Nel caso di Federico Fellini (1920-1993) tutto ha avuto inizio da una parola, “sogno”, e da un verbo, “sognare”. Sognava ogni notte, come tutti noi, solo che lui quasi sempre ricordava ciò che aveva vissuto poche ore prima e così, quando non doveva girare un film o vedere altre persone, si richiudeva nella sua “stanza tutta per sé” che aveva nello studio di Corso d’Italia, a Roma, e li disegnava. Su carta di Fabriano, ma anche su pezzi di carta qualsiasi, su fazzoletti e tovaglioli dei ristoranti, raffigurava uomini e donne, tanti oggetti e cose di ogni tipo. Un divertimento, il suo, accompagnato da quello che definiva “un pastrocchiare” tra le pagine, aggiungendo, sovrapponendo, tagliando, integrando, intervenendo con forbici e colla - dalla coccoina alla gomma arabica - usando anche le resine più acide, carta gommata e nastri adesivi i cui componenti chimici, assieme ai residui fisiologici (ditate, saliva e sudore) svolgevano una costante azione corrosiva.

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Il disegno è stato per lui sempre un momento fondamentale della sua arte, scrive Daniela Barbiani, la nipote che è stata la sua assistente alla regia dal 1980 al 1993 negli ultimi suoi quattro film (E la nave va, Ginger e Fred, Intervista e La voce della luna) in Dizionario Intimo per parole e immagini, pubblicato da Piemme. Negli anni Quaranta si mantenne con le caricature a Roma, ma poi il disegno diventò “la sua prima espressione, la più diretta della sua voglia di raccontare”, il primo contatto con il film durante la sua preparazione, il suo modo gioioso di introdursi piano piano nel mondo che iniziava a esplorare e a fissarne qualche idea. Disegnare, continua la nipote, era il suo modo di cominciare il film, di prenderlo per mano, di buttare giù i caratteri e i personaggi che poi sarebbero entrati a far parte del film così come li aveva concepiti, ma era soprattutto una maniera per fare i conti con la sua coscienza, un momento privato per analizzare un sentimento, una fantasia e un sogno. Per uno come lui, il realismo era superiore ai suoi sogni e i sogni stessi erano l’unica realtà, quella da cui partire per raccontarci e mostrarci storie in cui poteva essere solo che un piacere perdervisi dentro. Aveva un rapporto confidenziale con il proprio inconscio e disegnando tirava tutto quello che lo ossessionava, rendendosi disponibile ad analizzarsi.

Daniela Barbiani era una delle poche a cui era permesso di osservarlo mentre era intento a disegnare e a creare quel mondo fantastico di cui lui per primo, in molteplice forme e personaggi, ne diventava protagonista. “In religioso silenzio lo guardavo, spiavo la sua faccia e nello stesso tempo sbirciavo il foglio”, scrive, “al punto tale che quando poi tutto era finito lo commentavamo insieme, facendoci delle grandi e allegre risate”. Molti di quei disegni li custodisce lei e alcuni sono mostrati proprio all’interno di questo libro, compresi quelli erotici. Altri ancora andarono a formare quello che Fellini chiamò il suo Libro dei Sogni, due tomi che il regista sognatore conservava gelosamente in un cassetto del suo studio romano e quello era il suo unico e vero giornale di bordo, il suo diario, una fonte di ispirazione e di riflessione. Quando morì, i due volumi del Libro dei Sogni erano custoditi nel caveau di una banca romana. Enzo De Castro, segretario fiduciario al quale erano stati affidati all’insorgere della malattia, li portò nell’appartamento di via Margutta, ma la moglie Giulietta Masina, senza neanche sfogliarli, disse che si trattava di “cose di Federico”. Non manifestò nessuna curiosità per quei libri né li distrusse anche se avrebbe potuto, ben sapendo che quello era il suo mondo e “il magma ribollente dei suoi film”. Giulietta agì con saggezza, consapevole che quei due libri contenevano raccontini e disegni che, seppure concepiti in sogno, si prestavano facilmente alla strumentalizzazione e allo scandalo, non solo per il contenuto intimo e sessuale di tanti bozzetti, ma perché coinvolgevano noti personaggi ancora in vita che avrebbero potuto soffrire dal trovarsi esposti alla curiosità morbosa di un pubblico impreparato. Se fosse stato ancora vivo, il discorso sarebbe stato di natura artistica e pittorica ed egli stesso avrebbe provveduto alla tutela degli interessati gestendone ogni aspetto. Fu per questo che la Masina decise di avvolgerli dentro un foglio di carta da pacchi, legati con uno spago e riposti al sicuro nel caveau di una banca di via Veneto senza mai prendere in considerazione le offerte che le arrivarono per lettera da Mondadori e da Rizzoli (allora ancora separate) di acconsentire alla pubblicazione dietro un compenso co di un miliardo di lire come minimo garantito sui diritti d’autore.

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Quei due libri hanno avuto poi una vita autonoma nel corso degli anni e dopo varie vicissitudini, il Libro dei Sogni è stato pubblicato proprio da Rizzoli nel 2005. Di recente, poi, nell’anno del centenario del regista Premio Oscar per La strada e Premio Oscar alla Carriera, quel libro prezioso è stato ripubblicato in una nuova edizione a cura di Sergio Toffetti in collaborazione con Gian Luca Farinelli e Felice Ludadio, uno speciale e coloratissimo viaggio negli sterminati territori della fantasia di un genio, un’opera che ha aggiunto un fondamentale tassello allo studio della sua esperienza creativa. Un libro unico, pubblicato in collaborazione con il Comune di Rimini, i cui volumi originali, ora custoditi nel Museo della Città, saranno esposti nel Museo Internazionale Federico Fellini, che inaugurerà a breve. Nel frattempo si susseguiranno documentari, speciali, servizi, scritti, libri e quant’altro su di lui. Da non perdere, su tutti, il documentario Sky Arte Fantastic Mr Fellini', l’omaggio che Wes Anderson ha deciso di rendere a uno dei suoi registi preferiti, scritto e diretto da Francesco Zippel, un viaggio nell’anima dell’essere umano, un po’come quei disegni dei suoi sogni che sono un archivio generale della sua vita, l’incursione proibita nel laboratorio segreto di un mago.

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