Laura Morante è schiva e riservata. Quando risponde alle domande con la sua voce intensa fa brevi pause alla ricerca della parola che esprima al meglio il concetto che sta inseguendo. Ma si sottrae a quelle più personali che definisce ambigue o “a quiz”. In un’era di oversharing, in cui i più sciorinano allegramente i loro fatti privati, chapeau a questa icona del cinema che ha esordito anche nel mondo letterario con i racconti Brividi immorali, edito da La nave di Teseo. Scopriamo così che, dopo più di 70 film e prestigiosi premi (David di Donatello per La stanza del figlio, Nastro d’Argento per L’amore è eterno finché dura, Globo d’Oro per Ciliegine), buon sangue non mente e come la famosa zia Elsa Morante – con cui il paragone potrebbe essere difficile - non delude le aspettative nemmeno come scrittrice. Un titolo accattivante per 15 racconti e interludi (uno dei quali è proprio Brividi immorali) che si affacciano sul complesso universo di relazioni e affetti, ruotano intorno a famiglie, coppie in alto mare, tradimenti, amicizie. Insomma il caleidoscopio completo della vita, raccontata con intelligenza e profonda sensibilità.

È stata Elisabetta Sgarbi, a capo di La nave di Teseo, a chiederle di scrivere, ma forse è qualcosa che pensava già di fare?
Con Elisabetta Sgarbi ci conosciamo da anni e ogni tanto tornava alla carica. Sono sempre riuscita a evitare, finché non si è presentata a sorpresa con un contratto e mi sono detta “ci provo”. Poi ci sarà anche un perché più profondo. Scrivevo già per il cinema, ma non narrativa. Con la scrittura ho sempre avuto un rapporto intenso, se non altro come lettrice.

Aveva già qualcosa di pronto nel cassetto?
No, a parte il racconto Storia dell’Ungherese, che era più che altro una suggestione nata quando da ragazzina feci un viaggio in Ungheria con i miei genitori. Ma il resto è stato tutto scritto per il libro. Anzi, con Elisabetta c’è stata una contrattazione anche un po’ comica, perché io cercavo sempre una via di fuga e lei me ne chiedeva ancora uno… e poi un altro.

Come mai dei racconti e non un romanzo?
Mi piace molto la forma breve, anche brevissima. Poi mi sembrava più facile conciliare questo impegno con il mio lavoro di attrice e le tournée. Non potendo stare chiusa nel mio studio per mesi e in modo regolare, sapevo che avrei dovuto fare un lavoro frammentato e non continuativo come richiederebbe invece un romanzo.

Quanto c’è di autobiografico, a cosa si è ispirata per scriverli?
Tutto è autobiografico, ma non lo è in senso stretto. Dipende, non c’è un’unica ispirazione. Ogni volta che mi mettevo a scrivere ero di umore diverso e scrivevo un racconto diverso. Si sente che non c’è un’unica ispirazione, ce ne sono di più o meno umoristici ma anche altri più drammatici.

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Scrivere che sfida è stata? Divertente, difficile o…?
Per me i due termini non sono in contrapposizione. Mi piacciono le cose impegnative e forse mi divertono di più. Poi ci sono anche momenti di sconforto in cui trovo scuse banali per non mettermi a scrivere. Però quando comincio sono una stacanovista, capace di lavorare molte ore di seguito. È il momento iniziale quello difficilissimo. L’unico racconto per cui ho avuto ansia è “1966” dove ci sono elementi di autobiografia riconoscibili.

Come, dove e quando scrive?
Scrivo a mano un primo concetto, non l’intero racconto, bensì una parte che poi riporto su iPad e correggo: poi ricomincio a mano un altro pezzo e così via. Ho un piccolo studio e scrivevo quando avevo tempo e mi era richiesto, perché senza un ordine da Elisabetta non mi costringevo a farlo.

Ha sentito il peso dell’eredità di sua zia Elsa Morante? Che ricordo ha di lei?
L’ho avvertito non tanto quando ho iniziato a scrivere, ma prima: una volta cominciato sono riuscita a non avere questo pensiero. I ricordi di lei risalgono alla mia infanzia. Non aveva figli e un po' ci aveva adottati. A Natale arrivava carica di regali che ci teneva a distribuire di persona come in una lotteria. Alcuni li ho ancora ed ho conservato anche un suo presepe. Poi c’è stata una rottura con mio padre e non l’abbiamo praticamente più vista. L’unico che ha mantenuto i rapporti è stato mio fratello Daniele che è anche curatore del suo epistolario.

