Gli anni Sessanta, Roma, piazza del Popolo, le sue vie intorno e i suoi storici bar - Rosati in primis - dove gli artisti – da Alighiero Boetti a Franco Angeli, da Jannis Kounellis a Mimmo Rotella, Mario Schifano e molti altri - si ritrovavano facendo sì che i loro sogni divenissero realtà. Paola Pitagora era all'epoca una sedicenne e tra loro ci finì quasi per caso. Frequentava Renato Mambor che, per sbarcare il lunario, lavorava in una pompa di benzina. Era troppo bello per restare lì, tanto che un giorno lo notò Federico Fellini mentre il suo assistente alla regia (Guidarino Guidi) faceva il rifornimento. Lo volle come comparsa ne La Dolce Vita, un impiego che gli svoltò l'esistenza e quella della Pitagora - che era la sua fidanzata - solo che lui diventò un artista e lei un'attrice.

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courtesy Paola Pitagora
Paola Pitagora è "Lucia Mondella"

Ce lo racconta nel libro Fiato d'artista: amori eroici e artisti rivoluzionari a Piazza del Popolo negli anni Sessanta, uno scritto prezioso e d'atmosfera pubblicato qualche anno fa dalla casa editrice palermitana Sellerio. “Lo avevo scritto per gli amici - ci dice quando la incontriamo a Roma - era un riaffacciarsi di memoria scattato nel 1992 quando Calvisi fece una mostra sugli anni Sessanta al Palazzo delle Esposizioni al cui ingresso c'era la moto di Pino Pascali (il noto artista pugliese morto in un tragico incidente, ndr) per me e per altri, una vera e propria apparizione”. “In quel momento - continua - ho scoperto la catarsi, quando la memoria scatta da sola e ti invade l'anima. Ho buttato giù qualcosa e alla fine ho scritto il libro. Poi, mia figlia Evita Ciri e il suo compagno Nicola Campiotti hanno avuto l'idea dello spettacolo Fiato d'artista e sono stati loro a farne l'adattamento”. Sarà in scena al Teatro Vascello di Roma fino al 6 dicembre prossimo ed è lo show di punta dell'omonima rassegna, volta a celebrare il cinquantenario di quella che viene oggi comunemente chiamata la Scuola di Piazza del Popolo. Una rassegna che nasce proprio dall'esigenza di "ridare fiato" a un'epoca di enorme cambiamento per riportarla all'attenzione del pubblico contemporaneo in tutta la sua completezza e le sue contraddizioni, ma - precisa l'attrice lanciata da Marco Bellocchio con I pugni in tasca e poi conosciuta dal grande pubblico con la serie tv de I Promessi Sposi - non pretende certo di raccontare tutta la vicenda”. “È uno spicchio da un punto di vista particolare, con la storia d'amore tra me giovane (ad interpretarla è Giulia Vecchio) e Mambor (Francesco Villano), una cosa che mi fa un certo effetto rivedere sul palcoscenico tra video e tanti ricordi”.

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courtesy Paola Pitagora
Renato Mambor, Cesare Tacchi e Sergio Lombardo, 1964

Lo spettacolo e il libro di Paola Pitagora sono “un omaggio a Roma, ma soprattutto alla memoria”, ci dice fissandoci negli occhi. “La furia innovatrice dei giovani è sacrosanta, ma se manca la consapevolezza di quello che c'è stato prima, non si innova nulla, si fa solo confusione”. "Quegli artisti che vivevano a piazza del Popolo non avevano neanche mezza lira per comprarsi un caffè, sapevano benissimo cosa fosse il Futurismo, avevano studiato, avevano amato Burri, avevano delle radici, per questo poi qualcosa è rimasto. Tutti loro, e non a caso, hanno trovato una loro collocazione, non nel mercato che si è svegliato tardi, ma soprattutto nella cultura, con volumi e volumi dedicati e un'infinità di mostre”.

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courtesy Paola Pitagora
Paola Pitagora e Renato Mambor

Lei che è stata una femminista ante litteram, che si affacciò dal palco del Palazzetto dello Sport di Roma il giorno dell'uccisione di Allende alzando il pugno chiuso, vedendosi poi dimezzare dalla vaticanista Rcs, con cui era sotto contratto, il cachet – non ha affatto nostalgia di quel periodo. “C'è stato, punto. Una nostalgia sarebbe improponibile. La mia è piuttosto una reviviscenza allegra. Man mano che procediamo, scopro delle cose nuove di quella gente e solo adesso comincio a capire il loro lavoro, la loro filosofia e la loro energia, cosa c'era sotto. Non c'è tempo per la nostalgia. Un'opera d'arte, se valida, ti racconta sempre qualcosa di nuovo”. “Eravamo puri, un materiale grezzo, eravamo naïf. Loro erano dirompenti, io assorbivo, il conformismo era comunque dietro l'angolo. Respiravo quell'aria: come potevo poi mettermi i vestiti di attrice rampante? Rompevo le palle. Ero una rompiscatole, non c'è alcun dubbio”. Pensi - aggiunge - che una volta mi invitò il direttore di Le Ore in redazione per vedere un servizio fotografico che avevo fatto al mare. Notai che avevano scelto una foto da me scartata. Lo feci notare,ma non vollero sentire ragioni, il servizio sarebbe uscito lo stesso. Allora io presi quella foto e la tagliai. La pagai cara come tutte le scelte fatte nella vita”.

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Paola Pitagora e ritratto di Sergio Lombardo, 1963

In un'epoca lontana dal #MeToo, in tanti ci hanno provato con lei, bellissima e affascinante ancora oggi, ma - ci spiega - “la questione per me non si poneva: o alle mie condizioni, o niente”. “Sono emiliana (è nata a Parma nel 1941, ndr) e spesso mi prefiguravo come una cassiera in un bar. Una bella presenza ce l'avevo, i conti li sapevo fare... Pronta a rinunciare sempre”! Il successo - lei che lo ha avuto al cinema, al teatro e soprattutto in tv (con la serie Incantesimo), è stato difficile da gestire e mantenere. Invecchiare? “Fa parte di ognuno di noi”. “Oggi lo accetto perché c'è un dono: un po' di salute, sicuramente, ma soprattutto il saper vedere chi siamo, la revisione di certi movimenti interiori. Analizzarsi per migliorarsi”. Da farne tesoro, subito.