Ogni volta che una donna fa notizia per un premio, un evento o anche uno scandalo, mi domando che tipo di madre abbia avuto e che rapporto abbia con lei. Sono, o erano, molto attaccate una all’altra? Ha sempre sentito il suo sostegno? Se poi la descrivono come “una che con la madre non si parla” la mia curiosità cresce.È come un thriller, una specie di poliziesco emotivo, mi domando che cosa sia davvero successo.

Ci piaccia o no, quello delle madri è un tema che ha mille facce, come un prisma, perché sono le persone più importanti. Per capirne il ruolo basta dire che di mamma ce n’è una sola. Io l’ho realizzato quando la mia figlia più grande aveva 3 anni. Mi si è strofinata addosso e mi ha detto: «Tu sarai sempre la mia migliore amica». Ho ricambiato le coccole e le ho risposto: «Cecilia, amore, io non sono la tua migliore amica, sono tua madre. E di mamma ne avrai sempre soltanto una, mentre di amiche ne avrai un sacco». Ora lei ha 16 anni e quando ripensiamo a quell’episodio scoppiamo a ridere. Andiamo d’accordo ma abbiamo passioni molto diverse. Mai sentito parlare di Kendrick Lamar, l’attuale dio della musica, un rapper americano? Neppure io finché mi sono ritrovata in coda, una coda atrocemente lunga, e mi hanno detto che i biglietti per il concerto erano già esauriti sei secondi dopo essere stati messi in vendita online.

Cecilia e Allegra non sono come me, sono gemelle, e mi piace che non abbiano interessi simili ai miei. Faccio il possibile per mostrare che il loro parere per me è importante. Mi sforzo di non essere una di quelle madri che mandano messaggi contraddittori, che prima approvano una cosa e poi la criticano. Ma anch’io sono umana,troppo umana, e probabilmente non sempre ci riesco. Però non le ho mai considerate come prolungamenti di me. Se qualcuno mi chiede a chi assomigliano, la mia unica risposta è «a se stesse».

La mia assertività è dovuta al fatto che sono figlia di una madre famosa, Antonia Fraser, la scrittrice di tanti bestseller. Lei è bionda, io sono mora… Mascella volitiva a parte, non ci assomigliamo per niente. Eppure da bambina mi hanno continuamente ammorbato con paragoni ridicolie domande piene di buone intenzioni ma sostanzialmente idiote, tipo: «E tu, quando scriverai il tuo primo libro?». Fin da quando ero piccola mi sono sentita come eclissata dalla statura e dalla presenza di mia mamma. Così, almeno, avevo deciso che stavano le cose durante i miei difficili vent’anni e i miei frenetici trenta. Nel 1985 me ne ero anche andata dall’Inghilterra, ma avevo continuato a sentirmi messa in ombra da lei.

Eppure ci siamo divertite, siamo state bene insieme. Purtroppo lo avevo dimenticato. Quei suoi regali di compleanno creativi, come la casa delle bambole che era la replica esatta della nostra di Londra, o il tutù da fatina disegnato per me dalla costumista del Ballet Rambert. Quando usciva di sera mi faceva scegliere gli anelli, gli orecchini e gli accessori che avrebbe indossato. Avevamo la passione per gli oggetti di cartoleria,carta da lettere, etichette adesive, penne.E quanto adoravo starmene sul sedile della sua Mini Cooper, schiacciata contro uno dei miei cinque fratelli e sorelle, ad ascoltare i Beatles mentre lei sfrecciava in modo randagio per Londra. Al volante era un vero disastro e lo ammetteva.Ma era un’autentica bellezza anni Sessanta: ciglia finte, labbra à la Julie Christie, elaborateextension di capelli biondi (trecce e code di cavallo). E alla fine la passava sempre liscia. «Sorry, agente», diceva al poliziotto che l’aveva beccata mentre percorreva in retromarcia una via a senso unico.La facilitava il fatto che tutti la riconoscesseroimmediatamente. Allora Londra era piccolae provinciale e lei era una scrittrice e una star che alla radio e in tv conquistava tutti con la battuta pronta, una straordinaria memoria storica e quella sua voce deliziosa.

Aveva perso l’accento upper class, grazie ai corsi di dizione e quando scriveva per la versione inglese di Vogue cercava sempre, e ci riusciva, di essere immortalata da uno dei fotografi che erano sul set. Nomi del calibro di David Bailey, Patrick Lichfield e Norman “Parks” Parkinson. E poiché era un’autentica English rose, una vera bellezza inglese, succedeva raramente che non usassero la foto di mamma per illustrareil suo articolo. A volte eravamo coinvolti anche noi figli. Mi ricordo ancora quanto era stato gentile “Parks” nel momento in cui io, a 4 anni, avevo posato nei panni di Little Miss Muffet, quella della famosa filastrocca per bambini.

Tutto questo sembrerà esagerato, ma era davvero così. Mia madre, oltre a essere colta, ha sempre posseduto un grande charme, era irresistibile. Era impossibile dirle di no. Ha lasciato un segno indelebile. E il sentimento che ognuno è l’artefice della propria vita. Che, se sei disposta a lavorare e a puntare in alto, la vita diventa un’avventura.Di questo le sarò eternamente grata.

