Nota per il lettore: questo pezzo sarà zeppo di luoghi comuni dato che scriviamo di chi, coi luoghi comuni, ci ha VOLUTAMENTE costruito una carriera. Lo Stato Sociale a Sanremo 2018 è la notizia che arriva corredata da un claim il cui significato è già tutto un programma in prima serata: l’indie atterra a Sanremo. Il Festivàl accoglie, quindi, quel a-genere musicale che nei Duemila inoltrati di indipendente ha solo il desiderio di sfondare nel mare magnum del mainstream-ing. Dal primo EP Welfare Pop all’album Amore, lavoro e altri miti da sfatare, la discografia de Lo Stato Sociale ci ha raccontato di amorazzi, sbronze, spleen millennial, rivoluzioni social-i. Da Amore ai tempi dell’Ikea a Nasci rockstar, muori giudice ad un talent show, le canzoni de Lo Stato Socialeci hanno fatto compagnia mentre appallottolavamo compendi universitari bevendo Tennent’s sotto i portici. Incastri da manuale del tatuaggio statement perfetto, il parlato comune in versi engagé ma non troppo, nazionalpopolari ma non troppo, satirici ma non troppo. Evidentemente nessuno soffre di horror vacui. Meglio così.

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E fai il caso umano, il pubblico in studio/Fai il cuoco stellato e fai l’influencer. Titola Una vita in vacanza la canzone che Lo Stato Sociale presenterà alla 68esima edizione dell’istantanea (sbiadita?) della musica italiana. Tra gli ospiti a Sanremo 2018 aka glorie vecchie e vecchie glorie, la band bolognese composta da Ludovico “Lodo” Guenzi, Alberto “Albi” Cazzola, Francesco “Checco” Draicchio, Alberto “Bebo” Guidetti e Enrico “Carota” Roberto ci descriverà, ancora una volta, il momento storico dell’Italì in cui siamo (mal)capitati, ci spiegherà con parole sue (regaz, vez…) come si può alludere a tutto e a niente contemporaneamente. E fai il bioagricoltore, il toyboy, il santone/Il motivatore, il demotivato. Lo Stato Sociale cantante, Lo Stato Sociale uguagliante, Lo Stato Sociale per la pubblica istruzione e per la disoccupazione, Lo Stato Sociale per la standardizzazione dei cliché su cui tanto ci piace parlare al bar sotto casa. In un’edizione sanremese dove il più giovane tra i Big ha 28 anni, dove ritornano dal passato remoto monumenti che non era obbligatorio scomodare, in un teatro in cui ci aveva già provato qualcun altro a scuotere parterre, menti e petali (e oggi fa il giudice di un talent show), in quel programma televisivo che nel 2018 sta alla realtà discografica italiana come un due di briscola quando l’asso è in tavola, qual è davvero il motivo che dovrebbe spingerci a provare empatia verso chi continua a mascherarsi da studente fuori sede/e fuori corso/e fuori tempo massimo?