Ricordate la frase «Oui, je suis Catherine Deneuve» detta nel claim del memorabile spot anni Ottanta della Lancia Delta Lx, quello dell’auto «a cui piace il successo»? Dopo una breve inquadratura a quella macchina color grigio metallizzato, senza tralasciare né ruote né sportelli, usciva lei vestita di rosso, la sexy – ma con stile - bionda Catherine Deneuve, l’inquietante musa di Roman Polanski in Repulsione e, prima ancora, la Bella di giorno di Luis Buñuel, il film che l’ha fatta conoscere in tutto il mondo, senza dimenticare l’eroina western di Non toccare la donna bianca di Marco Ferreri e molti altri. Oggi è arrivata qui al Lido di Venezia con un abito di pizzo nero e décolletées beige già molto apprezzate dalle patite del genere, perché La Verità, nuovo lungometraggio del giapponese Kore-da Hirokazu che la vede protagonista accanto a Juliette Binoche, Ethan Hawke e Ludivine Sagnier, apre la 76esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Nel film, in uscita in Italia il 3 ottobre per la Bim, è Fabienne, una star del cinema francese circondata da uomini che la adorano e la ammirano permettendole qualsiasi cosa (chi vi ricorda?). Quando pubblica la sua autobiografia, la figlia Lumir (la Binoche) tornerà a Parigi da New York con marito (Hawke) e figlia (una bravissima Clémentine Grenier) per parteciparle all’evento, ma avrà solo (amare) sorprese. L'incontro tra quelle due donne che, da sole, non sono mai riuscite ad arrivare ad avere una risposta e che, invece, insieme, capiscono che possono arrivare finalmente ad ottenerla, si trasformerà presto in un confronto con tanto di verità che verranno a galla, conti (vecchi e nuovi) sistemati, amori e risentimenti confessati.

A colpirvi, sin dalla prima scena in cui sta concedendo un’intervista nella sua bella casa parigina con un grande giardino pieno di piante e fiori ben curati, sarà proprio lei, Catherine Deneuve nei panni di una diva con tutto il suo charme e i suoi eccessi, i suoi “up and down” tra pretese (“questo tè è troppo tiepido”, dirà all’assistente fidato) e risposte che spiazzano, irretiscono, danno conferma di che persona sia, ma – soprattutto – assieme alle espressioni assunte ogni volta, vi faranno davvero molto ridere. “Perché mi sta facendo già una domanda che era già in una mia vecchia intervista?”, dirà allo sprovveduto quanto impreparato collega, poco professionale e fin troppo fan. La Deneuve è convincente, divertente quanto drammatica, “è il simbolo delle femminilità” - dice la Binoche in conferenza stampa – è l’anima vera di questo film in cui - al contrario - se lei non ci fosse, sarebbe piatto come il mare che c’è in questi giorni qui al Lido “omaggiato”, as usual in questo periodo, da un clima tropicale.

“Questo film è molto me stessa”, tiene a precisarci. “Mi sembra di interpretare un ruolo di composizione. Capisco molto questa donna, forte e fragile allo stesso tempo, un personaggio in cui ho messo molto di me stessa, come persona e come donna”. “Questo bisogna farlo sempre quando si recita – aggiunge - perché se così non fosse, sarebbe tutto molto più difficile. Preferisco le cose essenziali e non il superfluo”. Bella e sensuale, ma anche misteriosa (ve la ricordate in Otto donne e un mistero di François Ozon? Se ve lo siete perso, recuperatelo), quasi enigmatica, la Deneuve è sempre stata l'attrice ideale per interpretare i personaggi creati da registi del calibro di Polanski e Truffaut o dei nostri Bolognini, Risi, Monicelli e del già citato Ferreri. Meritatissimo, il primo César come miglior attrice per L'ultimo metrò di François Truffaut e lo stesso vale per il secondo, per Indocina di Régis Wargnier, interpretazione che le valse anche una nomination per l'Oscar. Nel 1998 ricevette proprio qui a Venezia la Coppa Volpi per l'interpretazione di Marianne in Place Vendôme di Nicole Garcia. Coraggiosa, nelle negli amori – da Vadim che la lanciò nel Il vizio e la virtù (era il 19629 a Truffaut fino a Marcello Mastroianni – come nelle sue scelte, lo è stata sempre. Dopo aver visto Le onde del destino di Lars von Trier (1996) ne rimase talmente affascinata da scrivere una lettera al regista danese per chiedergli di poter lavorare nel suo film successivo. E fu così che ottenne il ruolo di Cathy in Dancer in the dark accanto a Björk, presentato a Cannes 2000. Anche lei, poi, proprio come Fabienne nel libro, ne ha scritto uno nel 2005, All'ombra di me stessa (Sperling & Kupfer), una raccolta di diari privati in cui, durante le lavorazioni dei, l'attrice registrava il resoconto della giornata, fuori e dentro il set.

La Vérité – questo è il titolo originale del film che ha aperto ufficialmente il Festival - si ispira a un’opera teatrale che Kore-eda aveva scritto una quindicina d’anni fa. Lui lo avevamo lasciato in Giappone con Un affare di famiglia, Palma d’oro a Cannes nel 2018 e un Oscar sfiorato, e adesso lo ritroviamo qui al Lido dove già era stato l’anno prima con Sandome no satsujin, purtroppo però mai uscito in sala. Un film differente, non c’è che dire, da quelli a cui ci ha abituati, il suo primo passo fuori dai confini giapponesi con un cast di prima fascia e con un trio – Binoche/Deneuve/Hawke – che è decisamente affascinante.

“Una cosa che detesto? Essere definita una macchina che interpreta"

“Una cosa che detesto?”, aggiunge la Deneuve prima di salutarci. “Essere definita una macchina che interpreta. Mi irrita e non poco, perché anche quando ho iniziato, anni fa, io una macchina che interpreta non lo sono mai stata. Sono un’attrice e basta, sono ossessionata da tutto quello che faccio, dal cinema alla cucina. Ho la fortuna di avere un posto dove posso farlo, un luogo in cui posso esprimere tutta me stessa”. Con le macchine, ci ha avuto a che fare solo per quella pubblicità in cui recita il claim divenuto cult per molti e da lei stessa “trasformato” in hashtag lo scorso anno poco prima aver venduto all’asta (De mode et d’amitié, a Parigi da Christie’s) molti vestiti creati appositamente per lei dall’amico stilista Yves Saint Laurent. L’attrice parigina, nata Catherine Fabienne Dorléac, reagì infatti allo scandalo Weinstein “alla francese”, sciovinisticamente ci verrebbe da dire. È divenuta capo di un collettivo di un centinaio di donne secondo le quali “proteggere le donne – precisa - non deve incatenarle a uno status di eterne vittime”. “I maschi sono essenziali così come noi donne, ribadisce, ma basta essere considerate solo vittime”. C’è qualcuna o qualcuno che non è d’accordo?