Un tempo, lo scozzese sexy si presentava alle conferenze stampa in jeans sbrindellati, giubbotto di pelle assai liso, stivali infangati, capelli spettinati, sigaretta inchiodata alle labbra e casco da motociclista, appoggiato a fianco dei microfoni, pronto alla fuga... Oggi è un altro uomo: un buon padre di famiglia – papà di quattro bambine, di cui due adottate –che ha cambiato modi e comportamento. Nel recente Il pescatore di sogni con Emily Blunt ha interpretato uno specialista di pescicoltura un po’ complessato.

Quand'era ragazzino la pesca era un suo hobby? Come tutti gli scozzesi degni di tale nome, in passato ho pescato qualche trota nei nostri fiumi, ma si è trattato comunque di un passatempo molto occasionale. Quindi per le esigenze del film ho dovuto prendere qualche lezione di pesca, specialmente di pesca con la mosca. E ho scoperto che il gesto di lanciare l’amo è molto particolare, quasi un’arte. Ho approfittato delle vacanze a Besançon con la mia famiglia per chiedere a uno del posto, un vero professionista, d’insegnarmi il metodo giusto! Il problema era comunicare: lui non spiccicava una parola d’inglese e il mio francese è molto, molto rudimentale...

Eppure sua moglie Eve, scenografa di cinema, è francese. Non parlate tra voi la lingua di Voltaire? Con lei comunico in “franglese”! Però sto facendo progressi. Ricordo che al mio matrimonio, nel sud della Francia, il sindaco che ci ha sposato parlava solo francese: a dire il vero, mi sentivo piuttosto disorientato. Il mio più grande terrore era bucare il momento del “sì”. Alla fine, ce l’ho fatta. Salvo che gli invitati erano piegati in due dal ridere, per via del mio accento. Poi mi sono riscattato, tagliando alla perfezione una monumentale wedding cake.

Anni fa, ha interpretato il giovane Obi Wan Kenobi in un episodio di Guerre Stellari. Si racconta che da piccolo abbia dovuto litigare con i suoi, per riuscire ad andare a vedere il primo episodio... Ho visto Guerre Stellari al cinema a sei anni ed è vero, i miei genitori non ne erano affatto entusiasti. Tutti e due insegnanti, li disturbava non poco fare una coda infinita per assistere a un film in cui non trovavano nulla di pedagogico. Ma mio fratello maggiore Colin e io abbiamo tenuto duro, e a loro non è rimasto altro che assecondarci. E poi, mio zio, l’attore Denis Lawson, recitava in tre episodi della saga, e questo ci ha molto aiutato.

Davvero? E che ruolo interpretava? Wedge Antilles, un pilota dell’Alleanza Ribelle. È lui che mi ha fatto venire la voglia di diventare attore. Una sera è arrivato a casa nostra, piedi nudi, capelli lunghi, barba sfatta, e il suo fascino alieno mi ha intrigato. Ho iniziato a tempestarlo di domande per capire in che cosa consistesse il suo lavoro. Avevo nove anni...

Anche le sue figlie sono appassionate della saga di George Lucas? Per nulla, quando parlo loro di droidi R2-D2 mi sembrano piuttosto confuse. Contrariamente alle loro amiche, le mie figlie se ne infischiano di Guerre Stellari. Io invece da piccolo, non solo collezionavo oggetti legati a Chewbacca - il fedele copilota peloso di Han Solo! -, ma il mio personaggio preferito era la principessa Leila. Conoscevo a memoria tutte le sue battute, mi faceva letteralmente sbarellare, e anche se era un po’ ridicola con le treccione arrotolate sulle orecchie, io la trovavo una bomba!

