Il funambolo del sifone. Lo scienziato che cucina. Il rivoluzionario del gusto. Il Salvador Dalì dei fornelli. Ferran Adrià, 46 anni, nato a L’Hospitalet de Llobregat, (hinterland di Barcellona) è considerato il genio - ha vinto premi su premi, gastronomici e non - che ha stravolto le convenzioni dell’alta ristorazione. Cominciando dalle consistenze: gelato di polenta, torroni di minestrone, ravioli di melanzana caramellati con le Fisherman’s Friend sciolte, ostriche sotto forma di meringa... Da più di vent’anni torme di aficionados vanno a El Bulli (www.elbulli.com), il ristorante a Roses, nella cala Manjoi, come al vero santuario della degustazione sperimentale (è prenotato già per tutto il prossimo anno). Teorico della “cucina nueva”, usa ogni ritrovato della scienza per trasformare, mixare, creare accostando sapori e saperi diversi. Questa volta si è lasciato cucinare lui, a fuoco vivace.

1. Il primo sapore che ricorda? Le patate fritte di mia madre: ho una memoria molto selettiva.

2. Il primo pensiero del mattino? Esisto. Ancora per oggi, io esisto.

3. La sua prima colazione? Un caffè. Un bicchiere d’acqua. Uno yogurt. Sono un tipico esempio del celebre “metabolismo del cuoco”: di sera troppo, di giorno niente.

4. Ma quando lei era bambino diceva “voglio fare il cuoco”? Ma va’... Non ho mai avuto una vocazione, una missione. Io volevo diventare calciatore. Poi, nel 1980, ho deciso di passare le mie vacanze a Ibiza: siccome mio padre non mi dava un soldo, ho trovato lavoro come lavapiatti. Di mattina dormivo, la sera lavoravo, di notte andavo in discoteca a rimorchiare ragazze. Da lì è cominciato tutto.

5. Non è che si è pentito di non avere continuato a giocare? La verità? Pensavo di essere bravo, di andare in serie A. Poi il mio allenatore mi ha detto «Sei bravino, ma non andrai mai ai Mondiali». E lì ho imparato una cosa fondamentale...

6. Cosa ha imparato? Per fare strada non puoi fare affidamento sul giudizio che hai di te stesso. Si deve avere l’umiltà di chiedere a chi ne sa più: «Sono bravo o no?», e solo dopo pensare a quello che potrai diventare.

7. La cena perfetta per sedurre? Se sapessi qual è, non glielo direi.

8. E quella perfetta per lasciarsi? Spero di non prepararla mai.

9. Sesso & cibo: sempre di pari passo? Sì, se la cucina è accanto alla camera da letto. Seriamente? Non credo. Inutile dire che se puoi mangiare quando vuoi, fare sesso proprio no.

10. In discoteca a Ibiza ci va ancora? Mah, diciamo una volta all’anno.

11. Per quale squadra tifa? Barcellona, che domande! (Ma anch’ io, che vado a chiedere a un catalano?)

12. Qual è il film dove si mangia meglio? Facile: Il pranzo di Babette.

13. Libri sul comodino? Io non leggo libri, io li scrivo. (Ah, però...) Ehi, sto scherzando! Soprattutto libri di cucina, di ogni paese e di ogni epoca.

14. Quando ha capito per la prima volta di aver fatto gol nel suo lavoro? Mai. Detesto ogni forma di assolutismo. Il bello di vivere è camminare, fare tante cose, imparare. Poi fermarsi, guardare indietro e osservare il percorso fatto. Questo è emozionante, mica dirsi e dire a tutti: «Guardate, sono arrivato!».

15. Che sapore ha il successo? Dolce. No, scusi: agrodolce.

16. E l’insuccesso? Aspro.

17. Ha un oggetto portafortuna? Un coltello che continuo a usare da quando ho iniziato a cucinare.

18. Chi potrebbe essere il suo testimonial, se potesse scegliere? Forse il disegno del cane-simbolo di El Bulli, il mio ristorante.

19. Lei è considerato il migliore chef del mondo, non ha mai ansie da prestazione? (Decido di passare alla prossima, visto che è così pacioso: non ce le ha, le ansie. Si vede).

