Un miracolo? No, una chiamata via Skype in Cigno nero-black swan, l’inquietantethriller di Darren Aronofsky sul balletto classico, l’étoile Nina (Natalie Portman) ha un “doppio” psicologico decisamente all’altezza. È Lily, la sua disinvolta sostituta: il suo io dionisiaco represso. Il ruolo è interpretato dalla “nuova” e spudorata Mila Kunis (dove si era mai vista una ballerina classica così sexy e trasgressiva?), che per la performance si è portata via all’ultima Mostra del Cinema di Venezia il premio Marcello Mastroianni come miglior attrice giovane. E non era che un assaggio delle nomination hollywoodiane piovute ora sul film. Nylon, rivista newyorkese molto di tendenza, le ha appena dedicato una copertina, sul web si rincorrono foto fashioniste («Ma io di solito mi vesto con sneakers e blu jeans») e twit sulla sua carriera in ascesa libera. È già un tormentone la scena di nudo con Justin Timberlake in Friends with Benefits, commedia rosa che uscirà negli Usa l’estate prossima. I benefici del titolo sono quelli di cui godono lui e lei, non fidanzati ma amici, che decidono di andare a letto insieme, senza tanti strascichi sentimentali: tema che promette di diventare uno dei più gettonati cine-filoni dell’anno.

Barbie sì o Barbie no?

Aria da vamp su un corpo adolescenziale, grandi occhi di colore diverso (tipo kusky, una sfumatura azzurra per il destro e una verde per il sinistro), a 27 anni l’attrice parla con l’aplomb di una veterana. Perché in fondo lo è. La sua è una storia di immigrazione e vocazione precoci. Milena “Mila“ Markovna Kunis nasce a Chernovtsy (oggi in Ucraina) il 15 agosto 1983. Arriva a Los Angeles a sette anni con i genitori, i nonni, e un fratellino più grande.

«Era tutto nuovo per me», ricorda. «Prima di allora non avevo mai visto una persona di colore. Non sapevo nemmeno che esistessero, le persone di colore».

Per affrontare il Nuovomondo si è costruita addosso una corazza? «Non credo che a sette anni un bambino possa farlo, per il semplice fatto che non ha paura. Se non immagini le conseguenze, non senti la necessità di farti una corazza. Se metti ragazzini di quell’età in un ambiente nuovo, loro vi si immergeranno con naturalezza. Alla fine della seconda elementare, dopo sei mesi che ero in America, io parlavo già inglese. Non l’ho studiato, non avevo un libro, non l’ho appreso, semplicemente mi sono lasciata avvolgere dai suoni. Non credo che oggi mi riuscirebbe così velocemente».

Per aiutarla con la lingua, i genitori la iscrivono a una classe di recitazione. A nove anni Mila è già in tv. Prima nella pubblicità, per la Barbie della Mattel: «Mi regalavano un sacco di bambole naturalmente, ma io ero un maschiaccio, le odiavo, per cui restavano chiuse in una scatola», dice. A 14 anni (barando sull’età) è nel cast della sitcom That ’70s Show. Ci resterà fino ai 20, quando, dice, «mi sono resa conto che con la tv avevo guadagnato abbastanza da essere a posto per tutta la vita. A quel punto ero libera di fare anche altre cose».

Il cinema, per esempio. Che arriva con una serie di titoli non proprio indimenticabili, come Forgetting Sarah Marshall di Judd Apatow (2008). Qualcuno, vedendola qualche mese più tardi nei panni di Mona Sax in Max Payne, con Mark Wahlberg, nota l’estrema rigidità con cui si muove e imbraccia pesantissimi fucili. «Per forza, è figlia di un taxista ucraino!», vocia il regista John Moore. In realtà il padre era un ingegnere meccanico e la madre un’insegnante di fisica. Forse a quella durezza hanno contribuito gli esordi a Los Angeles, non proprio rosei.

Let’s dance

Mila deve molto della sua popolarità in patria a: 1) l’aver prestato la voce a Meg del cartoon culto I Griffin; 2) il successo di Non mi scaricare, girato alle Hawaii, dove lei faceva la ragazza della porta accanto; 3) il fatto che Darren Aronofsky, il regista visionario di Requiem for a Dream e The Wrestler, abbia visto per caso proprio quella commedia. E l’abbia notata. È così convinto che Mila sia perfetta per la parte di Lily, da non farle neppure il provino. Anzi, le comunica la notizia direttamente via Skype.

