C’è un’espressione di cui oggi si abusa molto e nel modo non sempre corretto, ed è “radical chic”. Più di 40 anni fa, invece ricorreva nei discorsi degli americani per esprimere la disapprovazione nei confronti di una storia d’amore piuttosto insolita: quella che univa Jean Seberg e Hakim Jamal. Radical Chic è il titolo di un saggio di costume, ormai cult, in cui lo scrittore Tom Wolfe racconta il fenomeno che portò, negli anni 60 e 70, artisti e celebrità a condividere lotte di classe e di emarginazione delle minoranze a cui non appartenevano. Jean Seberg, la cui storia verrà raccontata nel film Seberg con Kristen Stewart, era una di questi? Forse sì, forse no. L’attrice icona della Nouvelle Vague cosa aveva a che fare con l’attivista Hakim Jamal, coinvolto nei movimenti americani di protesta come le Black Panther, tanto da finire lei stessa - con Jane Fonda - nella lista nera dell’Fbi?

Jean Seberg
sembrava la classica francese dai polsi sottili e quei lineamenti minuti che ti rendono una ragazzina per sempre. Invece era americana, nata a Marshalltown nell’Iowa. Il nonno paterno era però di origine svedese, inglese e tedesca. Arrivato negli Usa nel 1882, aveva cambiato il suo cognome da Carlson a Seberg, in omaggio alle omonime montagne svedesi. La madre di Jane era insegnante e il padre farmacista, entrambi luterani. Jean, nata il 13 novembre del 1938, aveva una sorella maggiore e due fratelli minori, di cui il più piccolo morirà in un incidente d’auto a soli 18 anni. Lei, invece, finite le scuole secondarie, si è iscritta alla University of Iowa per studiare arte drammatica. Questo è il ritratto di famiglia in cui si è formata la complessa personalità di Jean. Era una ragazzina bellissima. Per questo, quando il regista Otto Preminger lanciò un concorso per trovare la protagonista del suo nuovo film – compenso promesso: 150mila dollari -, un vicino di casa dei Seberg iscrisse anche la 18enne Jean. La produzione avrebbe voluto che Preminger scritturasse Audrey Hepburn, per andare sul sicuro. Ma quando Jean sostenne il provino, il 21 ottobre del 1956, fu subito presa, e il casting chiuso. Si erano presentate 18mila ragazze.

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Con Otto Preminger, Jean Seberg girò Santa Giovanna. Partì un battage pubblicitario stressante per la giovane attrice debuttante, tutto ciò che faceva veniva sfruttato per propaganda. Il New York Times racconterà, anni dopo, che al suo arrivo per la première britannica del film era stata fotografata all'aeroporto con un giornale in mano e che il Daily Mail aveva ingrandito l'immagine fino a rendere visibile la poesiola da ragazzina che aveva scarabocchiato sui margini, imbarazzandola. Il film non andò bene, ma il regista non si pentì della scelta e le diede una seconda chance con Buongiorno tristezza. Stavolta andò meglio e le promise che avrebbero fatto altri film insieme, ma non accadde mai. Invece, con Jean-Luc Godard, Jean Seberg girò Fino all'ultimo respiro. E non si fermò più, un film dopo l’altro con registi diversi. Mai osannata troppo per le performance, più presente sui rotocalchi per lo stile di vita bohémien. Sul set di Preminger, infatti, aveva conosciuto il francese François Moreuil, un giovane avvocato e appassionato cineasta con cui si era sposata e stabilita a Parigi. Lì avrebbe raggiunto il successo come eroina dell'amore libero della Nouvelle Vague, ma avrebbe lavorato anche in Italia diretta da Giuseppe Bennati, Nelo Risi Pasquale Squitieri e Alberto Bevilacqua. Nel frattempo, a fare di lei una diva era anche l’eleganza dei suoi movimenti, la noncuranza da parigina con cui emetteva il fumo della sigaretta, i suoi look semplici e sofisticati. Nel 1986 Madonna cercherà di copiarla, col taglio di capelli sbarazzino e i pantaloni Capri, nel video di Papa Don’t Preach. Ma Jean Seberg è inarrivabile.

