Forse il commento più virale di Instagram manderà in crisi il numero più virale del New York Magazine? Forse la prima pagina più esposta della politica sarà la prima pagina più esposta dalle edicole internazionali? Forse le sette parole del settimanale americano avranno un peso mediatico ineluttabile per i prossimi 365 giorni? An entire issue with nothing about Trump (un intero numero che non parla di Trump) titola l’ultimo numero della rivista fondata nel 1968 a Manhattan. A eccezione del titolo, commenta sibillino un lettore, quasi insinuando un’affannatissima corsa al readbait, collega in versione lettura, del più noto #clickbait. Ovvero la declinazione acchiappa-copie dell’acchiappa-like sui social. “Una persona di cui non abbiamo parlato nell’ultimo numero del New York Magazine è Donald Trump”, scrivono su Instagram i social media manager del concorrente da sfogliare del The New Yorker.

“Nel nostro numero Trump-free troverete, però, il racconto di Jessica Pressler sul dietro le quinte della battaglia condotta da Grace Church, una delle più antiche scuole materne di Brooklyn con in atto una rivoluzione; l’intervista di John H. Richardson a Ben Crump, l’avvocato-icona dei casi Black Lives Matter; il focus di Irin Carmon su Shari Redstone, la dirigente dell’impero dei media da 30 miliardi di dollari”, continua la premessa social-e che sa di dichiaratamente schierato. E che, per molti, va automaticamente a schierarsi in quel purgatorio mediatico del bene o male purché se ne parli. Occupare un foglio A4 scrivendo un titolo-avviso in maiuscolo dai colori primari è una strategia di marketing editoriale che, oltre a chiamare l’attenzione fra pile di riviste ammassate sugli scaffali dell’edicolante, chiama l’attenzione sul desiderio giornalistico a-generazionale di vendere quante più copie possibili. Pur calcando la mano (o il polpastrello sulla tastiera capacitiva) sfruttando un personaggio pubblico molto amato, molto odiato, soprattutto molto conosciuto. Così conosciuto da rendere accessibile, e quasi inevitabile, l’acquisto del magazine da parte di chiunque voglia sentirsi superiore agli affaire della politica pop e disfattista, voglia dimostrare agli altri il suo personalissimo je m’en fous della cosa pubblica. Continuando a mordicchiare quella torta gelato su stecco della foto di apertura. La cui colata di cioccolato fuso croccante assomiglia terribilmente a un mappamondo. Continenti alla deriva compresi.

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