Questa storia di Claudio Baglioni direttore artistico del Festival di Sanremo da due edizioni è un po’ destabilizzante. E ora lo abbiamo detto. Non brutto, sia chiaro, tutt’altro. Però ti disorienta, mette in discussione parte delle certezze immagazzinate in una vita intera. Questo vale sia per chi lo segue dagli esordi (leggi: agé), sia per chi si è sempre tenuta informata sulla sua biografia, le sue abitudini, su quello che mai accetterebbe di fare anche se rientra nelle generazioni successive (leggi: figlia/nipote di agé). Ecco, appunto: quello che mai accetterebbe di fare. Quando Baglioni accettò, nel 1997, di partecipare al programma Anima Mia mezza Italia rimase di stucco. Mai visto in quella veste, non di conduttore – a quello ci pensava Fabio Fazio – ma quasi di contorno (velino?) di lusso. Fazio cercava di convincerlo a fare qualsiasi cosa, infatti a momenti il povero Claudio cadde in diretta provando a saltellare su un enorme pallone con maniglia che andava per la maggiore all’inizio degli anni 70 (un premio a chi ricorda il nome, please!). Si ritirò alla chetichella dall’inquadratura perché avere ceduto alle pressioni per montarci sopra già aveva sfumato abbastanza la sua immagine perfetta. Ma che immagine è quella giusta di Claudio Baglioni?

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Di sicuro, è un timido. Ere geologiche prima degli Emo, lui lo fu. Scriveva canzoni ispirandosi a Edgar Alla Poe, si conciava malissimo, portava degli occhialoni da Austin Powers in grado di respingere anche una samaritana di bocca buona. Aveva un nasone smisurato e aquilino (che fine ha fatto? Riassorbito dal lieve ingrassamento dell'età?) e come sanno anche i sassi nei giardinetti di Roma, gli amici lo chiamavano Agonia. Claudio Baglioni ha fatto “il botto” (sempre come si dice a Roma) con Questo piccolo grande amore nel 1972. Non faceva certo parte dei cantautori super impegnati. Quell’anno Francesco Guccini usciva con l’album Radici, Lucio Dalla era a Sanremo con Piazza Grande, Lucio Battisti era in classifica con I giardini di marzo e La canzone del sole, all’estero, John Lennon sfoderava Imagine. Solo per un soffio non c’era da competere pure con Fabrizio De Andrè, assente dal mercato discografico perché stava scrivendo Storia di un impiegato. E in tutto questo, Baglioni parlava di magliette fine. Valore aggiunto: nonostante questo, non essere mai accostato al Tuca Tuca di Raffaella Carrà. Non sarà mai un ultrapop alla Pupo. Perché?

Perché Claudio Baglioni sembrava sempre quello che cerca il momento buono per defilarsi dalla festa. Tanto bastava per farlo sembrare più cool degli altri invitati. Claudio Baglioni non è mai stato il cantante "impegnato", ma è sempre riuscito a farci impegnare. E poi, è cresciuto anche lui. Avrai, del 1982, è una delle più sincere lettere d’amore che si possano scrivere a un figlio mai incise nella storia della musica che, dopo il successo di Strada Facendo, ci fece capire che Baglioni è il re delle piccole cose, non solo dei piccoli grandi amori. Qualcuno dice che a cavare fuori il meglio da lui fosse la moglie storica, Paola Massari, sposata in grande segreto. Paola è stata con lui dal 1973 al 2008. Di sicuro bucò il bozzolo in cui era nascosto quel talento un po’ goth, lui aveva già gettato dalla finestra quegli occhialoni respingenti che poi sostituì con lenti a contatto (eroicamente: avete idea di QUANTO facessero male le prime lenti a contatto rigidissime degli anni 70 e 80?). Musicista anche lei, era l’elemento con il quale la sostanza di Claudio aveva bisogno di entrare in contatto per avviare il giusto processo chimico. Ma nulla è permanente, dicono i buddisti, per cui Claudio ha affrontato tante altre fasi. C’è stata quella in cui si è ripresentato al mondo con i capelli mesciati di bianco e la faccia che sembrava veramente rifatta (e lo era). Per colpa dell’asfalto bagnato era andato a sbattere con la Porsche contro il muro di casa di Anna Fendi e si era tagliuzzato parecchio della faccia, ma soprattutto aveva rischiato di troncarsi di netto la lingua, il che per un cantante non è il massimo. Nel 2003 il presidente Ciampi lo ha nominato pure Commendatore della Repubblica, a Sanremo 2018 ha spinto Pierfrancesco Favino a esibirsi nello struggente monologo La notte poco prima della foresta di Bernard-Maria Koltès (e cosi Claudio Baglioni Sanremo lo ha fatto diventare un mezzo per smuovere le coscienze), e poi si scopre che mette a disposizione dei più deboli la sua villa a Lampedusa, che versa offerte generose per i terremotati. Senza bisogno di scrivere Dio è morto come Guccini, un cantautore impegnato alla fine lo è diventato davvero. Tanto da far girare la testa immaginandolo nel dietro le quinte di una sagra del pop come Sanremo, anche dopo il grande successo del 2018. Ma lo vedremo ancora. Oh sì se ce lo vedremo.