Invece, chi era Hakim Jamal, l’uomo con cui Jean Seberg intraprese una storica relazione? Jamal si chiamava in realtà Allen Donaldson ed era un cugino di Malcom X. Era nato a Roxbury, vicino Boston, nel 1931, e la sua biografia era comune a fin troppi ragazzini dell’epoca, con la madre che lo abbandonò a sei anni in balia del padre alcolista. Lui stesso iniziò a bere alcolici a 10 anni e provò l’eroina a 14. Sperimentò anche la prigione e il manicomio, dopo due tentati omicidi. Come per molti ragazzi neri dell’epoca, a salvarlo da un destino peggiore era stata la setta islamica militante (così la definivano i membri) Nation of Islam di cui faceva parte anche Malcom X. Con la conversione all’Islam, Allen assunse il nome di Hakim Jamal e diventò un portavoce del Black Power. Tuttavia, quando Malcolm X abbandonò il movimento, Jamal lo appoggiò e, dopo l’assassinio del cugino nel 1965, fondò il suo movimento, US, che intendeva sia United States, sia “noi”. Nel frattempo si era sposato, ma questo non gli impediva di avere relazioni con altre donne. E una di queste era Jean Seberg.

Fu così che alla fine degli anni 60, il nome di Jean Seberg finisce su una lista. Una lista nera. Risulta infatti che una generosa parte dei suoi guadagni viene versata a organizzazioni che l’FBI tiene d’occhio perché sospettate di voler destabilizzare la società americana. Una di queste donazioni, anzi, la somma di diversi versamenti, salta all’occhio più delle altre. Sono gli oltre 10mila dollari che Jean Seberg ha devoluto in più occasioni al Black Panther Party, l’organizzazione rivoluzionaria di autoconsapevolezza dei neri, fondata in California. Al tempo, frequentare neri che si ribellavano alla discriminazione razziale era visto con sospetto dal governo. Quando Jean, in una di queste occasioni, incontrò Hakim Jamal e scoppiò la passione fra loro, c’era qualcuno che prendeva nota di tutto. Quando più avanti negli anni i dossier sull’attrice vennero resi pubblici grazie al Freedom of Information Act, la legge che permette ai cittadini americani di consultare su richiesta le informazioni archiviate dal governo che li riguardano, si leggerà che, secondo gli inquirenti, Jamal aveva plagiato l’attrice coinvolgendola nel movimento. Oggi, chi analizza la figura di Jean Seberg sa invece che quando aveva solo 14 anni, prima di conoscerlo, la futura attrice aveva fatto attivismo in Iowa nella National Association for the Advancement of Colored People, l’Associazione nazionale per la promozione delle persone di colore. Ma negli anni 60 non si prendeva in considerazione che una donna coltivasse spontaneamente degli ideali.

Hakim Jamal In Londonpinterest
Charlie Phillips//Getty Images
Jamal al centro

La relazione fra Hakim Jamal e Jean Seberg non era certo da copertina. Per cui ciò che si sa di loro viene da biografie e da racconti di chi c’era. Intanto, lei si stava separando dal marito. Lui, ancora sposato, cercava di dominarla. Jamal era carismatico, maniacale ed egoriferito, ma non tutti nei Black Panther lo prendevano sul serio e gli avevano affibbiato il soprannome “The Lone Ranger”. Si sa per certo che la moglie di Hakim Jamal, Dorothy, riuscì a trovare il numero di telefono del padre di Jean e gli chiese di convincere la figlia a mollare il marito. Una relazione interraziale, per l’FBI dell’epoca, equivaleva a una provocazione aperta contro il sistema. Tra l’altro, Jean, nella trasgressiva atmosfera della rivoluzione sessuale, non aveva concesso “l’esclusiva” a Jamal, per cui aveva una relazione parallela anche con uno dei leader dei Black Panther, Raymond Hewitt, detto Masai. Era troppo.

