La racchetta spaccata con rabbia. Gli occhi dardeggianti. L’insulto non trattenuto, articolato con veemenza: “Ladro”. Serena Williams ha perso la partita definitiva per aggiudicarsi di nuovo il Grande Slam di tennis contro la giapponese Naomi Osaka per colpa della tripla penalità ricevuta. La finale di uno dei tornei più importanti del tennis è diventata un vero incubo. Sul campo, per le giocatrici e per chi assisteva in diretta. E la furia di Serena Williams agli US Open riapre la questione sessismo nello sport, mai sopita nel mondo agonistico.

La guerriera Williams non ha taciuto, a modo suo, battagliando durante tutta la partita. La severità del giudice di gara Carlos Ramos è cosa nota nel tennis, e nel primo richiamo alla tennista più forte di sempre le ha detto di non barare. Serena Williams si è infuriata subito: “Non baro per vincere, piuttosto perdo, che le sia chiaro” ha replicato la campionessa in tono durissimo. Nei video del match si vede chiaramente come la battagliera in tutù cerchi di mantenere il controllo. Nonostante le cose si fossero aggiustate, è stata la seconda penalità (da regolamento rispettato dal severo Ramos) a far saltare tutti gli ultimi flebili equilibri di un gioco teso e nervosissimo. Serena Williams ha spaccato la sua racchetta dalla rabbia di aver perso un punto importante in modo sciocco, e Carlos Ramos le ha dato non solo un secondo avvertimento, ma l’ha anche penalizzata togliendole il game successivo. Il che, punti alla mano, ha pesantemente influito sulla possibilità che Serena Williams contro Naomi Osaka potesse chiudere il secondo set da vittoriosa e portare la partita ad un terzo set. E la tennista non ci ha visto più.

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Matthew Stockman//Getty Images

“Ho una figlia, faccio le cose giuste per lei. Non ho mai barato e mi devi delle scuse. Chiedimi scusa o non parlarmi” ha replicato durissima la tennista nel pieno del match. Fino all’ultimo insulto diretto, quello che ha modificato definitivamente il corso di una serata già difficile. “Mi hai rubato un punto, sei un ladro anche tu” ha concluso furente la campionessa. E l’arbitro, mentre nessuno sugli spalti capiva cosa stesse succedendo, ha chiamato la terza penalità. E per Serena Williams gli US Open sono sfumati. Naomi Osaka, cui mancava solo un game, ha avuto la strada spianata verso la vittoria del suo primo grande torneo, a soli 20 anni. Una vittoria inquinata comunque dalle polemiche, dalle lacrime, dalle tensioni.

In conferenza stampa, subito dopo la fine del match, Serena Williams ha affermato di essersi sentita presa di mira perché donna. Era già successo che si scagliasse contro le decisioni delle alte sfere nei confronti delle sportive donne (nel suo caso, era stata retrocessa nei ranking per aver avuto una figlia e questo avrebbe potuto penalizzarla a Wimbledon, dove è tornata vincitrice). Perché molti colleghi uomini in passato hanno detto di tutto agli arbitri durante le partite, senza che venisse applicato duramente il regolamento o fossero presi provvedimenti per qualche coloritura di linguaggio agonistico. Un esempio su tutti, proprio con Carlos Ramos giudice di gara protagonista: Novak Djokovic gli diede del ladro ma al tennista serbo campione del mondo non venne affatto tolto un game, né furono comminate altre penalizzazioni. “Ho sentito tante altre volte degli uomini rivolgere insulti peggiori di ‘ladro’ all’arbitro e non hanno ricevuto delle penalità” ha spiegato Serena Williams. “Sono qui per l’uguaglianza dei sessi, lotto per le donne. Gli ho detto ‘ladro’ e mi ha tolto un game! È un’azione sessista, non l’avrebbe mai fatto nei confronti di un uomo” ha concluso la sconfitta Williams.

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Julian Finney//Getty Images

A favore della battaglia sulla gender equality della Williams emersa prepotentemente nella finale degli US Open si è schierata la ex tennista Billie Jean King, prima donna a sfidare un uomo (e a vincere) sul campo per ottenere la parità di genere (la sua storia è diventata un film con Emma Stone), che via Twitter ha puntualizzato il doppio standard degli arbitri nel caso di match maschili o femminili. “Quando una donna si lamenta è un’isterica e viene penalizzata, se lo fa un uomo è schietto e diretto e non ci sono ripercussioni” ha twittato l’ex tennista. Victoria Azarenka, ex numero uno della WTA, ha commentato in modo simile: “Se fosse stato un uomo, tutto questo non sarebbe mai successo”. Persino la stessa WTA ha emesso un comunicato per sottolineare la necessità di superare i diversi metri di giudizio utilizzati dagli arbitri nei differenti tornei. “La WTA crede che non ci dovrebbero essere differenze negli standard di tolleranza per le emozioni espresse da uomini e donne e si impegna a lavorare per garantire che tutti i giocatori siano trattati allo stesso modo”.

Il sessismo nello sport esiste, è palese: dai guadagni alle disparità di trattamento, il tennis non è immune esattamente come altre discipline sportive che tendono a sminuire le squadre o le giocatrici femminili di qualunque sport. E il ruolo degli arbitri pronti a sanzionare duramente le sportive durante le partite inizia a pesare molto sulle atlete: proprio qualche giorno prima della finale, sempre agli US Open, la tennista Alize Cornet si era tolta la maglietta per girarla visto che era tornata in campo indossandola al contrario, ed era stata ammonita per violazione del codice. E la stessa Serena Williams a Wimbledon aveva rischiato una penalizzazione per il suo look in campo. Ai tennisti uomini, che spesso cambiano la maglia durante i match e restano a torso nudo, non viene mai detto nulla in merito.

Solo il surf prova a distinguersi partendo dalla questione principale: gli stipendi. E i premi, che sono sempre più alti per gli uomini (non sfioriamo nemmeno il calcio, lì ci sono abissi di uguaglianza tipo Fossa delle Marianne). Dal 2019, la WSA ha annunciato pubblicamente il superamento del gender pay gap per i vincitori/vincitrici dei tornei mondiali di surf: i pagamenti saranno uguali, senza distinzioni di genere. Un piccolo passo avanti. A quando l'onda lunga nel resto degli sport?