda di moda svedese che ogni anno propone un personaggio internazionale come testimonial della sua campagna “Our Commitment Reflects our Passion”. La lady degli scimpanzé ha accettato dopo aver controllato l’eticità di questo marchio. E ci sarà anche una borsa (modello “Hope”, per stare in argomento) realizzata in cotone organico: per ogni acquisto saranno piantati alcuni alberi in Tanzania.

Oratrice nata, gira il mondo con un team di donne che hanno abbracciato la sua causa e la seguono ovunque. Oggi è a Londra. Domani parlerà all’Onu, ma apparirà anche in tv nello show di Martha Stewart. Fra sei mesi sarà in Italia. Audience diverse, messaggio univoco.

Come è possibile fare la differenza?

Basta riflettere sempre sulle scelte che facciamo e sulla non sostenibilità dei nostri stili di vita. Da dove viene questa carne? Chi ha cucito il mio vestito? È un esercizio semplice che però può innescare il cambiamento. Piccoli gesti, fatti a migliaia: bisogna educare al pensiero responsabile.

I consumatori e i marchi di moda possono essere più efficaci dei governi nelle questioni sociali?

Certo. Intanto le corporation fanno grandi donazioni e hanno il potere di mettere in moto le cose. In teoria anche i governi democratici possono attuare cambiamenti. Ma poi pensi che Bush è stato eletto due volte, più o meno, e ora c’è la Palin...

In Africa ci sono molti governi corrotti e ora c’è anche un nuovo colonialismo. Cosa si può fare?

Il comportamento di Cina e India è una grande minaccia. Sto cercando di sensibilizzare all’impatto zero le compagnie inquinanti e a incentivare la riforestazione: bisogna proporre dei compromessi per coltivare terreni ed evitare di tagliare alberi, ma non è per niente facile. Il “carbon credit” (crediti di carbonio per combattere la deforestazione tropicale) è la mia soluzione per compensare il fatto che viaggio 300 giorni l’anno.

I sentimenti legati alla protezione in Africa hanno spesso dei risvolti romantici. La popolazione locale può condividerli?

Assolutamente! Il grande problema è la povertà: se sei indigente non apprezzi la bellezza della natura perché sei preso a mettere insieme il tuo prossimo pasto. Ma in ogni cultura c’è spazio per sensibilizzare alla protezione dell’ambiente. Succede anche in Cina, dove i nostri programmi danno ottimi risultati.

Lei è sempre rimasta apolitica. Come ci è riuscita?

Ho visto personaggi attaccarsi a dei ministri per ingraziarsi il loro favore ed essere estromessi non appena il governo è cambiato. Se diventi troppo politico danneggi le tue prospettive future. Meglio essere quieti, coinvolgere i locali e averli dalla tua parte. Abbiamo gruppi che lavorano in territori gestiti da miliziani nella Repubblica Democratica del Congo, senza problemi (negli anni 70 alcuni volontari americani che lavoravano nel centro sono stati rapiti dagli uomini di Laurent Kabila, ribelle poi diventato presidente, ndr).

I candidati politici usano l’ambiente come arma elettorale. Chi c’è nella sua lista dei buoni, quelli che davvero fanno qualcosa?

Non tutti usano l’ambiente, Sarah Palin non lo fa. Soltanto da poco ha accettato che forse noi abbiamo qualcosa a che fare con i cambiamenti climatici. Posso dirle invece che il presidente della Tanzania, Jakaya Kikwete, è un super esempio di responsabilità ambientale. Mi ha detto che vuole essere ricordato per aver protetto quello che è rimasto e restaurato quello che si è perso. Ha adottato misure dure per arginare l’invasione di bestiame nelle aree protette e salvaguardare gli animali selvatici. Sta mantenendo la sua parola, non in tutto, ma certamente in qualcosa. Omar Bongo in Gabon ha inserito nella costituzione 13 nuovi parchi nazionali.