E la passione per la moto? Anche quello è un virus che l’ha colpita da piccolo? Alcuni marmocchi sognano di domare dei purosangue, io dovevo avere sei anni quando ho iniziato ad avere voglia di salire a cavallo di un serbatoio! L’esordio è stato nel corso di una kermesse un po’ speciale: mio padre era un membro di un’associazione di beneficenza, The Round Table of Scotland, e un ragazzino colpito da una grave malattia gli aveva confidato il suo sogno: guidare una moto. Papà andò da un concessionario locale e riuscì a convincere il padrone a prestargli un cinquantino. Ricordo benissimo come quel ragazzino se la godeva, in un campo in cui le chicane erano state improvvisate con balle di fieno. Guardavo quel bambino e, lo confesso, riuscivo solo a invidiarlo. Perché non io, pensavo? Ho osservato quel ragazzino strepitare di gioia per un’eternità. Poi è arrivata sua madre a prenderlo. Mio padre, che voleva evitarmi una grossa frustrazione, mi ha fatto segno di farmi avanti. Era il mio turno! Avrei potuto accontentarmi di girare a una velocità costante e moderata per il campo. Ma ho preferito complicare le cose...

Ci racconti! In realtà, mi ero accorto che una 4x4 era parcheggiata a mezzo metro da un mucchio di fieno. Per impressionare gli adulti presenti, ho voluto riprodurre una scena di Steve McQueen in La grande fuga, ho dato gas a manetta e ho cercato di superare lo spazio quasi inesistente tra i due ostacoli. L’impresa ebbe successo, ma la gioia che mi procurò la sfida fu proporzionale al ceffone che mi presi rientrando a casa!

Anche nella sua carriera cinematografica pare non le dispiaccia correre dei rischi... Faccio le mie scelte ignorando il più possibile cricche, pressioni e pregiudizi. Alterno film a grosso budget con altri indipendenti, produzioni americane, inglesi, successi al botteghino... e anche dei sonori fiaschi! Alla fine, cerco di mantenere un profilo artistico almeno decente. Non tanto per una carriera più lunga o fulgida, ma per riuscire ad avere anche il tempo di vivere.

Come quando nel 2004 e poi nel 2007 ha inforcato la sua moto e viaggiato per mesi e mesi... La prima volta sono partito con un amico da Londra per arrivare a New York attraversando l’Europa dell’Est, la Russia, la Siberia, l’Asia centrale, l’Alaska e il Canada. Tre anni dopo: traversata longitudinale dal nord della Scozia sino al Sudafrica, al Capo di Buona Speranza. Solo che questa volta, alla vigilia della partenza mia moglie mi ha annunciato che sarebbe venuta con me. Le ho risposto che non c’erano problemi, convinto che intendesse montare sul sellino dietro di me, invece lei ha specificato: «Credo che tu non abbia capito bene. Io voglio guidare la MIA moto!». In sedici anni di matrimonio, tanto per intenderci, mia moglie non era salita nemmeno su una bicicletta. Non riesco a dirvi quanto mi abbia reso felice in quel momento!

Il ricordo più bello del viaggio? Il Sudan e la sua gente. Ho scoperto paesaggi indimenticabili e sorrisi calorosi...

È riuscito a convertire anche le sue figlie alle due ruote? Certo. Mi piacerebbe partire e percorrere l’Argentina, il Sudafrica o la Mongolia insieme a tutta la famiglia, ma bisognerà aspettare ancora qualche anno. Adesso sarebbe davvero impossibile far loro saltare quattro mesi di scuola.

Lei vive a Los Angeles. È più facile crescere dei figli negli Stati Uniti o in Gran Bretagna? Il contesto c’entra poco. Qui l’approccio pedagogico è più hippie, non si drammatizza se un bambino non assimila perfettamente una materia scolastica, si fa tutto il possibile perché possa sbocciare in altri modi. In Gran Bretagna, la pressione è enorme. I professori ti stanno addosso, perché tu possa dare il meglio di te. Io non apprezzo molto questo approccio alla Darth Vader, perché a mio parere i bambini possono trovare la forza e la loro sicurezza con il tempo, facendo esperienze diverse.