Non era mai successo prima. Sono settanta quest’anno le donne nominate agli Oscar. Viola Davis, poi, è l’attrice nera con più candidature della storia. Quella di quest’anno (per il film Ma Rainey’s Black Bottom, che potete vedere su Netflix) è la sua quarta. Per la prima volta, inoltre, ci sono due donne nominate come miglior regista: Chloé Zhao per Nomadland (a fine aprile, cioè dopo gli Oscar, su piattaforme e chissà anche al cinema, se riaprono le sale) ed Emerald Fennell per il film Promising Young Woman. Tra l’altro, Emerald è anche attrice, ma non in questo film. È l’interprete di Camilla Parker-Bowles in The Crown.

Il multitasking delle donne si porta benissimo ovunque, anche a Hollywood.

Comunque, tanto per mettere i puntini sulle “i” di femminismo, prima di Chloé e di Emerald, solo cinque donne hanno avuto la nomination agli Oscar come registe: Lina Wertmüller (Pasqualino Settebellezze, 1976), Jane Campion (Lezioni di piano, 1993), Sofia Coppola (Lost in Translation, 2003), Kathryn Bigelow (The Hurt Locker, 2009) e Greta Gerwig (Lady Bird, 2017). L’unica ad avere vinto, finora, è stata Kathryn Bigelow e per un film di guerra, pensate un po’. Non è stata candidata, invece, quest’anno Regina King che ha diretto One Night in Miami (si può vedere su Amazon PrimeVideo), storia tutta al maschile: porta a casa comunque una nomination per la sceneggiatura e per uno dei suoi interpreti, Leslie Odom jr, come non protagonista.

Insomma è un anno pieno di inediti e di prime volte, un anno diverso e non solo perché sono i primi Oscar dopo la pandemia.

Anche le attrici candidate nelle categorie Protagonista e Non Protagonista non sono, almeno in parte, i soliti nomi per i soliti film. C’è Vanessa Kirby (Pieces of a Woman, visibile su Netflix) già vincitrice della Coppa Volpi all’ultima Mostra del cinema di Venezia e, anche lei, ex The Crown (era la principessa Margaret nelle prime due stagioni). Vanessa ha almeno due grandi scene “da Oscar” nel film, scene che ne fanno la super favorita al premio: quella in cui partorisce in casa e, per una distrazione dell’ostetrica, la bambina muore e una scena in tribunale, durante l’udienza della causa contro detta ostetrica. In entrambi i casi, Kirby è abilissima nel controllare la recitazione ma non le emozioni. Inglese come lei, Carey Mulligan in Promising Young Woman ha per le mani un personaggio con un arco narrativo definito (dolore, delirio, follia criminale) e lo porta a casa come poche altre saprebbero fare. Mulligan è alla sua seconda nomination, la prima fu per An Education, mentre l’altra candidata Andra Day non solo è alla prima. È proprio al suo primo film: The United States vs Billie Holiday. Il film è abbastanza convenzionale (sofferenze e amori, razzismo e droga) ma Andra è una fuoriclasse, e canta pure come la mitica Billie. Anche Viola Davis interpreta una cantante in Ma Rainey’s Black Bottom e lo fa con tutta l’abilità di cui è capace: recitazione potente, occupa lo schermo, si è mostrificata per il ruolo (grassa, sudata, trucco che cola tutto il tempo). Sono molte, anche troppe, le scene “da Oscar” che il copione le mette a disposizione.

Tutto il contrario di Nomadland, un piccolo film poetico, che racconta dei nomadi contemporanei in giro per l’America: chi non vuole avere una casa ma preferisce la strada. Frances McDormand, in mezzo ad attori non protagonisti, veri nomadi, si mimetizza con il paesaggio umano e ci porta via con lei. Non mi stupirei che vincesse il suo terzo Oscar, a 63 anni, dopo quelli per Fargo (1997) e Tre manifesti a Ebbings, Missouri (2018).

E poi c’è il “caso” Glenn Close, candidata come non protagonista. Non ha mai vinto, è alla sua ottava nomination. Lo è per un film non proprio riuscito come Hilbilly Elegy (su Netflix), ma potrebbe essere la volta buona. Capita spesso che grandi attori non vincano per il loro ruolo migliore nel film migliore ma a un certo punto finalmente si portino a casa la benedetta statuetta solo perché “è arrivato il momento”. Glenn non ha vinto per Attrazione fatale né per Le relazioni pericolose né per Il grande freddo. Quest’anno, tra l’altro, la concorrenza nella categoria Best Supporting, non è fortissima. Ci sono Olivia Colman per The Father (ma ha vinto da poco), le molto giovani Maria Bakalova (per Borat -Seguito di film cinema su Amazon Prime) e Amanda Seyfried (per Mank, su Netflix). Solo la quinta in gara, la coreana Yuh-jung Youn (per il film Minari) potrebbe mettere Glenn ancora una volta nell’angolo.