Ricordate Sandra Walker, la sexy e giovane moglie del dottor Harrison Ford che nel thriller/mistery Frantic (1988) entra in scena in minigonna, con un chiodo nero, trucco di quegli anni, grandi orecchini a cerchio come se fossero dei mini cd per poi scomparire, improvvisamente, a Parigi assieme a una valigia? Era Emmanuelle Seigner, all’epoca diciannovenne, al suo primo ruolo importante. A dirigerla, colui che sarebbe divenuto l’anno successivo suo marito, il regista Roman Polanski che l’ha voluta poi in quasi tutti i suoi film, da Luna di fiele a Venere in pelliccia (sono sei in totale quelli fatti insieme) fino all’ultimo, L’ufficiale e la spia (J’accuse), già presentato alla 76esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – dove ha vinto il Gran Premio della Giuria – e ora in uscita nei cinema italiani il 21 novembre prossimo per Eliseo Cinema e Rai Cinema.

“In Francia, è stato un successo e in soli cinque giorni l’hanno visto quasi quattrocentomila persone”, ci dice l’attrice, oggi 53enne, capelli lunghi fino alle spalle e sciolti, anfibi neri perfetti per affrontare la pioggia romana e una tuta blue jeans da meccanico che sta bene solo a poche, e lei è tra quelle. “Se così tanta gente ha sentito il bisogno di vederlo, è perché si riconosce in quello di cui parla”, aggiunge. La storia, tratta dall’omonimo best seller internazionale di Robert Harris (Mondadori), è ambientata nel 1895 e racconta il “caso Dreyfus”, uno dei più clamorosi errori giudiziari della storia avvenuto in Francia tra il 1894 e il 1906 e che vide protagonista il soldato ebreo francese Alfred Dreyfus, ingiustamente accusato di essere una spia e quindi processato per alto tradimento. “Se si eccettua tutta questa presenza di tecnologia che abbiamo attorno, dai cellulari ad altro, rispetto a quel periodo sono cambiate poche cose, perché la mentalità dell’uomo è rimasta la stessa, c’è tanto antisemitismo e il rapporto con la verità è falsato”, aggiunge l’attrice. “Sono moglie di un uomo ebreo, abbiamo due figli che lo sono per metà, so in prima persona cosa cosa vogliano dire simili problematiche: l’antisemitismo e il razzismo sono presenti ovunque, soprattutto in Francia che è il nostro Paese”. “L’umanità – continua – fa difficoltà a vivere insieme soprattutto durante un periodo di crisi economica che è quello che stiamo vivendo. Si ha paura del diverso, come scriveva Camus ne L’etranger: lo straniero viene visto come qualcuno che entra a casa nostra prendendoci le nostre cose”.

Una soluzione potrebbe essere quella suggerita dalla scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, che nel suo saggio cult We should be all feminist (Dovremmo essere tutti femministi, in Italia pubblicato da Einaudi), scrive che se c’è un problema – di genere, sociale o altro – dobbiamo risolverlo facendo meglio, impegnandoci tutti. La Seigner è d’accordo con lei e come lei è una femminista della prima ora. “Sono sempre stata femminista – tiene a precisare – sono sempre stata autonoma, ho sempre pensato a mantenermi da sola, a essere indipendente, non ho mai dipeso da un uomo né lo farò mai. Ovviamente c’è femminismo e femminismo, aggiunge, ma io posso ben dire di sostenere il pensiero di Simone Weil sulla donna: sono a favore dell’aborto, della libertà in tutte le sue forme e di nessuna differenza di stipendio tra uomini e donne. Come in tutte le grandi cause, però, c’è sempre chi ne approfitta”.

“Amo gli uomini e l’uomo per me deve essere tale, così come la donna deve essere donna, deve avere gli stessi diritti dell’uomo, ma senza perdere la sua femminilità”. E a proposito delle donne italiane: “Le trovo più femminili di quelle francesi e di quelle americane, non ne ho alcun dubbio”. Il #MeToo, a suo avviso, “ha migliorato molte cose, va benissimo, ma ci sono problemi ben più grandi di quelli legati alle molestie di una o più attrici. Io mi preoccuperei di più per la commessa del supermercato che viene molestata sul luogo di lavoro. Le attrici sono ben protette, diciamolo pure. C’è chi sta peggio di noi”.

E a proposito del suo mestiere, lei lo ha fatto sempre con suo marito, Roman Polanski, al centro di accuse, condanne e poi altre condanne per fatti avvenuti più di venti anni fa fino alle dichiarazioni più recenti di inizio novembre svelate da Le Parisien (Valentine Monnier accusa Roman Polanski di averla violentata nel 1975 quando aveva 18 anni a Gstaad nello chalet del regista ndr). Lei non ne parla, “perché altrimenti nessuno parlerebbe più del film”, ma ci dice che “quell’uomo speciale, esigente e preciso” è il suo uomo e lo ama, oggi come trent’anni fa. “Mio marito ha le sue idee e fa sempre quello che vuole, non sono certo io a convincerlo di fare o non fare una cosa. Da lui ho imparato tantissimo e mi ha dato tanto, ma non sono una donna che dipende dal suo uomo. Lui per me è mio marito, punto. Lo amo, sono libera e indipendente, non sono una che fa la moglie per lavoro”. Poi ci fissa negli occhi, ci tocca il braccio e dice: "La sa una cosa? In realtà è lui che impara da me: questo è il vero femminismo!”. E ride. Se ne va tra baci e saluti e noi la perdiamo un po’ come Harrison Ford in Frantic, ma solo per poco. È al photocall, i fotografi urlano il suo nome, lei si concede a pose eleganti e naturali. Poi torna verso di noi a passo felpato. “Mi scusi, un’ultima cosa: “Tutto passa, l’importante è che resti il film. Tutto il resto svanirà in pochi giorni”.