Lo stile di Gipi non corre mai sui soliti binari, ma cerca sempre una destinazione diversa, lontana da codici prestabiliti e “fortunati”. Così, stare a vedere come il processo creativo s’impone, trovando un equilibrio perfetto nel dialogo tra tecnica pittorica e parte scritta, è ogni volta un viaggio rivoluzionario. Le tavole del fumettista, scrittore e regista (all'anagrafe Gian Alfonso Pacinotti) raccontano una sperimentazione continua, e oggi sono protagoniste della nuova mostra Gipi. Storie d'artista a Palazzo Blu, a Pisa.

Esporre nella propria città dev’essere proprio una bella sensazione.

Un effetto strano, emozionante. Come lo è stato rivedere tavole che avevo venduto più di 15 anni fa, adesso esposte in queste sale. Le ho sentite al pari di un figlio che se ne va, per poi tornare. Appena entrato mi è salita una nostalgia fortissima, qualche minuto dopo, però, ero diventato tale e quale a mia madre che passati primi minuti d’entusiasmo, iniziava a trovarmi mille difetti.

Il curatore della mostra, Giorgio Bacci, ha messo insieme tavole originali, più di novanta disegni da alcuni dei tuoi maggiori successi: Esterno notte, La terra dei figli, unastoria, Appunti per una storia di guerra.

Lui e la sua squadra hanno fatto un gran bel lavoro. Sai che, nel rivedere i vecchi lavori, ritrovo esattamente lo stesso stato d’animo che avevo quando li ho disegnati? Riconosco le sensazioni, con chi le condividevo, dov’ero. È come riguardare le diapositive di una vita.

È vero che un artista, per creare, si deve crogiolare nella malinconia più sofferta, o sono dei preconcetti scritti con faciloneria?

Con me non funziona esattamente così, no: quando sto male, sto male. Al contrario, la felicità mi rende produttivo, e per fortuna lo sono spesso. Vero è, però, che quella spietatezza di sguardo che mi sale se il mondo diventa nero, è molto utile ai fini del racconto.

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Ci sono dei posti che, rispetto ad altri, ti fanno venir più voglia di disegnare?

I campi intorno a Pisa, lungo l’acquedotto, dove da ragazzo trovavo un’ispirazione prepotente, altro che gli scorci di Roma e Parigi. Partivo la mattina presto a ore improbabili in motorino, con i secchi carichi d’acqua e i pennelli. C’era la natura che mi gridava, e io puntualmente soffrivo: è una sfida che perdi in partenza. Vedi delle luci, dei colori, impossibili da riportare su tela, troppo difficili da riproporre. Ma quella vita intorno, che si lasciava guardare, era meravigliosa.

Com’è che sale l’ispirazione, quando è quella giusta?

È come l’amore vero, nemmeno ci stai a ragionare, lo riconosci subito. Così anche la storia trova la sua forma, imponendosi con forza. Pensa che proprio adesso sto vivendo una sensazione simile, è come se fossi posseduto da un’energia disarmante. Ho già fatto quasi 80 tavole in poco più di un mese, dopo tre anni che cercavo di mettere insieme qualcosa. Allo stesso modo di una donna, quella giusta, te la trovi tra i pensieri e dentro gli occhi appena li apri al mattino per andarsene, forse, quando arriva la sera. Un’ossessione, hai presente?

Eccome. Riesci a vedere un inizio e una fine della storia che crei?

Sì, non parto mai solo da un’idea. Dev’esserci un sentimento di sottofondo, e lo devo trovare, comprendere, devo saperlo spiegare bene, anche a me stesso. Non mi riferisco alla trama, ma a qualcosa che se ne sta nascosto ancor più in profondità. Una volta che ci arrivo, cerco di ricondurlo a dei concetti primari per rendere la comprensione schietta, pulita. Poi, il vestito che ci metto sopra, può anche diventare più complesso.

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Quando disegni e scrivi, pensi alla fruibilità dei tuoi testi?

Ci penso in termini di onestà con chi ha speso dei soldi per comprare un mio libro, e di questi tempi non è certo cosa da poco. Il sentimento e le emozioni devono essere facilmente percepibili. La storia che sto creando adesso è piuttosto articolata, ma immagino di prendere la mano del lettore e accompagnarlo lungo i tratti in salita. Mi sono mosso in uno stato d’animo complesso: quando è morta mia mamma non sono riuscito a capire cosa stessi provando, e questo è diventato un tormento. Così ho iniziato a lavorare al contorno di un uomo dei nostri tempi alle prese con un evento catastrofico. Il problema è proprio la contemporaneità, sanguisuga di emozioni, divoratrice di vita, che non gli permette più di comprendere se stesso. Ho pianto mentre disegnavo quelle tavole, sono sincero. Sto soffrendo come una bestia. Non vedo l’ora di arrivare in fondo.

Il fatto di non replicarsi mai, di stare lontano da un percorso prestabilito, è uno dei tuoi tratti distintivi.

È sempre una battaglia creativa, non sono mai certo di trovare il disegno nell’esatta forma che voglio per poterla raccontare. Poi, in realtà, la storia porta dentro di sé la forma in cui si svilupperà, in modo molto naturale. Una volta che hai qualcosa da dire, scrittura e disegno, giocano alla pari, ballando lo stesso ritmo narrativo.

Chi sono stati i tuoi maestri?

David Tindle, un pittore inglese che conobbi per puro caso all’ufficio postale di Santa Maria del Giudice. Pensa che diventai il suo assistente, affiancandolo nelle richieste più bizzarre. Senza dimenticare poi quel gran disegnatore che è Riccardo Mannelli. Da entrambi ho imparato quanto la passione per l’arte, in tutte le sue forme, può e deve essere tanto assoluta quanto totalizzante. Si parla di urgenza interiore, e non è un caso.

Gipi. Storie d’artista
Pisa, Palazzo Blu, 15 giugno – 13 ottobre 2019

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