20. Crede in Dio? Lo rispetto.

21. Se Dio fosse uno chef, cucinerebbe da dio? Non necessariamente. Cucinerebbe in tanti modi diversi, ma darebbe da mangiare a tutti.

22. Pensa ancora che «per essere anarchici si deve essere pignoli»? Sì. La follia richiede metodo.

23. Lei cosa preparebbe se a El Bulli venissero a mangiare il Papa, Zapatero oppure Obama? Esattamente quello che do a tutti gli altri. Ci metto talmente tanto a elaborare le mie creazioni... (El Bulli resta aperto solo da aprile a settembre, per il resto dell’anno Adrià architetta nuovi piatti nel laboratorio del Taller, o viaggia mangiando per il mondo, ndr).

24. Ma esiste o no un cibo davvero afrodisiaco? Qualsiasi, se sei con la persona giusta. Nessuno, se sei in cattiva compagnia.

25. Nel 2006 ha ricevuto - primo e unico chef della storia - il Raymond Loewy Foundation’s Lucky Strike Award: praticamente l’Oscar del design. Prima e dopo di lei, Karl Lagerfeld, Donna Karan, Philippe Starck. Ma la cucina è design? Ero così emozionato... Con Starck abbiamo anche lavorato insieme. Penso che la gastronomia sperimentale sia una forma di creatività, di tensione verso la novità. Qualcosa che migliori la vita e offra nuove soluzioni. Come il design. Ma io, a differenza dei designer, sono creatore e anche produttore. Non mi limito al progetto (sorride).

26. Lei è stato invitato come ospite alla rassegna d’arte d’avanguardia Documenta di Kassel. La sua è arte? La cucina è cucina. Non può essere arte perché non può seguire le norme museali, per così dire. La mia presenza a Kassel era un tentativo di far riflettere la gente sul modo in cui tratta il cibo. Bisognerebbe farne esperienza con il cervello, la lingua e il cuore: colori, sapori, consistenze, perfino suoni.

27. Non pensa che usare la parola “esperienza” per un pasto sia eccessivo? (Questa domanda adesso me la rimangio...).

28. I critici gastronomici, le stelle, gli aristochef: l’alta cucina come lo star system? Non lo so. Per quello che mi riguarda, avere le tre stelle Michelin è stato un onore. Però è vero che nei ristoranti alla moda non si va per provare nuovi piatti ma per vedere e farsi vedere da tutti. Sono felice di dire che da me, se arrivano i Vip, non li riconosce nessuno oppure sono loro a non farsi riconoscere.

29. A proposito: è vero che lei, che ha il ristorante già prenotato per tutto il 2009, non fa saltare la fila a nessuno, neanche a Juan Carlos? Per chi farebbe un’eccezione? Lungi da me sembrarle presuntuoso, ma non sono io a prendere le prenotazioni... Gliel’ho già detto: per me tutti i clienti sono uguali.

30. Che ne pensa della cucina a chilometro zero, quella in cui si mangiano solo prodotti del territorio? Bah. Lei vive a Milano, giusto? E Milano è lontana dal mare, giusto? Se lei ha voglia di pesce arrosto che fa: prende il treno per una cena?

31. Visto che lei è il re della cucina molecolare, come giudica i suoi non sempre eccelsi imitatori? Io non ho inventato la cucina molecolare, semplicemente perché la cucina molecolare non c’è. Non esiste. È un bluff. Un’invenzione. Una bugia. Una stupidaggine. Quando mi domandano perché cuocio con l’azoto anziché sul fuoco, io dico «l’azoto esiste da sempre: perché non usarlo per mangiare»? Tutto qui. Diciamo che voi giornalisti siete ricchi di fantasia. (Insomma, è sempre colpa della stampa...).

32. Allora come vorrebbe essere chiamato? Pensateci voi....

33. L’ingrediente più sopravvalutato? Tutti. Dipende dalla domanda e dall’offerta. Secoli fa il sale era così caro che veniva usato come moneta: era l’ingrediente più ricercato. È andata avanti così: c’è stato il turno del caviale, del tartufo, eccetera... (E la rucola degli anni 80? E lo zenzero di oggi? Vado oltre).

