Quando si divorzia, interviene per sua natura il sistema giuridico, pronto a dividere ancora di più quelle due persone che fino a poco tempo prima erano unite, la famiglia che hanno costruito e, quasi sempre, quelle dalle quali provengono, le proprietà come il tempo. Divorziando, si mantengono le proprie convinzioni e il punto di vista altrui finisce con l’essere offuscato, con non valere nulla, perché, qualunque cosa pensi, dica o faccia l’altro o l’altra, sarà sempre sbagliato per partito preso. Questa mattina a Venezia, dove è in corso la 76esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, vedendo in anteprima Marriage Story di Noah Baumbach - un film Netflix da lui anche prodotto e scritto – abbiamo cambiato idea - o meglio – abbiamo iniziato a vedere le cose in maniera diversa. Nonostante il divorzio, infatti, il matrimonio va avanti, si continua ad essere sposati anche durante il processo e se poi ci sono uno o più figli di mezzo, esso continua anche dopo il divorzio stesso. È molto difficile, ma se ci si impegna, in una separazione si può trovare una storia d’amore.

Nel film di Baumbach – con chiari riferimenti a film dedicati all’argomento ma in maniera completamente diversa da questo (Kramer contro Kramer, ma soprattutto Persona e Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman) - Charlie e Nicole (Adam Driver e Scarlett Johansson), un regista teatrale e un’attrice sposati e con un figlio, decidono di divorziare dividendosi tra New York e Los Angeles. Ad essere aiutati, oltre che dagli amici, parenti e colleghi di lavoro, sono soprattutto gli avvocati della coppia, ed è qui che entra in gioco Laura Dern, mostrandosi in tutta la sua bellezza e bravura. La figlia di due stelle hollywoodiane, Bruce Dern e Diane Ladd, la Sandy di “Velluto Blu”(1986) in cui solo uno come David Lynch riuscì a toglierle quell’immagine acqua e sapone esaltandone invece i lati osceni e sensuali, poi espressi anche in Cuore selvaggio (1990), Inland Empire (2006) e la serie su Twin Peaks, vi colpirà con questo personaggio che già profuma di Coppa Volpi. Bionda, magra e perfetta nei suoi abiti aderenti, entra in scena con tutta la sua fisicità: prima camminando su e giù per lo studio dove sta per ascoltare Nicole/Johansson e poi, per convincerla a diventare la sua assistita, si toglie le scarpe Louboutin mettendosi comoda sul divano, accanto a lei, dicendole che da quel momento in poi dovrà raccontarle le sue esperienze per riuscire a risolvere le sue. Nel fare ciò, come un camaleonte, cambierà continuamente forma tanto che le sue intenzioni resteranno ambigue per tutta la durata del film. Quando farà i complimenti all’oramai ex marito di Nicole, non capirete se a colpirvi sarà più la sua sincerità o la sua strategia. “È una donna forte e determinata, consapevole delle sue competenze e dell’impatto che può avere sugli altri, siano essi clienti o avversari, una donna manipolatrice che vuole vincere a tutti i costi”, ci spiega la Dern quando la incontriamo. Di colpo, sin dalle sue prime battute, una brava analista prima che un ottimo avvocato, diventerà presto la confidente che tutti noi vorremmo avere, poco importa se per il divorzio o meno. “Nora è una che dice ‘io mi prenderò cura della storia che mi racconti e ti supporterò’. Ed è quello che fa con le sue clienti trattandole da amiche, diventando la loro confidente, una donna manipolatrice che dice la verità rendendola complessa e meravigliosa”, aggiunge Laura Dern. Parla di madri in un dialogo che diventerà presto cult – “per me una sorta di grande regalo di Natale, una pura poesia” precisa lei – “perché contiene tra l’altro una riflessione sul fatto che le donne non debbano comportarsi da uomo per emergere”.

Il film inizia con due storie che sono l’omaggio al lui e alla lei della storia, ma sarà proprio con l’entrata in scena dei due avvocati (c’è anche un terzo, che in realtà è il primo scelto da Charlie/Driver, poi abbandonato per un altro più spietato), che le loro storie si trasformeranno. La Dern, nei panni dell’avvocato Nora, dimostra che chi fa un lavoro come il suo a quei livelli, oltre a chiedere un onorario molto alto ( 950 dollari l’ora), è capace di inventarsi una verità pur di ottenere ciò che vogliono. “La realtà è dura e l’onesta non sempre paga”, dirà ad un certo punto del film, e una volta iniziata la battaglia legale – che non doveva essere tale, ma solo consensuale per amore del figlio che la coppia ha in comune – non ci sarà più nulla da fare, sarà impossibile fermarsi e l’unico modo di uscirne sarà quello di andare fino in fondo. È lì che Laura Dern darà il suo meglio con parole, discorsi e arringhe da applausi scroscianti, iniziate sempre togliendosi la giacca (mostrando così ciò che c’è sotto), usando l’intelligenza, non abbandonando mai il suo obiettivo (la vittoria) e alternando spesso tazze di tè fumanti con miele a coppe di champagne. In questa interpretazione dà il meglio di sé, più di quella ne Il dottor T e le donne di Altman o della recente Renata, l’esplosiva donna in carriera di Big Little Lies I e II. Amica da anni del regista, ci confessa che per lei la recitazione è “una ribellione benigna” e che nella vita, ma soprattutto nel lavoro è sempre pronta ad esplorare, a cercare il ritmo giusto per una battuta, a modificare il proprio aspetto fisico, e il tutto per poter ottenere una maggiore credibilità possibile fino a suggerire anche delle battute. Una su tutte, quando farà il suo discorso su Dio che era assente quando è nato Gesù, dirà che la Madonna, in realtà, “non l’ha nemmeno scopata”. Il suo è un monologo incredibile sulla visione complicata della maternità di oggi e su come le donne pensano che le madri debbano presentarsi al mondo rispetto agli uomini. Con lei Baumbach ha creato un personaggio spietato, determinato, manipolativo, ma – soprattutto, precisa lei prima di salutarci - una grandissima professionista, un personaggio di grande importanza per il personaggio interpretato da Scarlett Johansson. “Ha ragione nelle sue decisioni e nell’insieme, riesce a dare molta poesia a questa sceneggiatura e all’intero film, è stato un dono poterci lavorare”.