Alison Brie studia recitazione a Glasgow, e s’innamora del business al punto tale da accettare qualsiasi lavoro che le lasci il tempo per studiare. Presto fatto. Saltiamo in California, dove, dopo aver lavorato come clown e telegramma-girl, riesci ad entrare - e a farsi notare - nel prestigioso cast di Mad Men. E, subito dopo, nella serie tv Community, dove scopre che la commedia la affascina e ne viene altrettanto ricambiata, al punto da diventarne uno dei volti più seguiti e scritturati da Hollywood. Seguono The Post di Spielberg e The Disaster Artist diretto dal cognato James Franco. Su Netflix Alison Brie la vediamo da poco nella seconda stagione di Glow, la serie tv creata da Liz Flahive e Carly Mensch che racconta la nascita di un programma dedicato al wrestling femminile nella Los Angeles degli anni Ottanta. Protagonista indiscussa della serie nei panni di Ruth Wilder, insieme a Betty Gilpin (Debbie Eagan) e il comico Marc Maron. Se non avete mai visto la prima stagione, è ora di sottoporvi ad una sezione di binge watching di Alison Brie in Glow. Incontriamo Alison all’annuale sede delle interviste tv, accompagnata dal marito, l’attore (anche abbastanza comico) Dave Franco, fratello del più famoso James.

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Come si sta da sposate?
Benissimo, pensavo che il meglio fosse nel periodo del fidanzamento, quando ancora lui si trattiene dal fare un sacco di cazzate e in teoria potresti mandarlo a quel paese. Ma devo dire che il matrimonio - almeno i primi 3 giorni - è bellissimo. (ride) Poi abbiamo litigato come pochi. Colpa anche del suo prossimo film in cui interpreta un tossico dipendente dall’eroina. E, per essere onesti fino in fondo, anche dal successo che il mio Glow sta avendo in tutto il mondo.

Cosa cercava in un uomo quando era single?
Volevo una persona che mi rispettasse, che fosse gentile e che sentimentalmente volesse prendersi cura di me, voglio sentirmi amata. Sembra ovvio, ma non è così facile.

Dopo il successo della prima stagione di Glow, cosa ci riserverà la seconda?
La prima stagione è stata una sorpresa per tutti noi: cast, scrittori produttori inclusi. E poi, la bellezza e fisicità di un gruppo di donne atlete e attrici negli anni 80. Ho detto subito si, anche se non sapevo nulla del wrestling. E per quanto riguarda la seconda preparatevi, perché mai ci saremmo immaginati di poter toccare argomenti così interessanti e attuali, consequenziali a quello che viviamo.

Tipo?
Parleremo di abuso sessuale. Che, in quel di Hollywood negli anni Ottanta, era certamente una prassi quotidiana per chi come me, donna, dovesse fare delle audizioni. Siamo fortunate, noi di questa generazione, che non siamo dovute crescere sotto quel clima. E, attenti, non sto criticando nessuno… Ma sono felice che tutto questo schifo sia finalmente uscito e che abbia fatto partire #metoo, #standup, #nomoreharrasment e #pagaequauominidonne. Poi racconteremo le storie di alcuni di loro e come affrontano questi problemi nella serie tv. E poi del fatto che il mio personaggio diventa finalmente protagonista anche nel ring, divento una “bad girl”.

Come descrivi la tua trasformazione in queste due stagioni?
Mi ha cambiato la vita, mi sento una persona diversa adesso. E tanto ha a che fare con il senso di “potere” emotivo che noi donne abbiamo. Assecondato da un ambiente composto quasi interamente da donne incredibili: scrittrice, produttrici, 14 donne con le quali condivido la mia vita, i miei pensieri, le mie azioni, le miei idee ogni singolo giorno. Mi ispirano, mi spronano, mi incitano… E parlo anche a livello fisico, proprio io che sono un fuscello. C’è speranza di lavorare finalmente bene in quest’industria.

Ci racconti un momento che avete sentito importante mentre lo giravate?
Quando il mio personaggio viene abusato sessualmente da parte di un executive hollywoodiano “fittizio”. Sapevamo di toccare un argomento attuale, delicato, sensibile. L’abbiano studiata sotto ogni punto di vista, persino il set della camera da letto, di quello che Ruth poteva e/o doveva fare per sopravvivere all’attacco. Fortissima e emotivamente profonda anche la coreografia di questa scena, molto personale, perché tutte noi donne abbiamo, prima o poi, avuto un momento in cui il genere maschile non ci ha rispettato o preso sul serio. Giusto farlo vedere alle generazioni di ragazze e, ancora più importante, di bambini che avranno la fortuna di crescere in un nuovo mondo in cui non ci sarà bisogno più di proteggersi.