L'adolescenza è drammatica, a qualunque latitudine e in qualunque momento storico: e non importa se si cresce a Derry, nell'Irlanda del Nord, durante i Troubles degli Anni 90, la fase finale di un conflitto quarantennale che ha segnato 3000 vittime. Essere un teenager rimane terribilmente più complicato delle guerre nazionaliste, e delle loro oscure ragioni.

Un assunto solo apparentemente semplicistico, quello dietro Derry Girls, serie tv già culto in Inghilterra, e ovviamente Irlanda, dove è lo show più visto dal 2002 – quando, semplicemente, si è iniziato a raccogliere dati di ascolto – che ritorna per una seconda stagione su Netflix proprio oggi (anche se la paternità è di Channel 4). La realtà è che la bravura estrema di Lisa McGee, creatrice della serie e 38enne che ha vissuto, come le protagoniste del serial, la sua adolescenza durante gli anni difficili della guerra tra Unionisti (protestanti che volevano rimanere nel Regno Unito) e i Repubblicani (cattolici che volevano l'indipendenza del Paese), è quella di mostrare l'impatto di quel conflitto, nella quotidianità, con l'ironia caustica e divertentissima, connaturata a quell'angolo di Irlanda.

Come ha spiegato McGee al New York Times, che l'ha intervistata in attesa dell'arrivo della nuova serie: “Mi ricordo tutto come fosse ieri, il cessate il fuoco del 1994; la visita del presidente Clinton (che sarà al centro anche della seconda serie, insieme al concerto dei Take That a Belfast); e il bombardamento del 1998 a Omagh. Ma nella maggior parte dei casi, per me, il problema era dover cambiare strada per andare a scuola, evitando gli allarmi bomba”.

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Al centro della narrazione, in questo caso, ci sono Erin, sua cugina Orla, Claire e Michelle, quattro ragazze che frequentano a Derry, paese al confine con la Repubblica Irlandese, un istituto cattolico guidato dalla suora meno caritatevole sia mai apparsa sul piccolo schermo, Sister Michael (“Se qualcuno di voi si sente ansiosa, preoccupata, o vuole solo fare due chiacchiere, vi prego di non venire a piangere da me”, è il mantra con il quale rassicura le sue ragazze durante un allarme bomba). Al gruppo si aggiunge subito James, cugino inglese di Michelle, spedito nella scuola femminile semplicemente per via della sua provenienza geografica, che gli garantirebbe l'inferno nel collegio maschile, e costantemente dileggiato per una capigliatura invero invidiabile, sicura prova, per la sua sboccata cugina, della sua omosessualità.

Il gruppo naviga in una quotidianità, puntellata da eventi drammatici, dove i cessate il fuoco e i rapimenti condividono la stessa importanza delle cotte adolescenziali verso prelati affascinanti (Fleabag avrà inventato molte cose, ma non ha di certo il diritto di prelazione sul prete in crisi mistica). Se Erin si strugge con la poesia – e non ne fa di certo un mistero, vantandosi della sua vena letteraria quasi tanto quanto faceva Lena Dunham in Girls, risultando, però, meno irritante e compiaciuta – per cercare di conquistare il ragazzo dei suoi sogni, Michelle flirta con qualunque esponente dell'altro sesso si trovi di fronte, ricercando in un'esibita sessualità la patente per l'età matura. I risultati sono quasi sempre catastrofici, ridicoli – come quando il bus scolastico è fermato per un'ispezione dai soldati britannici, e si scende in un universo vernacolare di battute correlate alle armi da fuoco indossate dagli agenti – ma l'identificazione è terribilmente semplice, nonostante tutto.


Sarà forse anche per l'universo familiare, presente al limite dell'oppressione, ma non lo erano tutti i genitori, quando si era adolescenti? La madre che zittisce con uno sguardo qualunque velleità di disprezzo delle regole ( “Non puoi chiamare il Telefono Azzurro ogni volta che tua madre minaccia di ucciderti”, consiglia con la solita calma mistica, e lisergica, la cugina Orla); il nonno che mai ha accettato il genero e continua a minacciarlo di morte quando ci si raccoglie la sera di fronte alla tv; le zie che, chiuse in cucina discutono con la stessa gravità di pettegolezzi locali appresi dal parrucchiere e di rivoluzioni politiche, sono co-protagonisti in questo spaccato di un periodo storico, che non è meno complesso o strutturato di una serie drammatica solo perché è capace di seppellire le brutture delle guerre sotto una risata caustica. E a pensarla così sono anche gli abitanti di Derry, che da gennaio hanno, sul muro del Badgers Bar a Orchard street, un murales alto 10 metri, con le protagoniste del telefilm. La scrittrice Seamas O'Riley, cresciuta anche lei a Derry negli Anni 90, spiega che “il telefilm è la prima forma di pubblicità positiva che Derry abbia mai ricevuto in 20 anni. Mostra un posto noioso, normale, quasi banale, con teenager, discoteche e vicini improbabili. Non è Sarajevo con la gente che dorme nei sacchi a pelo. Derry Girls cattura al meglio lo spirito di un posto indiscutibilmente divertente, che però nel suo passato ha delle profonde cicatrici”.

All'innegabile qualità del prodotto – ancora più necessario in tempi di Brexit e nuove tensioni tra Inghilterra e Irlanda, che nell'Unione europea, invece, vuole rimanere – si aggiunge l'universo estetico, che ricrea i temi preppy, in equilibrio tra le divise scolastiche in tartan, i blazer con gli stemmi, e lemmi più ribelli dell'armadio, le giacche in jeans con i profili in montone – in pieno revival – e il tie-dye – che si spera, invece, non torni mai più. Se l'accento pesantemente irlandese – nel nome di un'autenticità molto apprezzata nel paese di St. Patrick – richiede quanto meno i sottotitoli, la colonna sonora è comprensibile, e tocca le corde emotive di chiunque sia stato adolescente in quegli anni tremendi e bellissimi. Dalla voce nazional-popolare di Dolores O' Riordan e i suoi Cranberries ai ritmi drum'n bass di Jump Around degli House of Pain e gli Ace of Base con All that she Wants ai Supegrass con Alright e gli immancabili R.E.M con Losing My Religion ( o i Blur con Girls and Boys ), la lista è un compendio musicale perfetto della decade.

Derry Girls però non parla solo a chi si è trovato, per dati anagrafici, a vivere quella fase storica, ma, più universalmente, a tutti gli adolescenti che vivono la battaglia quotidiana, e durissima, della costruzione di un'identità, tra fallimenti (molti) e successi (molti meno), con l'aggiunta di un panorama politico, sullo sfondo, incerto e capace di incutere timore. In fondo, non c'è nulla di più contemporaneo degli Anni 90.