Non abbiamo bisogno di presentare Robert Redford oggi, basta guardare il palmarès da attore, oppure chiederci qual è il nostro film preferito in cui lo abbiamo visto indossare i panni di cowboy (Butch Cassidy), giovane politico (Il Candidato), trapper (Corvo rosso non avrai il mio scalpo), l’imbroglione (La stangata), l'operatore della CIA (I tre giorni del Condor). E senza menzionare il suo lavoro come regista in Gente comune (Oscar miglior film e regia) e le battaglie ambientalistiche e sociali di cui si è spesso reso protagonista, per poi finire al pinnacolo di una carriera che lo vede creare il Sundance Film Festival, primo festival indipendente che permette e chiunque di creare e fare film. Lo ritroviamo per l'ultima volta - così vuol farci credere - al Festival di Toronto dove presenta il suo ultimo film The Old Man & The Gun, con Sissy Spacek, Danny Glover e Tom Waits, il tutto diretto da David Lowery.

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Che pellicola è?
Interpreto Forrest Tucker, rapinatore di banche di professione, una carriera cominciata ai 15 anni (una bicicletta) e finita all'età di 80 anni, con l'ultima rapina in banca. Prima degli ultimi anni in prigione e la morte di cancro nel 2004. Il film è basato sull’articolo di David Grann, pubblicato nel 2003 su The New Yorker, in cui racconta vita, rapine, e i suoi tre matrimoni.

Old Man & the Gun. Come nasce il titolo?
Semplice, è la storia di un uomo e una pistola. Non la sua, una qualunque perché Forrest Tucker, rapinava le banche con la pistola ma non era mai carica. Non ha mai voluto far male a nessuno, era l’unico mestiere che sapeva fare. Non lo sto giustificando, alla fine è morto in carcere, era un delinquente ma aveva stile e molto senso dell’umorismo.

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Robert Redford in L’uomo che sussurrava ai cavalli, 1998

Sembra impossibile, ma questa é la prima volta che lavora con Sissy Spacek. Come si è trovato?
Sissy mi ricorda molto Jane Fonda, oltre ad essere un’attrice straordinaria è molto spontanea, non ha bisogno di fare molte prove, le piace improvvisare. Mi prendeva in giro, mentre mi ricordava, non senza ironia, che come regista non le ho mai offerto un ruolo! L’ammiro molto, come attrice e come donna, allegra, positiva, sempre pronta a scherzare anche nei momenti noiosi, tutte qualità importanti quando lavori con qualcuno. E in più entrambi abbiamo la passione per i cavalli.

Quanto è importante la politica nei film che dirige?
È sempre importante, soprattutto in questo periodo. Non credo che possiamo andare più in basso di così. Il cinema ci aiuta a sollevare lo spirito e anche a divulgare un messaggio. I miei film non sono film politici, perché credo che il cinema non debba dare opinioni politiche, ma è importante raccontare i fatti veri, visto che le fake news hanno più visibilità delle notizie vere.

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Michelle Pfeiffer e Robert Redford in Qualcosa di personale, 1996

Il prossimo gennaio il festival di Sundance celebra 35 anni. Come vede la sua evoluzione?
Sundance è nato perché quando ho iniziato a dirigere i miei film mi sono reso conto che non tutti avevano la mia fortuna, che non era facile per un regista sconosciuto proiettare il proprio film, specialmente se non aveva mai diretto prima. Il festival è nato per supportare il cinema indipendente, che ai tempi era davvero indipendente, nel senso anche economico del termine. Ecco perché ho creato anche il Sundance Labs, che aiuta a studiare il cinema, a capire la tecnologia e insegna come trovare fondi. Lo spirito del festival è rimasto lo stesso anche se adesso è uno tra i più popolari del mondo, rimane sempre un luogo dove i registi possono ritrovarsi e osservare il lavoro degli altri.

È vero che questo sarà il suo ultimo film come attore?
Credi di si, con questo non voglio dire che smetto di fare cinema, continuerò a produrre e dirigere. Pensavo che il mio ultimo film sarebbe stato Le nostre anime di notte con Jane Fonda, una bellissima storia d’amore ma molto triste, che mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca. Ecco perché ho deciso di interpretare Forrest Tucker, volevo finire la mia carriera con una nota più positiva. In ogni caso come diceva Charles Dickens, never say never.

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