È DOMENICA POMERIGGIO, E NELLO SPAZIO FENDI - DOVE È APPENA FINITA la sfilata della primavera 2010 - c’è una coppia di signore che sarebbero perfette protagoniste di una fiction che in televisione non vedremo mai: due donne che hanno molto a che fare con la creatività, una già con figli e nipoti, entrambi sempre in viaggio per tutto il mondo, e che quando si incontrano danno vita a progetti che rimescolano le carte di un universo fino a oggi molto maschile, quello del design. Ambra Medda è minuta, sembra una ragazzina con la sua maglietta bianca, i jeans, le ballerine: parla velocemente, gli occhi grandi e scuri sono mobili, i modi spigliati con quel residuo d’adolescenza che si porta addosso. Una come lei - splendida e glamour, figlia di una gallerista cosmopolita, cresciuta tra Grecia, Italia, Inghilterra e Miami - avrebbe potuto fare la modella o l’attrice. E invece, a 28 anni, è dotata dell’autorevolezza necessaria per riunire nello stesso salotto Marc Newson, Brad Pitt e Zaha Hadid. Silvia Venturini Fendi, invece, emana la sicurezza di colei che non ha bisogno di piacere: normale, per chi discende da una delle più blasonate dinastie della moda italiana. Sorride, e anche se ha appena finito la sua sfilata e potrebbe essere stanca, non lo dà a vedere. Indossa un abito nero e décolletés piuttosto austere, nella mia fiction immaginaria potrebbe essere la madre-imprenditrice. Invece è quella che nel '97 ha inventato la Fendi Baguette, la più frivola, iconica e irresistibile borsetta dei Novanta, ai (bei) tempi in cui neppure la più intellettuale si sentiva in colpa a pagare cifre sconsiderate per un minuscolo accessorio con doppia F sulla fibbia.

Carrie Bradshaw allora non usciva neppure a comprare il giornale senza una Baguette sotto il braccio (e 350mila sue emule seguirono negli anni l’esempio). Spirito sottilmente ribelle e sobriamente creativo, Silvia oggi non solo inventa borse più ampie e pratiche e produce film di qualità – suo Io sono l’amore di Luca Guadagnino, in uscita il 2 dicembre - ma ha scelto di dare un contributo a una forma di creatività diversa dalla sua, quella del design di ricerca, che da semprepercorre strade più tortuose e difficili da quello industriale. L’incontro con Ambra nasce sull’onda di una curiosità squisitamente femminile: «La mia è sempre stata una storia di donne, per cui quando ho incontrato Ambra mi ha subito colpito questa giovane italiana, così intraprendente e determinata. Avevo visto giusto». «La determinazione per le donne della mia generazione», dice Silvia, «ha sempre dovuto essere doppia: dimostrare il valore delle proprie idee per noi è faticoso due volte. Soprattutto in un paese dove le donne sono lasciate sole di fronte alla scelta di fare figli o lavorare». Per Ambra invece, quasi vent’anni dopo, la fatica è quella di essere giovane, di non essere presa sul serio. «Ma il segreto è ascoltare il proprio intuito: se hai un’idea non devi aspettare che ti arrivino conferme dall’esterno, devi andare avanti comunque».

È l’istinto (e la caparbietà nel seguirlo) a legare le due protagoniste di questa storia italiana che, all’ultimo Salone del Mobile di Milano, ha spostato l’asse non solo del modo di fare, ma di guardare il design. Craft Punk, una performance in cui al pubblico viene presentata la produzione di manufatti in tempo reale, dove i creativi sono anche artigiani e realizzano pezzi unici utilizzando materiali di riuso. «È una provocazione», dice Ambra, «per mostrare cos’è il processo creativo: una finestra aperta nella testa e nello studio del designer. Ma è nata anche dalla convinzione che sia ora di riabilitare il termine “craft”, artigianato, che in inglese ormai ha un significato quasi dispregiativo, associato a cose un po’ povere. E invece è il contrario: ogni designer è prima di tutto un artigiano, sia nel design che nella moda». Per Silvia la trasformazione delle idee attraverso il fare è un problema con cui confrontarsi ogni giorno: «Il design è più vicino al mio mondo di quanto non si immagini, c’è la stessa esigenza di combinare creatività e funzionalità, durata e innovazione. E c’è la questione della manualità: avere un buon modellista oggi diventa sempre più difficile, eppure senza il suo contributo le idee non hanno alcun valore. Per questo sono arrivata ad affermare che oggi per la nostra economia è più prezioso un buon artigiano che un nuovo software».

«Attenzione», sottolinea Ambra, «ritorno alla manualità non significa buttare via il presente: al contrario, il processo artigianale dev’essere proiettato nel futuro, mettere in moto elementi di novità ed essere accompagnato da un pensiero concettualmente nuovo». Per questo il protagonista del prossimo Design Miami, curato dalla Medda, sarà Moritz Waldemeyer, un craftman totalmente fuori dagli schemi, una figura di creativo trasversale che ha lavorato con Ron Arad e Hussein Chalayan e che «ha la capacità di far apparire poetica la tecnologia». In Florida, la performance di Moritz e gli OkGo promette un live con chitarre Gibson e luci laser, in un crossover tra arte, musica e design. «La tecnologia», continua Ambra, «è la materia degli artigiani del presente, esattamente come un tempo lo furono il vetro, la pelle, il legno. Cambiano i mezzi, ma l’impulso verso il nuovo fa parte della natura dell’uomo. Da sempre».