Un tizio crede di riconoscerla, al bancone del bar in zona Wagner a Milano. «Ci siamo già visti», le dice, pensando sia una che fa musica come lui. Ma no che non fa musica. «Ero la fidanzata di dj Fabo» risponde. «Ah, scusa», farfuglia il tizio, e arretra goffamente. Dipende da come lo indossi un dolore terrificante. Può schiacciarti a terra come un cappottone di ghisa. Valeria Imbrogno se lo avvolge come una sciarpa di seta che non le impedisce alcun movimento, nemmeno sul ring, e a luglio ha vinto il titolo mondiale femminile, categoria pesi mosca. Ma sono gli altri che hanno qualche problema con lei. Gli uomini non ne parliamo. «Sì, e non solo per la faccenda di Fabo». La Imbrogno l’ha assistito per due anni e nove mesi dopo un incidente d’auto che l’ha reso tetraplegico e cieco, e poi nel febbraio 2017 lo ha accompagnato in Svizzera per il suicidio assistito con il radicale Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, che attraverso Fabo sta portando avanti la lotta per il diritto all’eutanasia. Tornando a Valeria e gli uomini: «Dico che sono pugile e subito: “ah, allora bisogna andarci piano con te”. Dico che sono psicologa e: “ah, devo stare attento a quello che dico quindi!”». E via con le dissolvenze del maschio, anzi proprio le sparizioni istantanee, che anche noi donne ordinarie abbiamo dovuto sperimentare. C’è solo un luogo dove le cose, per Valeria, tornano a posto: il carcere. Uno illuminato, quello di Bollate dove aveva fatto (per prima) il tirocinio fresca di studi in criminologia, ma pur sempre un carcere. Qui da un anno, con il progetto Pugni chiusi, insegna la boxe ai detenuti insieme all’ex campione Mirko Chiari e al maestro Bruno Meloni.

E poi cosa dovrebbe succedere?
Dopo aver vinto il Mondiale ho pensato che a questi ragazzi bisognava dare un obiettivo. Ci è venuta l’idea di un match con pugili veri. Sarebbe la prima volta in Italia. La federazione ci ha dato l’ok e dall’estate mi sto occupando della burocrazia infinita. Potremmo farcela per maggio o giugno. Il progetto, match compreso, sarà raccontato con un docu che, grazie a un crowdfunding, entrerà nel palinsesto di Infinity.

Ma perché proprio la boxe?
Sono vent’anni che frequento le palestre di pugilato, e ti assicuro che è utile imparare a stare in mezzo solo a uomini. Rispondi a tono a una battuta, poi a un’altra e a un’altra ancora, tutti i giorni, per tutti gli allenamenti. Devi far capire che non ti fai mettere i piedi in testa. Ma poi, guai a chi ti tocca. Ottieni rispetto e sono protettivi. Ne ho provati altri di sport, prima. Anche danza classica. Ma per me il pugilato è la metafora della vita. Affronti quel che c’è da affrontare, coi tuoi mezzi, molta razionalità, a testa alta e i piedi ben piantati per terra. È ciò che mi sono portata per stare accanto a Fabiano.

Come sei cambiata da quando se n’è andato?
Prima mi soffermavo di più nelle zone grigie, accettavo cose che non mi piacevano. Adesso vedo più chiaramente il bianco e il nero. Se qualcosa non mi convince, non ci spreco parole ed energie. È la sua eredità, per cui lo devo ringraziare.

E cosa hai perso per strada, invece?
Un sacco di persone che per me erano importanti. La mia ex migliore amica dopo l’incidente di Fabiano è sparita. È venuta da me mesi dopo dicendomi: «Scusami, scusami, scusami! Io ho il problema delle malattie e degli ospedali». Ma mica doveva andare a trovare Fabo, doveva stare vicino a me. Ci siamo perse completamente di vista e poi lei, l’anno scorso, è venuta sotto casa mia con la sua bambina appena nata, piangendo. Le ho augurato ogni bene ma le ho dovuto spiegare che nel frattempo io, per sopravvivere, per non soffrirci, avevo dovuto ucciderla nella mia testa. Un tempo avrei accettato di rifrequentarla per vedere come andava, ma adesso non posso più. Le scelte sono state fatte.

