Cara Ragazza che alle Superiori Non me l’ha Mai Data (la abbrevieremo in Rasunmada, che suona terzomondista, più politicamente corretto), quanto tempo. Sono passati sedici anni esatti da quando, davanti alla chiesa di quel paesino di mare, ho deciso di dirti ti amo. Allora me ne andavo in giro con un walkman, ascoltando a ripetizione Don't rock my boat di Bob Marley. La barca me la scuotevi tu. Con quelle belle mani, quegli occhi nocciola, quel corpo minuto. Quel tuo apparente bisogno di essere protetta e amata. E, sai? Le canne, i miei 17 anni e tutto il resto, ero davvero convinto di essere disposto a dare la mia via per proteggerti. Per farti sentire amata. Il Bullo ti aveva lasciato in maniera così spietata. Per chi? Per la Sciacquetta, giusto? Prometteva sesso orale, la Sciacquetta, e il Bullo non aveva resistito. Certo, gli ormoni, i primi “vado troppo veloce?”, il petting da raccontare agli amici. Io invece ti avrei offerto quell'amore da che ci importa del futuro e dei genitori e del sequestro dello scooter e della quinta declinazione: io ti amo. Povera Rasunmada, dicevo. Amore mio, dicevo. Sarai felice, con me, e io sarò felice con te. Sai, la prima volta. La prima volta, capisci? Tutto così vicino. Io in viale Liberazione, tu accanto alla Chiesa. Quanto? Cento, duecento metri. Tutto era lì. E sarebbe potuto rimanere lì per sempre.

E invece tu, cara Rasunmada, ti sei segretamente trombata i ragazzi delle tue migliori amiche. Ricordi? Calciatore, che stava con Amica 1. E DJ, che stava con Amica 2. Altri? Non saprei. Era l'estate del 2000. Ci pensi? Tu, quando di fronte alla chiesa ti ho detto "Rasunmada, ti amo", mi hai risposto: “No, non ti conviene, ti farei soffrire”. E io pensavo: “che coscienza, cha altruismo, che umiltà”. Poi ti ho scoperta. Ma, sai la verità? Non mi è mica passata. Anzi. Mi sono eccitato moltissimo. Se, prima, dedicarti anche una sola seduta di masturbazione mi sembrava meschino...be’, poi, quando ho scoperto che razza di zoccola eri, poi mi sono fatto venire occhiaie a cratere lunare.

Una volta avevo calato due tulipani verdi. Non quelli con il tulipanino soltanto stampato: quelli proprio a forma, di tulipano. Belli morfinici. Chi me li aveva dati? Pusher 1? Pusher 2? Fatto sta che fu l’unica volta in cui ne presi due, di cale. Davvero belle robose. Con qualche amico ti ho salutato davanti a casa tua, smandibolando, in quel retro-cortile piccolo borghese che per me, con le pigne sparse e i maggiolini che dimenavano le zampette al cielo per raddrizzarsi, era una promessa di felicità. La tua stanza era a tre metri. Io salivavo e godevo in ogni fibra e pensavo che se tu mi avessi portato per mano in camera tua e sfiorato lo scroto con le tue dita affusolate quello sarebbe stato il momento più bello della mia vita. Tu avevi pantaloncini di spugna inguinali e quella tua espressione, quell'espressione: “Se tu fossi un po’ meno sfigato potresti salvarmi”. Sei entrata in casa, sola, dopo avermi concesso un bacino sul mento. Ma perché cavolo, sul mento? Io, allora, già sapevo. Già sapevo tutto. E mi dicevo: “Ma perché loro, perché Calciatore e DJ, e non io? Io non sono manco fidanzato con una sua amica!” E giù di seghe.