Che donna era ai suoi occhi?
Il mio giudizio su di lei è quello di una bambina. Ero oggetto della sua predilezione, questo mi piaceva e allo stesso tempo mi faceva un po’ paura, perché era all’opposto di mia madre che vedevo molto femminile e dolce. Elsa invece era piuttosto perentoria, autoritaria, parlava a voce alta e con accento romano. Non riuscivo a stabilire con lei una relazione di tenerezza reciproca, né a vincere la timidezza in sua presenza. Ma era anche molto generosa e a suo modo tenera con me.

Un aneddoto?
Una volta, avrò avuto 11 anni, andai ospite da lei a Roma. Ma all’epoca ero sonnambula: di notte le impedivo di dormire perché mi alzavo, camminavo, parlavo. Dopo qualche giorno, mi rispedì a casa.

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Courtesy La nave di Teseo


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Attrice, regista e ora scrittrice come vive questi ruoli?
Mi diverto a sperimentare, sono tutte cose molto diverse tra loro e mi piace molto scrivere per il cinema. Però la mia prima passione è stata la danza che ho amato moltissimo e che mi ha fatta soffrire. Non mi ritenevo all’altezza di fare la ballerina e, a un certo punto, passare al cinema è stato un sollievo e allo stesso tempo una rinuncia. È con questo spirito che ho iniziato a recitare. Come dicono i francesi è stato “un mariage de raison”, matrimonio d’interesse, poi diventato di amore.

Nelle sue scelte si lascia guidare più dall’istinto o dalla razionalità?
Non sono una persona molto razionale, so diventarlo ma non lo sono di natura. Per esempio, la scrittura viene in modo totalmente irrazionale, seguo quasi un istinto musicale. Quando inizio non so cosa scriverò e nemmeno la materia che andrò a raccontare.

Il suo segreto per farsi amico il tempo che passa?
Non ho segreti.

Uno dei racconti si intitola In famiglia. Lei è cresciuta con 7 fratelli, ha due figlie naturali e un bambino adottato: cos’è la famiglia?
Un punto di ancoraggio molto importante, sia quella di origine che quella ho creato. Anche perché non sono particolarmente socievole ed ho pochi amici. Il principale punto di riferimento è la famiglia e in essa si svolge gran parte della mia vita sociale.

Qualcosa che non le hanno ancora proposto ma che le piacerebbe recitare?
La tragedia greca.

Cosa la fa arrabbiare?
Mi ferisce molto la mancanza di lealtà, è qualcosa che difficilmente perdono.

Lei legge molto e si interessa anche di psicoanalisi: questo quanto l’ha aiutata?
Penso che cercare di migliorarsi sia un piacere di per sé. Ma nel mondo com’è diventato oggi mi pare che sia di scarso aiuto, anzi da certi punti di vista è addirittura controproducente. Comunque resta un piacere personale.

Quando non lavora cosa le piace fare?
Camminare.

Lei ha un rapporto stretto anche con la Francia: dove si sente più a casa?
In Francia ci ho vissuto per dieci anni, ma sono più legata al mio paese di origine e per me conta molto la lingua italiana. Negli anni francesi avevo una tale nostalgia del suo suono che me andavo in mezzo ai boschi per sognare di risentirla suonare…. mi mancava tantissimo.

Nel suo ultimo film Bob & Marys interpreta Marisa, donna sospesa tra l’infantile e l’avventuroso, al fianco di Rocco Papaleo: che esperienza è stata?
Mi sono divertita parecchio ed ho instaurato un bellissimo rapporto sia con Rocco che con il regista Francesco Prisco. Tra l’altro ero alloggiata in una meravigliosa casa sul golfo di Napoli e non mi stancavo mai di ammirare il panorama la mattina quando mi alzavo.

Nell’immediato futuro: interprete, regista o scrittrice?
Sto scrivendo un’altra piccola cosa per Elisabetta; poi probabilmente a breve dovrei ricominciare a scrivere per il cinema. Forse ci sarà anche una pièce teatrale e una commedia in Francia, che però non so ancora esattamente quando si farà. Insomma, un po’ di tutto, vedremo.