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Courtesy photo
DJ Fabo e Valeria Imbrogno

La sensazione è che dopo un’esperienza del genere non si abbia più paura di niente. È così?
Scherzi? Ho una paura folle della morte, esattamente come prima e forse è per questo che lei mi si è piazzata davanti. Siamo state sul ring insieme e io credevo che con la tenacia, la perseveranza con cui sono riuscita a ottenere sempre quello che volevo, sarei stata in grado almeno di metterla in difficoltà. Ho studiato medicina per Fabo, ho scritto a luminari negli Stati Uniti e in Israele, l’ho portato in India a provare le staminali. Però mi ha battuto comunque.

Come ci si rialza dal tappeto, dopo?
I ragazzi, intendo i detenuti, mi hanno fatto un gran bene. Per loro non sono la fidanzata di dj Fabo ma solo Valeria. Certo che vado avanti con tutta la questione dei diritti, l’eutanasia, il processo a Marco Cappato (rischia da 5 a 12 anni per istigazione al suicidio, ndr). Voglio vedere dove arriva la Corte, e se venisse cambiata la Costituzione guarirei un po’ dal dolore. Ma la mia vita va avanti, e là dentro è più facile sentirmi me stessa. Trovo persone che hanno provato grandi sofferenze e a cui non fa paura la mia. In quel gioco di ruoli carcerario, per cui per sopravvivere e restare integri ci si deve costruire una corazza e amplificare il linguaggio della virilità, una donna viene guardata come donna. Anche se è pugile, criminologa e tutto il resto. E allora ricomincia a sentircisi anche, scopre che se lo può permettere.

Cioè cosa si permette?
Di avere una gestualità diversa, di dare una carezza. Di sorridere e in un modo più dolce, perché dove non c’è sole, se sei un po’ sole si vede di più, te ne accorgi ed è una sensazione che ti fa stare davvero bene.

Cosa non hanno capito gli uomini che se ne stanno liberi e belli qui fuori?
Che non c’è nessuna che non abbia bisogno di una colonna a cui appoggiarsi, di tanto in tanto. Con Fabo mi succedeva a volte che fosse lui ad appoggiarsi a me, ma poi mi diceva: «Eh sì, ti credi wonder woman». Non capiva che non gli dicevo cosa doveva fare, gli davo solo un consiglio. Poteva seguirlo o no, la sua vita era tutta sua.

A parte il problema della mancanza di spazi e di risorse, cosa cambieresti delle carceri italiane?
Nonostante lo scopo sia il reinserimento nella società, mi sembra che le premesse non vadano in questa direzione. I rei vengono trattati come adolescenti, a cui si dice: se fai il bravo, se ti comporti bene, come premio ti faccio studiare, oppure ti insegno un mestiere. Invece la questione dovrebbe essere: ora ti obbligo a studiare e a imparare un mestiere perché evidentemente non hai saputo cosa fare di te stesso. Chi compie un reato non ha gli strumenti per gestire la fatica, la frustrazione, il problema che deve risolvere. Non puoi tenerlo lì dentro come un ragazzino bravo o cattivo. Gli devi far affrontare il mondo, dopo avergli insegnato a guardarlo con occhi diversi. Il match che faremo con i pugili che vengono da “fuori” serve a questo, a dire ai ragazzi: adesso stai qua, sul ring, affronti l’avversario, lo devi guardare in faccia, non puoi scappare, non puoi rinunciare, non ci sono escamotage. È così che si cresce.

Devo confessare che capisco un po’ Fabo quando ti dava della wonder woman. Ce l’avrai qualche altra piccola paura, una fobia anche insignificante.
Be’, non mi piace entrare nei campi di pannocchie. Forse perché ho visto un horror... Ma è anche che lì perdi l’orientamento, non vedi la via d’uscita. Fabo lo sapeva e mi ci buttava in mezzo. Non mi piaceva neanche il mare di notte, così nero, cupo, e uuuuh Fabo come mi prendeva e mi ci buttava dentro.