34. La sua filosofia di vita in tre parole. Felicità. Onestà. Tranquillità. Posso dirne un’altra? Equilibrio.

35. Lei è un brand: firma panini (Fast Good), caffé solidi (Lavazza), bibite manuali... Nessun conflitto d’interessi? No. Lavorare con le industrie è tra le cose più belle che ho avuto l’opportunità di fare. Anche se ora mollerò tutte le collaborazioni - tranne con Lavazza - per dedicarmi esclusivamente a cucinare.

36. Pentito? Nella vita ci sono delle tappe: per me è ora di fare ricerca.

37. In tempi di crisi, si può mangiare bene senza spendere cifre folli? Certo. La vera crisi che stiamo attraversando non è una faccenda di banche, soldi, finanza. La verità è che siamo troppi, troppa gente da sfamare. Ed è la sfida che dovremo risolvere.

38. Però mangiare da lei costa quasi 200 euro a testa... Un hotel a cinque stelle costa molto più di una cena da me. Siamo in 70 persone a seguire 40, al massimo 50 clienti. Capisce quanto costa a me?

39. Ma il suo caffé è più buono perché è solido? No, è diverso. O ti piace o no. E poi liquido già c’era, quindi...

40. Com’erano fatti i ravioli Lewinsky? Di pasta di polpa di calamaro ripiena di gelatina di cocco e menta... Ehm, il nome era scherzoso, una trovata del mio socio.

41. Quando cucina di che umore è? Concentrato. Concentratissimo.

42. Come si veste a El Bulli? Abbiamo tutti una divisa nera, semplice.

43. E fuori? Semplice. Magari non nero.

44. Le interessa la politica? No, assolutamente. Soprattutto quella attuale.

45. Può spiegarsi meglio? Credo che quando un politico guadagni meno, che so, di un grande banchiere o di un importante industriale, questo non funziona. Quelli che dicono che la politica è un’attitudine, una chiamata quasi religiosa, mentono. Il paese è un’impresa che deve essere gestita, controllata. Governata, appunto.

46. Cosa fa nel tempo libero? Dormo.

47. Com’è la cucina di casa sua? Minuscola. Praticamente non c’è.

48. Che cosa sgranocchia, quando torna dal lavoro? Molta frutta.

49. È vero che non ci sono fornelli nel suo ristorante? Dipende dalle stagioni. Ora uso molto i forni a induzione, i più normali del mondo.

50. È peggio un anno da McDonald’s o un anno senza sesso? Non vorrei trovarmi in una situazione simile.

51. Si sente un intellettuale? Io? Sono un cocinero. Però mi ha fatto piacere quando Vicente Todolì, il direttore della Tate Modern, ha scritto un libro su di me insieme col pittore Richard Hamilton.

52. Perché ci sono poche donne chef? Perché le donne restano a cucinare in casa, per i figli.

53. Ce ne sono nel suo staff? Sono molto fiero di avere avuto nel mio staff l’italiana Loretta Fanella.

54. Quanto costa un litro di latte? Dipende: intero, scremato, parzialmente scremato? Diciamo che la media, in Spagna, è di un euro e mezzo al litro (touché!).

55. La critica più bella che ha avuto? Di aver fatto di nuovo interessare le persone all’alta gastronomia.

56. E la più brutta? Quando gli attacchi ai miei piatti si sono trasformati in attacchi personali.

57. La sua ricetta d’amore? L’amore è in tutto. La cucina è un atto d’amore.

58. Cosa le piace dell’Italia? L’Italia è fantastica, ma prima di tutto ci vengo per i miei amici.

59. Cosa possiamo imparare dagli spagnoli? Ogni paese ha una sua storia. Non mi piacciono i confini. Preferisco pensare che ci siano luoghi simili e altri differenti. E italiani e spagnoli sono molto simili.

60. Lei viaggia molto per lavoro, quando el Bulli chiude. Da dove arriveranno i nuovi sapori? Dall’America Latina e dalla Cina: la prima per la passione, l’altra per la cura dei dettagli e dell’aspetto.

61. Ha mai detto a una sua fidanzata «Ti mangerei»? Col lavoro che faccio? Evito. Ha presente il film Il cuoco, il ladro, la moglie e l’amante?

