Chi erano, cosa facevano, come passavano le loro lunghe giornate e dove vivevano quelle femmes fatales della Belle Époque che Giovanni Boldini (1842-1931), “le peintre italien de Paris”, ebbe l’onore e il merito di rappresentare nelle sue tele? Ma, soprattutto, quanto erano moderne ed eleganti nei loro abiti che si adattavano perfettamente ai loro corpi snelli e sinuosi, quanto erano spregiudicate ed ossessionate dalla vertigine dei sensi, quanto erano vanitose e allo steso tempo salde nelle loro virtù morali? Una o più risposte in tal senso potrete averle visitando Boldini e la moda, una nuova e grande mostra che la sua città natale, Ferrara, gli dedica nello scenografico (sin dal nome) Palazzo dei Diamanti fino al 2 giugno prossimo, una retrospettiva particolare (come lo era lui) che per la prima volta va a raccontare la storia dell'affascinante legame che il pittore ebbe con la nascente industria del fascino e della celebrità.

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Ognuna di quelle donne era per lui una “divina”, non tanto per la bellezza estetica, ma per lo charme aristocratico che incarnava e mostrava al meglio. La loro allure era determinata dal rango, dal titolo e dall'eleganza ma, soprattutto, dalla capacità di essere raffinatamente sensuali, di seguire la moda e in alcuni casi di influenzarne le tendenze. Tutte le signore dell’alta borghesia e dell’aristocrazia volevano essere ritratte da Giovanni Boldini, “l'albero tentatore di tutte le Eve” (la definizione gliela diede un caro amico, forse anche suo amante, il conte Robert de Montesquiou, che pubblicizzò per primo il suo “pariginismo” e la sua modernità), perché era una sorta di chirurgo plastico del pennello: ognuna, potendoselo permettere (per nascita o per matrimonio), voleva un un ritratto da quell’uomo con i baffetti che sapeva provocarle con boutade pungenti, sapeva distrarle e farle ridere diventando quasi sempre un confidente speciale dei loro segreti più intimi, tra amori, tradimenti, gelosie, cattiverie e fragilità. In quei ritratti riuscì a cogliere lo stato d’animo e il turbamento provocato dalle pulsioni sessuali, dalle passioni e dalle attitudini più profonde della psiche delle sue muse, più o meno represse in nome della convenienza sociale.

Giovanni Boldini piaceva così tanto perché era capace di fermare la loro bellezza prima che il tempo facesse il suo corso, senza però mai dimenticarne le suggestioni erotiche, l’intelligenza e i caratteri introspettivi e psicologici. Riuscì a rappresentare al meglio i volti e, soprattutto, il fisico di quelle donne anche quando non erano perfetti, eliminando i difetti ed evidenziandone i pregi. Piaceva perché per primo propose un tipo di ritratto di società che al volgere del secolo divenne un vero e proprio canone, “un modello che anticipò - come ci ha spiegato la direttrice della mostra Boldini e la moda Maria Luisa Pacelli - formule e linguaggi del cinema e della fotografia glamour del Novecento, ponendosi agli albori dei codici stilistici e comunicativi della moda moderna”. Boldini interpretò la moda del tempo fino a giungere a influenzarne le scelte, al pari di un contemporaneo trendsetter. Ne avrete conferma visitando questa mostra, organizzata dalle Gallerie d'Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara e dalla Fondazione Ferrara Arte (cui si deve anche il prezioso catalogo) e curata da Barbara Guidi e Virginia Hill.

Emilia Cardona Boldini in Paris in 1931pinterest
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Particolare davvero (accanto a opere di Degas, Manet, Sargent, Whistler, Seurat e Blanche) il dipinto di Giovanni Boldini dedicato a Madame Charles Max (1896), posizionato, non certo a caso, davanti a un capo in tulle grigio ricamato con corsetto trompe-l'oeil color nudo che John Galliano realizzò per la collezione Haute Couture di Christian Dior nel 2005. E, ancora, quello per Emiliana Concha de Ossa (1888) accanto a un abito da ballo dell'Atelier Félix in raso di seta, gros de Tours e organza; quello di Cecilia de Madrazo Fortuny (1882) con una visite nera che potrete ammirare anche dal vivo grazie al prestito del Musée des Arts Décoratifs di Parigi. Le scarpe fucsia di Hellistern & Sons hanno lo stesso colore dell'abito di Miss Bell nel suo ritratto (1903); i velours de sabre realizzati a inizio del secolo scorso da House of Worth sono identici a quelli dell'abito della principessa Eulalia di Spagna (1898) come quello in tulle nero, cannette, perline e giaietti della Fondazione Tirelli Trappetti che ritroverete nell'abito di Consuelo Vanderbit, duchessa Marlbourg, ritratta in un olio su tela del 1906 con il figlio Lord Ivor Spencer-Chruchill. Molto Armani l'abito da amazzone con cappello e frustino proveniente dal Victoria and Albert Museum di Londra ispirato a quello indossato da Alice Regnault ne L'Amazzone (1879-80); di grande effetto l'acquerello su carta La Divina in blu (1905) con un abito che richiama il vicino, in seta, realizzato da Lanvin; imperdibili quelli della marchesa Luisa Casati (1911), di Lina Bilitis con due pechinesi (1913) e di Lady Colin Campbell (il suo vero nome era Gertrude Elizabeth Blood), adagiata sul letto mentre si tocca i capelli, una posa che Boldini fece assumere anche dal fascinoso (soffermatevi a guardarne lo sguardo magnetico) James Abbot McNeill Whistier (1897), uno dei pochi uomini da lui ritratti assieme a Verdi e Degas, suoi cari amici, soprattutto il secondo, con cui fece un lungo viaggio in Spagna.

Tra i nostri preferiti, i ritratti di Giovanni Boldini al conte di Montesquiou-Fézensac (1897) e a Henry Gauthier-Villars (1905), essenziali ma moderni ed entrambi in olio su tela, una delle tecniche preferite dal pittore che amava anche l'acquerello come disegnare a penna, a carboncino o a punta secca mischiando - da abile prestigiatore quale era - colori e luci per celebrare fino all'estremo, tra piogge di critiche, l’eleganza e la libertà dei costumi senza timore. La sua regola? Infischiarsene sempre ma con stile, un'attitude che lo rese ancora più forte e più amato a dispetto degli immancabili invidiosi, una regola da imparare e da mettere in pratica ancora oggi.

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