«È la prima volta che non ho dovuto lottare per avere un ruolo», gongola l’attrice. Che intanto è apparsa accanto a Denzel Washington in Book of Eli e ha iniziato a comparire regolarmente nella top 100 delle più sexy del mondo, stilata ogni anno dalla rivista Maxim.

Aronofsky pensava a un film sul mondo del balletto da molto tempo (sua sorella è una danzatrice) e Natalie Portman, che pure ha studiato danza, era la sua protagonista designata. Ma il regista faticava a trovare finanziamenti. Pare che la danza classica, al solo nominarla, stenda di noia i produttori di Hollywood (e non solo). Almeno fino ad ora. Cigno nero (in Italia dal 25 febbraio) è tutto tranne che noioso. Un thriller psicologico con visioni horror e scene erotiche ardite, che tratta un tema terribile: la ricerca della perfezione nell’arte, per la quale si può anche morire. Lo stesso di un cult come Scarpette rosse di Michael Powell e Emeric Pressburger, una favola di Andersen che non risparmia paura e crudeltà. Del resto, «il balletto è gotico», dice Aronofsky (azzeccata, quindi, la sua scelta di affidare i costumi all’inquietante stile delle sorelle di Rodarte).

La vicenda segue la compagnia diretta da Thomas Leroy (Vincent Cassel) alle prese con la messa in scena de Il lago dei cigni a New York. La prima ballerina Nina, sotto pressione, torturata da una madre ambiziosa e timorosa di essere sostituita da Lily, si allena spasmodicamente rinunciando a ogni svago. Un tormento senza estasi. Al contrario Lily, sensuale e libera, esce (molto), si diverte, beve, si droga, fa sesso. È l’alter ego della candida Nina, il cigno nero imprigionato in lei, che aspetta di emergere. E senza il quale Nina non raggiungerà mai la grandezza. «L’originalità del mio ruolo sta nell’essere raccontato da punti di vista diversi», spiega Mila, «quello reale e quello basato sulle visioni di Nina». La quale, nei suoi deliri psicotici, immagina di avere rapporti anche sessuali con lei. La scena è ovviamente tra le più chiacchierate dell’anno.

Amiche fuori scena

Deve essere stata dura per le due. Hanno dovuto buttar giù un sacco di chili. «Sette», ha precisato la già esile Portman, «perché Nina, il mio personaggio, è malato». E Mila: «Terribile. Dovevo sembrare una ballerina e averne il portamento. Mi sono allenata quattro ore al giorno, sette giorni alla settimana per sette mesi. Alla fine avevo perso nove chili».

Poi ci sono state le ferite: «Tutti si sono fatti male. Io mi sono slogata una spalla due settimane prima di girare; nel primo mese di prove mi sono strappata i legamenti del polpaccio. E ho due ferite sulla schiena nel punto in cui Benjamin Millepied, il coreografo, mi ha tenuta sollevata per sei ore!». Millepied ha tenuto sollevata anche la Portman e di lei, nella realtà, si è innamorato pazzamente. Al punto che i due ora aspettano un figlio. Mila invece ha fatto coppia per anni con Macaulay Culkin, quello di Mamma ho perso l’aereo; i due ora sono «solo buoni amici» (senza benefits).

«Conosco Natalie da almeno sette anni», racconta Mila. «La domenica mattina andiamo insieme al mercato delle pulci a caccia di buoni affari. La nostra amicizia in realtà ha reso più facili le scene di sesso, che davanti a una macchina da presa sono sempre imbarazzanti». Anche Natalie, come Mila, è un’immigrata (è nata a Gerusalemme) e ha esordito ragazzina, in Léon. Curiosa coincidenza, le attrici hanno due film in uscita dalla trama pressoché identica, storie di sesso tra amici che non hanno tempo per i sentimenti: il già citato Friends with Benefits per Mila, e No Strings Attached per Natalie, con Ashton Kutcher e la regia di Ivan Reitman. Competizione feroce e perfezionismo maniacale sono demoni ben radicati nel mondo artistico.

Uno spirito libero come Lily avrebbe scampo nella vita reale o verrebbe buttato fuori dal corpo di ballo? Il cigno-Mila ha uno scatto d’orgoglio: «Un momento. Per quanto Lily sia selvaggia, è molto rigorosa nell’allenamento. Non manca mai una lezione. Ci sono ballerine che escono, si divertono. E poi hanno la disciplina necessaria per tornare ogni giorno al loro posto». E lei si sente più cigno bianco o nero? «Tutt’e due. Ma vorrei avere un po’ di più la temerarietà di un cigno nero».