62. Penélope Cruz o Letizia Ortiz? Tutte e due.

63. Javier Bardem o Antonio Banderas? Ammiro chiunque diffonda la cultura spagnola nel mondo.

64. Non sarà un po’ troppo diplomatico? Ma io non sono diplomatico!

65. A un giornalista che le ha detto «È l’Armani della nuova cucina!» lei ha risposto: «Sì, ma lui è miliardario e io no». Ma l’ho detto col massimo rispetto. Lui è al top del suo lavoro, io spero di esserlo nel mio.

66. C’è una cosa da mangiare che detesta? I peperoni.

67. E uno che avrebbe voluto inventare? La pasta sfoglia. Meravigliosa.

68. Quando torna a L’Hospitalet de Llobregat, alla periferia di Barcellona, dove è nato, come l’accolgono? Come lo stesso Ferran di 30 anni fa. Non come uno che ha avuto successo ma come una brava persona, normale.

69. Adesso sta preparando la valigia per dove? Per l’Amazzonia.

70. Perché lì? Per provare le loro ricette.

71. In famiglia chi sapeva cucinare meglio? Mia madre.

72. La colonna sonora ideale per degustare un suo piatto? Il silenzio.

73. La parola più bella nel suo lavoro? Equilibrio. (Equilibrio?!)

74. E quella più brutta? Invidia.

75. Ha un motto? Mangiare bene nutre lo spirito.

76. Se esce con gli amici, li porta in trattoria? Certo! La cucina d’avanguardia è come il jazz: per amarlo davvero non puoi ascoltarlo sempre, tenerlo come sottofondo. Richiede amore e attenzione. Tutti i giorni si mangia il cibo di tutti i giorni. Che tra l’altro è ottimo.

77. Lei fuma? Giusto un cigarillo al giorno. Ma non si deve fumare!

78. La sua casa va a fuoco e può portare via solo una cosa: cosa salva? La carta di credito.

79. Che musica c’è sul suo iPod? Rolling Stones, Caetano Veloso, molta musica classica... Di tutto: esattamente come nelle mie ricette.

80. Chi butterebbe giù dalla torre: Jamie Oliver o Gianfranco Vissani? Nessuno dei due, scherza?

81. Dove si va quando si muore? Non lo so. Temo da nessuna parte.

82. Di cosa sa il suo dopobarba? Non lo uso. Non amo i profumi su di me. Uso solo un deodorante neutro.

83. C’è una persona che le ha ispirato un piatto? Oh, moltissime.

84. Qualche nome? Non glieli saprei fare. Basta uno sguardo, un accostamento di colori, un tessuto strano, un sorriso.

85. Hobby oltre la cucina? Vivere.

86. Ultimo shopping? Mah, forse volevo comprare un portatile per vedere un dvd, ma solo perché sono in viaggio.

87. Che succede se arrivano dei clienti antipatici? È meglio che siano simpatici. (Scherza. Ma forse no).

88. Sia sincero: meglio la sua tortilla decostruita o quella che le cucinava sua madre? Facciamo fiftyfifty: per un mese mangerei la mia e il mese dopo la sua.

89. Quante volte si dovrebbe mangiare al giorno? Quando si ha fame. Possibilmente a orari regolari.

90. Una donna che non sa cucinare è una donna...? Che non mangia perché non le interessa.

91. E un uomo? Lo stesso.

92. Un tempo la sinistra andava in piazza, ora va al ristorante. È d’accordo? Cambiano i tempi e anche i luoghi. Ma non c’è nulla di male...

93. Mangiare bene cambia l’umore? A tavola i sentimenti sono protagonisti. Pensi alla cucina cinese: è più bella che buona e la amo per questo.

94. Mai fatto indigestione? Una volta. Ma mi sono ubriacato spesso...

95. Il senso che preferisce? Tutti.

96. Di quale potrebbe fare a meno? Nemmeno uno.

97. Un consiglio ai giovani chef? La creatività è un gioco molto serio.

98. E a chi non ama la cucina sperimentale? Continui a mangiare come vuole.

99. Ha una ricetta segreta per tirarsi su? Lavoro, lavoro, lavoro.

100. Una cosa bella che non rifarebbe più? Non mi pento di niente. Forse di un’intervista come questa?