Gli ambientalisti sono spesso percepiti come troppo aggressivi. Non c’è altro modo per essere ascoltati?

In realtà è il modo peggiore ed è vero che sono molto aggressivi. Magari il proposito è buono, vogliono trasformare un’area in parco nazionale protetto. Ma poi parlano subito di recinzioni, di buttare fuori la gente che poi rientra in qualche modo e così alimenta il bracconaggio. Ma non funziona in questo modo. Per mantenere integrità bisogna sapere accettare i compromessi con grazia, e arrivare al cuore della gente, confrontarsi. Ai giovani di Roots & Shoots insegnamo il cambiamento non aggressivo.

Essere vegetariana fa parte della sua causa?

Sì. Ma ricevo critiche dai gruppi animalisti perché dicono che non lo sono abbastanza. Non sono vegana, mangio uova e formaggio. Comunque bisognerebbe mangiare poca carne. Ci si sente più giovani e più forti senza.

Ha avuto un figlio mentre era a Gombe. Come ha vissuto la maternità in un ambiente non convenzionale?

Penso sia stato il modo migliore di farlo. Oggi al contrario si tende a crescere i figli in spazi innaturali. Ovunque andassi Grub era con me, dormiva nel mio letto e l’ho allattato per oltre un anno. Non dovevo preoccuparmi di biberon e sterilizzatori. Era parte di me e quindi tutto più facile.

Ma era influenzata dalla vita degli scimpanzé che osservava?

Penso di sì, perché le femmine sono delle ottime madri. Ma anche la mia era così e quindi ho avuto buoni esempi.

Suo figlio è coinvolto nel suo progetto?

Fino a un anno fa no. Ora sono felice di poterle rispondere di sì: sta collaborando e lavora alla produzione di miele bio.

La scienza richiede totale dedizione e le donne talvolta lamentano di dover scegliere tra carriera e famiglia. Cosa ne pensa?

Domanda difficile. Si ritorna a parlare con forza del fatto che i bambini abbiano bisogno delle loro madri. Quindi la risposta perfetta sarebbe prendersi del tempo per curarli o portarsi il lavoro a casa. Quando mio figlio era piccolo ero molto occupata, scrivevo e seguivo un centro di ricerca, ma ogni pomeriggio era dedicato a lui. Le donne, o meglio le coppie, dovrebbero valutare se possono assumersi questa responsabilità. Il che non significa che si debba stare accanto a loro sempre. Servono delle relazioni di fiducia con almeno quattro adulti perché i bambini crescano sicuri di sé e protetti.

Pensa che le donne abbiano una voce più forte sui temi etici?

No, gli uomini hanno spesso una voce incredibilmente forte e appassionata. E le donne possono averla nello stesso modo.

Lei è stata fortunata a scoprire la passione della sua vita e coltivarla. Cosa dice alle giovani generazioni senza direzione?

Non sanno dove andare perché hanno troppa scelta. Meglio non prendere decisioni affrettate, a un certo punto nella vita succede qualcosa, la passione sarà così forte, impossibile mancarla!

Nel suo libro In the Shadow of Man descrive Flo, vecchia scimpanzé un po’ spelacchiata, ma irresistibile per i maschi. Che cosa la rendeva così sexy?

La percezione estetica non c’entra. Flo aveva esperienza e le piaceva fare sesso! I maschi non sopportano le femmine che hanno paura e sono ritrose ai loro richiami. Si arrabbiano moltissimo. E questo vale anche per gli umani. Flo non seduceva con l’aspetto, ma con il comportamento.

Curiosità: nelle foto lei appare sempre bellissima e perfetta nonostante vivesse in una foresta. Come ci riusciva?

Mio nonno, che non ho conosciuto, riusciva a ritornare immacolato anche da una passeggiata nei boschi. Avrò preso da lui.

Intervista finita. Dedica sul libro: “Follow your heart...”.