«Avere sempre un proprio reddito e non dipendere mai da un uomo»: a casa era il suo grido di battaglia. Piuttosto rivoluzionario per una che veniva dalla misogina upper class britannica dove le belle ragazze erano “bred to be wed”, crescevano con l’unico obiettivo di sposarsi. Lei era diversa. Dopo essersi messa con Harold Pinter, che spesso veniva chiamato il commediografo ebreo dai modesti natali, ha sempre dichiarato di fare parte della middle class. Cosa che generava confusione, visto che poi usava il titolo aristocratico di Lady Antonia. Ma molte cose della mamma erano piuttosto confuse, o almeno così mi sembrava da bambina. È allora che ho cominciato ad avere tanti dubbi, che è nata la mia rabbia. Ho realizzato che, wow, noi figlie possiamo essere molto dure e non perdonare niente. Siamo mostruosamente capaci di concentrarci su tutti gli aspetti più negativi e ignorare la luce, quello che c’è di positivo. La verità è che spesso le nostre madri si trovavano, o si trovano, in difficoltà e facevano il meglio che potevano, o che possono.

Era fissata con il mio peso e il mio fisico e a me questa cosa non è mai andata giù. Nonostante fosse un’intellettuale aperta, a 8 anni mi ha messo a dieta. E da un po’ pienotta che ero, improvvisamente sono diventata grassa (mi si è incasinato il metabolismo). Diceva che non voleva che io soffrissi. Ma l’unica cosa che mi faceva davvero male era il suo comportamento insensibile e insensato. Negli anni Settanta molte madri hanno commesso lo stesso errore. Vigeva una specie di regola che obbligava i figli a eccellere a scuola o nello sport, o a essere belli e magri.

Anche John Malkovich era grasso. Invece di rimproverare sua madre o la mia, lui trova che quella fase infelice «ci abbia donato un fantastico senso dell’umorismo». Non sbaglia. Per lui ero fortunata,anche perché mia mamma faceva una vita affascinante e così mi lasciava in pace. «Molte madri non lo fanno ed è una tragedia», dice John.

È vero, mamma aveva delle ambizioni per me. Però non cercava di controllare e decidere la mia vita al posto mio. Mi ha lasciato essere me stessa. E questo mi ha dato molta libertà su tutti i fronti. Non dimentichiamoci che spesso grandi matrimoni e grandi carriere sono stati costruiti o spinti da una mamma ambiziosa.

Anche nella vita di Margot Fonteyn la madre ebbe un ruolo fondamentale. Così almeno ci spiega Julie Kavanagh, autrice della biografia della étoile. Stessa storia per Audrey Hepburn.Il produttore Sam Spiegel racconta che la mamma di Audrey tormentava lo show business per decidere se sua figlia (una ballerina di fila) dovesse continuare a danzare o meno. E poi c’è la star bambina più famosa di Hollywood, Elizabeth Taylor, la cui mamma Sara Sothern era una ex attrice di teatro. È affascinante vedere come nella vita privata queste donne abbiano avuto comportamenti estremi e opposti. Da un lato, le angeliche Fonteyn ed Hepburn, così magre, sottomesse e afflitte da mariti infedeli, dall’altro la pestifera Liz Taylor che tra alti e bassi si gonfiava e si sgonfiava, tenendo in pugno la maggior parte dei suoi sette mariti. È quasi come se Fonteyn e Hepburn avessero accettato che il loro destino fosse quello di fare sempre il proprio dovere ed essere obbedienti in qualsiasi circostanza. Le loro madri assillanti glielo avevano inculcato e Taylor, invece, pare abbia continuato a ribellarsi fino alla fine. Liz poi si è comunque presa cura di mamma Sara e ne ha riconosciuto i meriti. Non era stupida, probabilmente ha realizzato che molte madri sono tigri che vogliono aiutare i propri cuccioli. E che niente è mai del tutto semplice e chiaro nei rapporti tra donne. C’è sempre una forte rivalità nascosta. Anche la mamma più dolce può essere crudele e manipolatoria, mentre quella che è narcisista e che tutti criticano può rivelarsi affettuosa e premurosa. Forse non è un caso che, quando hanno a che fare con teenager anoressiche, in Francia i medici separino subito le figlie dalle madri. Dicono che i disturbi alimentari siano direttamente legati alla figura materna. Food for thought, è un tema su cui c’è da riflettere. Siamo una società con la fissa dell’astrologia, ma spesso l’elemento materno ci può fornire immediati indizi su certi aspetti nascosti della personalità.

MUM però mi ha sempre ispirato. È stata la prima a incoraggiarmi a scrivere. Se scrivevo il diario delle vacanze mi pagava perfino una sterlina a pagina. La sua disciplina professionale continua a stupirmi. Ora che sono madre e ho scritto qualche libro posso dire: «Mamma, sei la persona che ha avuto più influenza su di me». Anche se a lei piace prendermi in giro: «Ah sì?, credevo fosse Mick Jagger», risponde alludendo alla relazione che negli anni Ottanta ho avuto con la rockstar. Nel nostro rapporto l’ironia è stata fondamentale. Ci ha aiutato nei momenti difficili e ho notato la stessa cosa in altre madri e figlie. Lo humour è una prova di affetto, dà speranza, fa capire che, quando le figlie maturano e sanno accettare e perdonare, un bel rapporto è possibile. Dopo le mie figlie e i miei undici libri, la cosa di cui sono più orgogliosa è il rapporto con mamma. Consapevole di come si è evoluto e di come io ne abbia raccolto, dal punto di vista emotivo, i frutti.