Pomeriggio anni 90, interno giorno. In tv inizia Beverly Hills 90210, la sigla in cui Jason Priestley stringe il pugno sul clap e sembra indicare l’amico che lo abbraccia di trequarti. Quell’amico è Luke Perry nei panni di Dylan McKay, il primo vero bad boy di impatto mondiale dai tempi di James Dean. E quel bad boy Luke Perry è morto a 52 anni dopo essere stato colpito da ictus una settimana fa. Gli bastava un sopracciglio che si alza, intuito, dietro i wayfarer nerissimi per richiamare l'attenzione di adolescenti perse dietro le sue (dis)avventure. Dylan McKay era l'emblema dell’adolescente problematico. Parlavano da sole le rughette sulla fronte di un ragazzo di poche parole & molti disastri, quello con cui mamma e papà avrebbero sempre sperato tu non ti incaponissi. Dylan McKay Beverly Hills 90210 = incubo dei genitori medioborghesi (vale a dire i signori Walsh, a pensarci bene: e infatti la figlia Brenda su Dylan ci è cascata a ripetizione per quattro stagioni). Era ed è il tipico ragazzo del liceo che tutti sembrano rifuggire, quando non addirittura temere, per quel suo irresistibile finto distacco dalla realtà che nasconde(va) timidezza, tumulti, assoluta sfacciataggine. Non si spiega altrimenti come a 16 anni Dylan McKay guidasse una Porsche, altro omaggio neanche troppo velato a uno dei miti del cinema di Hollywood.

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Lontano dallo sfavillante microcosmo californiano, noi ci arrangiavamo come potevamo. Non saremmo mai state consapevolmente luminose come le cheerleader del West Beverly High, quindi trovavamo nuovi modi di aggregazione. “Quale è il tuo personaggio preferito di Beverly Hills” era una domanda posta sotto varie forme per creare un rito quando si accoglieva una nuova amica in un gruppo. Era l’esempio perfetto della difficile accettazione del diverso: se avevi dai 12 anni in su, non potevi NON guardare Beverly Hills 90210. Era implicito che dovessi rispettare il canone vigente delle serie tv. E se non lo guardavi per motivi personali, comunque cercavi di recuperarlo divorando febbrile le pagine di Cioè e Sorrisi&Canzoni con foto, stickers, aggiornamenti sulla trama. E i poster di Luke Perry da appendere senza la minima discrezione sulle pareti di casa. Dylan vinceva le preferenze con percentuali plebiscitarie, seguito subito dopo dall'ex aequo degli occhioni verdi di Brandon Walsh/Jason Priestley e dalla tenera goffaggine di David Silver/Brian Austin Green. Ma la manica della maglietta bianca stretta e arrotolata sul bicipite, i jeans pitturati sulle gambe (e che avremmo voluto rubargli dall’armadio), il ciuffo eternamente impassibile alle inconsapevoli sfilate di fronte ai vari personaggi rendevano Dylan McKay l’unico vero grande primo amore per cui perdere definitivamente la testa. Brenda, ti capivamo. E capivamo anche te, Kelly, però un po’ meno, perché il copione prevedeva che la bella della scuola debba essere bionda/snob/antipatica, e figurati se potevamo reggere la subdola volontà di rubare-Dylan-a-Brenda. Ma eravamo tutte catturate da quel fragile, bellissimo teenager che mixava James Dean e Marlon Brando nei jeans + t-shirt bianca + chiodo di pelle sotto il sole californiano. Luke Perry lasciò la serie per insofferenza nel 1995, dopo 6 stagioni di peripezie e amori frantumati, per poi tornarci le ultime due. Qualche film, altre serie tv, altri progetti. Alla notizia dello spin off di Beverly Hills 90210, tutte avremmo voluto riannodare il filo della nostra adolescenza e vedere Luke Perry età 53 anni da compiere, Luke Perry in un Dylan McKay cresciuto, forse un po' meno problematico, consumato dalle avventure ma sublime nel suo fascino e broncio immutati. Ma l’attore ha detto di no: “Creativamente, è un ruolo che ho già fatto e non so se mi faccia bene riprenderlo di nuovo”. Secco, netto, deciso. Destino beffardo ha voluto che il giorno in cui il reboot con tutti i personaggi (tranne Dylan e Brenda/Shannen Doherty) è stato annunciato al mondo, la notizia del ricovero di Luke Perry per ictus ha spaventato generazioni di fan in tutto il mondo. E, una settimana dopo, l'arrivederci.

Perché Luke Perry Dylan McKay lo ha reso immortale, il primissimo adolescente da teen drama fatto e finito. Piegato nelle sue rughette di espressione, interpretato con quell’aria maliziosamente ribaltabile che gli regalava profondità, Dylan McKay ha segnato irrimediabilmente gli anni 90 e tutti le copie di bad boy che sono venute dopo (due a memoria: Pacey in Dawson’s Creek, Ryan in The O.C.). Il primigenio teenager problematico con spiccata inclinazione a finire nei guai suo malgrado era, però, obiettivamente imbattibile. Era il sorriso di Luke Perry, erano le mani di Luke Perry, erano gli sguardi obliqui (forse dettati da una leggera miopia) di Luke Perry. Che aveva comunque 24 anni quando si calò nella parte, altro che liceale tormentato, e forse per questo riusciva a dargli quella sfumatura di matura disperazione che spezzava il respiro. Dylan è stato il primo amore di tutte noi, il sogno preadolescenziale di relazione vagamente tormentata che sembrava essere l’unica via percorribile dei flirt (quanti errori abbiamo commesso per colpa del triangolo Dylan McKay-Brenda Walsh-Kelly Taylor, solo i nostri diari segreti lo sanno). E a quanto pare lo stesso attore era consapevole dell’impatto sull’immaginario collettivo. In un’intervista, Luke Perry confessò la verità: “Sarò legato a lui finché non morirò, ma va bene così. Ho creato io Dylan McKay. È mio”. Ma anche un po’ nostro, nel profondo del cuore, dove le rughette irresistibili di Dylan McKay resteranno il simbolo di un passato agrodolce.