Ma non è mica servito, sai, massacrarmi di pugnette. Tu, dopo l'estate, ti sei messa con Bullo 2. Ricordo che una volta, sarà stato ottobre, lui ti disse, con una t-shirt attillata, davanti a Pizza al Taglio: “Perché mi guardi la pancetta? Vedrai che anche tu quando smetti di fumarti le canne metti su la pancetta”. Io origliavo, e pensavo: “Ma pensa te che razza di idiota, Bullo 2”. E tu te lo trombavi. E io...giù di pippe. E di addominali. Lui c’avrà la pancetta, mentre io, mi dicevo, vedrai, Rasunmada, che fisicaccio ti metterò su. Mi eccitava molto l’idea che tu, con quelle unghie un po’ prominenti ma sempre un passo al di qua dell'accettabilità borghese, mi graffiassi i miei neonati pettorali. E poi mi ero costruito una personalità ad hoc tutta per te. Una specie di sciamano emaciato, tutto slogan fricchettoni e morale mistica da cilum di nepalese. Mi dicevo: Bullo 2 è il Sistema. Bullo 2 è il mio nemico. Mi dicevo: si ha bisogno di un nemico. Mi dicevo: in fondo tutti si costruiscono una personalità, e io mi sono costruito questa qui: sconfiggerò Babylon, il male, Bullo 2, diventerò il nuovo Bob Marley e sarà Rasunmada a farmi le pippe, con quelle belle mani dalle unghie discretamente prominenti. Una volta Pusher 1, mentre io canticchiavo Stir it up, fuori dal Liceo, mi disse: “Ueh, biondino, sei proprio spiccicato a Bob Marley, tu, eh”. M’ero messo in testa che a te piacessero i neri, o quanto meno i mori, insomma, un po’ pelosi e cazzuti, e io avevo perso il senso della realtà. Quel giorno rinvenni e sprofondai nello sconforto: ero incontrovertibilmente ariano. Mi ributtai nelle seghe e nelle droghe. Sì, perché in quel periodo, per dimostrarti che ero uno tosto, assumevo più droghe che potevo, soprattutto psichedelici perché erano i più rischiosi, potevi lasciarci il cervello, con quelli lì, e infatti poi ho sofferto per anni e anni di attacchi di panico per quell'estate dei miei 17 in cui mi sono fatto seppuku tra le sinapsi.

Ma vuoi sapere la verità? Io ho ancora tale e quale la personalità che tu, con quelle mani quegli occhi nocciola quel corpo minuto quel tuo modo sovietico di trombarti Calciatore e DJ, hai modellato. Cioè, dico, non sarei mica quello che sono senza quell'estate là. Sai che quando sento Bob Marley ancora torno a quei miei 17 anni? Ancora mi ricopro di brividi, mi sento capace di sconfiggere Babilonia, il Male, di cambiare il mondo, di farti innamorare di me. Anche se tu, quella tu là, non esisti più. E forse non sei mai esistita. Sei passata da Bullo 2 a Bullo 3 a Bullo 4. Che ti hanno fatto le corna rispettivamente con Sciacquetta 2, 3 e 4. Forse gliele facevi anche tu, con altri calciatori e dj. Ma, durante ogni fidanzamento, mettevi su scarpe basse, poco trucco, abitudini caste e pantofolaie. Quando ti lasciavi, ogni volta, cambiavi vestiti, cambiavi espressione, cambiavi amiche. Ricominciavi con gli aperitivi e i tacchi alti. A ogni giro di valzer un po’ più stanca, disillusa, annoiata, vicina alla menopausa e al mai più. Ora sei sola, ti attieni agli orari da ufficio, ai ritmi fecali del tuo cane, ai sonnacchiosi riti della provincia, alla deontologia da socialnetwork: “la felicità è accontentarsi, vedete?”. Il problema è che la tua immagine di ora confonde la tua immagine di allora. Il mio incipit, il principio di quello che sono. La fonte della mia personalissima felicità è della mia altrettanto personalissima infelicità. Tutte le volte che ti vedo – promessa non mantenuta, eco di ragazza, sopravvissuta con borsetta di Louis Vuitton e accenni di rughe che se me l’avessi data non ti sarebbero mai spuntate, lo giuro, mai, ne sono certo – mi infastidisci. Ti chiedo la cortesia, le poche volte in cui torno in Città, quando mi noti da lontano, di voltare l'angolo. Vedere come sei oggi rovina i miei sogni di ragazzo, rovina tutto quello per cui continuo a lottare e a esultare e ad angosciarmi e a vivere e a pregare ogni giorno.

Per sempre Tuo,

Sfigato