Tristemente, incredibilmente, improvvisamente se n'è andato Kobe Bryant.

TMZ, la testata statunitense di flash news, ha riportato Domenica mattina per prima la tragica notizia poi confermata da tutti i media nazionali e internazionali: la leggenda Nba e dei Los Angeles Lakers è morta in un incidente in elicottero mentre sorvolava il sud della California, diretto a un allenamento di pallacanestro insieme alla figlia 13enne Gianna Maria e ad altre sette persone. Nessuno è sopravvissuto all'impatto con il suolo.

Uno shock che ha paralizzato tutto il mondo, cestistico e non, lasciando tutti in lacrime e senza parole.

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Ronald Martinez//Getty Images

Kobe Byrant (41 anni) ha scritto pagine indelebili del gioco della pallacanestro, entrando nella Nba con il famoso draft del 1996 direttamente dal liceo e diventando presto uno dei giocatori di riferimento della sua generazione, forse il più iconico, leggendario, vincente. Soprattutto devoto ad una sola franchigia, i Lakers di Los Angeles, con cui ha giocato tutta la carriera e per 20 stagioni, con il ritiro arrivato alla fine dell'annata 2015-2016.

Campione Nba per tre volte consecutive tra il 2000 e il 2002 quando, ancora giovane e con il numero 8, aveva già iniziato a dominare la Lega insieme al suo compagno di squadra Shaquille O'Neal, il Black Mamba aveva poi vinto con il numero 24 sulle spalle altri due titoli nel 2009 e nel 2010 in tandem con il lungo spagnolo Pau Gasol arrivando a un solo anello da Michael Jordan, da sempre il suo obiettivo, la sua ossessione, il suo metro di paragone.

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Ad allenarlo in tutti e cinque i campionati vinti coach Phil Jackson, insieme al coach del liceo Gregg Downer l'unico capace di incanalare nella giusta direzione la passione sfrenata, la competizione feroce e l'etica lavorativa insuperabile di un talento raro, elegante, puro.

Dopo aver conquistato record su record, tra cui la seconda prestazione offensiva migliore di sempre con gli 81 punti segnati contro Toronto nel 2006, due Mvp delle Finali e uno stagionale e i 33.643 punti in carriera per il quarto posto nella storia dell'Nba - superato proprio ieri da LeBron James, con cui si era congratulato sui social -, dopo i due ori olimpici con la nazionale a stelle e strisce e l'ultima partita prima del ritiro chiusa a 60 punti, Kobe aveva proseguito il suo cammino di successo anche fuori dal campo di basket.

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FREDERIC J. BROWN//Getty Images

Marito di Vanessa e padre di quattro figlie tra cui Gianna Maria, deceduta nell'incidente, attivo sia come business man, autore letterario e produttore cinematografico, milanista convinto e dotato di un italiano fluente grazie ai trascorsi nel Bel Paese al seguito del padre giocatore pro, Kobe era riuscito a vincere un Oscar per il miglior cortometraggio d'animazione nel 2018 con "Dear Basketball", basato sulla poesia che aveva condiviso con il mondo per annunciare il suo ritiro dal basket giocato.

Una lettera che racconta tutta la passione infinita che Kobe nutriva per il suo sport e che vi invitiamo a rileggere. Una lettera che, indirizzata direttamente alla "sua" pallacanestro, si concludeva così:

"Ci siamo dati entrambi tutto quello che avevamo.

E sappiamo entrambi, indipendentemente da cosa farò,

che rimarrò per sempre quel bambino

con i calzini arrotolati

bidone della spazzatura nell’angolo

5 secondi da giocare.

Palla tra le mie mani.

5… 4… 3… 2… 1…

Ti amerò per sempre,

Kobe"

Che la terra ti sia lieve, Black Mamba.

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