Scenario: uno dei tanti club di New York in cui si esibiscono giovani promesse dello spettacolo in un contest chiamato Actors Hours. Sul palco c’è la promettente cabarettista Kelly Bachman, che nella sua ancora breve carriera ha già prodotto corti, spettacoli e vinto premi indipendenti. Una da tenere d’occhio, insomma. Kelly ha il microfono in mano, quando si accorge che nel pubblico c’è qualcuno che tutti fanno finta di non vedere. È il produttore Harvey Weinstein, che dopo aver pagato un milione di dollari di cauzione ed essersi dichiarato non colpevole, gira per gli Stati Uniti portando sulle spalle 80 accuse di stupro e molestie sessuali. Solo poche ore prima Evan Rachel Wood, in un tweet che ha raccolto 89 mila like, aveva scritto: “Felicity Huffman è andata in carcere prima di Harvey Weinstein”, riferendosi alla condanna di 14 giorni di carcere inferta alla Lynette Scavo di Desperate Housewives per aver cercato di far ammettere il figlio in una famosa università a colpi di mazzette. Probabilmente Weinstein era lì, indisturbato, per scoprire nuovi talenti da lanciare.

Kelly Bachman però non vuole far finta di niente. Inizia a parlare al microfono riferendosi all’ospite inatteso, che è seduto a un tavolo con diverse giovani donne e due guardie del corpo. Kelly esordisce che: “è compito di noi comici indicare l’elefante rosa nella stanza”. E inizia ad attaccarlo, ricordando a tutti chi è, e cosa ha fatto. Due anni fa, agli albori del #metoo, probabilmente tutte le donne in sala si sarebbero alzate in piedi e sarebbero uscite per protestare della presenza del produttore, che nel frattempo Bachman, raggiunta dai colleghi Amber Rollo e Zoe Stuckles, ha definito un “Freddie Kruger in questa stanza”. A quel punto, invece, Kelly è stata investita da una valanga di fischi e insulti, e non è esattamente quello che ci si aspettava. L’attrice è stata buttata fuori dal locale dalle guardie del corpo del produttore ed è finita così, con Kelly in lacrime confortata da un po’ di donne solidali che sono uscite dietro a lei. Fine.

Non è il primo indizio di una riabilitazione in corso di Harvey Weinstein nell’ambiente dello spettacolo americano. Considerato che in quel tipo di locali underground, in genere il pubblico in sala è composto più da addetti ai lavori che da gente comune, la sensazione è molto forte. Nel 2017 Natalia Robehmed di Forbes si poneva chiaramente la domanda su quanto tempo sarebbe trascorso prima che la vicenda Weinstein sbiadisse lasciandolo tornare al lavoro come prima. La risposta, affermativa, se l’è data lui stesso un anno dopo, e a confidarla alla stampa è stato il famoso conduttore di talent show Piers Morgan che era andato a trovarlo nella clinica in cui si era fatto ricoverare (come atto dovuto) per guarire dall’ossessione per il sesso. Considerato che a 40 anni dallo stupro commesso da Roman Polanski su una ragazzina di 13 anni, una parte di Hollywood ha raccolto le firme per far graziare il regista che, dalla condanna definitiva non ha più messo piede negli Stati Uniti, il sospetto che il #metoo possa essere stato tempo perso comincia a serpeggiare. Tanto che è diventato praticamente impossibile ottenere commenti su di lui da attrici, sia italiane che americane. Si tirano indietro.

Harvey Weinstein Appears In Court On Rape Chargespinterest
Stephanie Keith//Getty Images
Harvey Weinstein

“Forse non tutto è stato inutile”, spiega invece Paola Concia, attivista per la parità di genere, ex deputata e oggi coordinatrice di Fiera Didacta Italia. “Dopo lo scandalo Weinstein, negli Stati Uniti le case produttrici hanno istituito una figura femminile che funge da tutor per assistere e proteggere le attrici da eventuali molestie, per cui qualcosa di positivo è stato fatto; per questo sono sorpresa dal sospetto che Hollywood lo stia perdonando, anche se un problema culturale come quello dei ricatti sessuali sul lavoro, che non riguarda solo lo spettacolo, è difficile da estirpare; in Italia non possiamo proprio giudicare gli americani, visto che qui il problema è stato messo sotto il tappeto. Ma il #metoo ha generato anche fenomeni negativi, la demolizione di un attore come Kevin Spacey che poi non c’entrava nulla. È stata un’onda che ha travolto tutti indistintamente, e forse se ne comincia a sentire l’effetto contrario, facendo dimenticare che si è trattato di un tentativo di contrastare l’abuso di potere dell’uomo sulla donna nel mondo lavorativo e spostando l’attenzione su chi non c’entrava nulla e ne è rimasto vittima. Forse è per questo che Hollywood sembra più morbida verso il produttore. Io spero almeno che anche in Italia vengano istituite le figure di protezione e salvaguardia delle nostre attrici. Ma quello che va combattuto, ripeto, è fenomeno culturale”.

Chi non è stato ancora condannato, dice anche la Costituzione Italiana, è sempre innocente. Ma da qualsiasi punto di vista la si prenda, l’ipotesi processuale che 80 donne abbiano mentito, tra cui Asia Argento, sarà un po’ difficile da dimostrare. “No, riabilitare un personaggio del genere sarebbe una vergogna”, si lamenta la senatrice di Italia Viva Daniela Sbrollini, che nel 2016 è stata una delle firmatarie di un progetto di legge per il congedo mestruale anche in Italia. “Purtroppo tutto il mondo è paese, come si suol dire, alla fine viene sempre colpevolizzata la donna e il potente di turno viene sempre perdonato. È così in tutti gli ambienti: quanta strada dobbiamo percorrere ancora, perché le donne riescano a fare fronte comune su questi intollerabili episodi? Intanto, continuiamo a denunciare sempre”.