Il Bureau diede vita a un programma per distruggere la reputazione dell’attrice. Secondo il New York Times, l’FBI la incluse nel programma Cointelpro che consisteva nel diffamare, molestare e screditare un personaggio fino a una non ben precisa “neutralizzazione”, senza che questo sapesse da dove arrivava la minaccia. L’FBI iniziò a produrre lettere anonime da inviare ai giornali di gossip, firmate semplicemente “Sol”. Una delle strategie prevedeva ad esempio di insinuare che il bambino di cui era in attesa dal secondo marito, il diplomatico e scrittore Romain Gary, fosse in realtà di un esponente dei Black Panthers. La menzogna veniva riferita ai giornalisti come una confidenza che l’attrice avrebbe fatto alla misteriosa fonte anonima. Abboccarono sia il Los Angeles Times che Newsweek. All’uscita dei giornali Jean, a causa dei troppi ansiolitici, ebbe un malore e partorì una bambina prematura, che morì dopo due giorni. Fu costretta a tenere il funerale con la bara aperta, in modo che tutti vedessero che era di pelle bianca. Jean Seberg vinse le cause di diffamazione contro i giornali, ma questo non mise fine al suo calvario.

Secondo le persone che frequentava, a un certo punto si era resa conto di essere al centro di un complotto dei servizi segreti. Veniva pedinata, subiva intimidazioni e intrusioni nella sua vita. Le sue telefonate erano intercettate dalla CIA che mentre era in Francia, in Svizzera, o in Italia la faceva controllare dalle ambasciate americane di Parigi e Roma. Dai dossier risulta che persino il presidente Nixon fosse tenuto al corrente dei suoi movimenti. Quello che non è stato mai confermato è invece il sospetto che anche Hollywood l’avesse messa sulla lista nera, come aveva fatto ai tempi del maccartismo con gli attori sospettati di essere comunisti. Ma a un certo punto, Jean Seberg si vide offrire solo ruoli impossibili da accettare. La stessa sorte stava capitando a Jean Fonda, che però tenne duro e la spuntò. Lei no. Nel 1962 Jean Seberg ebbe un figlio da Romain Gary, Alessandro Diego, ma tenne nascosta la nascita per molto tempo all’opinione pubblica e nonostante fosse nato a Barcellona, lo registrò in Francia. I rapporti col marito si erano guastati. Romain la prendeva in giro pubblicamente per il suo attivismo, lei gli aveva confessato che la bambina morta, che avevano chiamato Nina, non era figlia sua ma del rivoluzionario Carlos Ornelas Navarra, conosciuto mentre girava un film in Messico. Nel 1972, dopo il divorzio, Jean si sposò per la terza volta con il regista Dennis Berry. E poi ancora, dopo aver divorziato nel 1979, sposò l’algerino 29enne Ahmed Hasni. Nel frattempo, il 1 maggio del 1973, Hakim Jamal era stato assassinato da quattro uomini neri che avevano fatto irruzione nel suo appartamento. Aveva 42 anni e la polizia liquidò la faccenda come un regolamento di conti fra fazioni politiche. Era tornato da poco a vivere con la moglie Dorothy dopo che la sua ultima compagna, la modella e socialite Gale Banson, era stata uccisa anche lei un anno prima. Ma questo ormai a Jean importava poco. Lo stress che stava subendo l’aveva minata psicologicamente. Era ancora giovane, ma la depressione la stava tormentando. Ogni anno tentava il suicidio il giorno in cui era morta la sua bimba nata prematura. Una mattina di settembre del 1979, qualcuno si accorge che nel sedile posteriore di una Renault bianca, parcheggiata in una stradina del 16 arrondissement di Parigi, c’è un corpo rannicchiato e avvolto in una coperta, immobile. È la salma di Jean Seberg, di cui l’ultimo marito ha denunciato la scomparsa dieci giorni prima. Ha preso in una volta sola l’intero tubetto di barbiturici che il medico le aveva prescritto per dormire. Aveva solo 40 anni e ha lasciato un messaggio: “non posso più convivere con i miei problemi”. Ahmed Hasni richiederà all’FBI la documentazione sulla moglie e accuserà il Bureau di induzione al suicidio. L’ex marito di Jean, Romain Gary, si suiciderà un anno dopo e specificherà nel biglietto di addio che non si stava uccidendo per il dolore della scomparsa di Jean ma perché non riusciva più a scrivere romanzi. Il loro figlio, Alexandro Diego, vive in Spagna e fa il libraio. Sulla morte dell’attrice perseguitata è rimasta un’ombra di mistero, ed è nel dossier della polizia di Parigi, secondo cui nel corpo di Jean Seberg, al momento della morte, c’era così tanto alcol che non avrebbe mai potuto raggiungere l’auto da sola. Auto in cui non c’era nessuna bottiglia. Forse, non era sola. Forse, non si è uccisa.