Un anno fa, l’Oscar come miglior attore è andato a Rami Malek per la sua interpretazione di un cantante realmente esistito e defunto, Freddie Mercury. Quest’anno, l’Oscar come miglior attrice molto probabilmente andrà a Renée Zellweger per la sua interpretazione di una cantante realmente esistita e defunta, Judy Garland. Il film, Judy, esce il 30 gennaio in Italia: Renée, la ex Bridget Jones, qui è magrissima e malata, fragile come la vera Judy alla fine della sua vita breve e intensa. Interpretazione mimetica perfetta, classico banco di prova per attori di talento e che, come dimostrano le statistiche, porta spesso a ricevere i più importanti riconoscimenti.

Pierfrancesco Favino sarà certamente candidato ai prossimi David di Donatello per la sua interpretazione di Tommaso Buscetta ne il Traditore. Ed è possibile che la cosa si ripeta ai David del 2021, per la performance in Hammamet, dove Favino è Bettino Craxi. Intanto, agli Oscar 2020 ci sono altre nomination per attori nei panni di persone vere, per esempio quelle di Anthony Hopkins e di Jonathan Pryce che, ne I due Papi, sono Ratzinger e Bergoglio.

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Lo stesso vale per le serie televisive. Olivia Colman ha raccolto premi e nomination (e continuerà a farlo) per la sua regina Elisabetta di The Crown, così come era successo a Claire Foy (stessa serie) e, ancor prima, a Helen Mirren (per il film The Queen). Si tratta sempre di lavori da fuoriclasse perché il rischio della macchietta (detto in Italia anche “effetto Bagaglino”) è sempre dietro l’angolo. Più il personaggio viene riproposto e più rischi si corrono, pensate ai molti Berlusconi del cinema e della tivù italiana, dal Caimano (Elio De Capitani) a Loro (Toni Servillo) alla serie 1994 (Paolo Pierobon). Quale funzionava di più? Per me Pierobon ma altri preferiscono Servillo o De Capitani. Ognuno è diverso ed è giusto che sia così perché la somiglianza, naturale o indotta dal trucco, non basta.

Per esempio, Natalie Portman è solo una delle molte interpreti di Jacqueline Kennedy sullo schermo ma la sua performance, nominata all’Oscar, in Jackie di Pablo Larraín era notevolissima, aveva un’anima, non solo precisione nei gesti e nella voce. La Edith Piaf di Marion Cotillard (premio Oscar) in La vie en rose è un esempio di mimesi totale, escluso il canto: Cotillard non cantava, muoveva le labbra in sync esattamente così come non cantava Rami Malek al posto di Freddie in Bohemian Rhapsody. Taron Egerton, l’Elton John di Rocketman, canta davvero, invece. Meglio lui o Malek in playback? Personalmente preferisco Egerton ma non perché sa anche cantare. Perché lo trovo meno somigliante ma più autentico.

Steve Jobs è stato fatto due volte al cinema: una da Ashton Kutcher molto simile al vero fondatore della Apple, ma senza carisma e in un brutto film. La seconda volta lo ha interpretato un attore che non solo non gli somiglia per niente ma non è nemmeno ricorso al trucco prostetico: Michael Fassbender. Eppure, secondo me, Fassbender ha trovato una sua chiave di lettura: la freddezza, l’irritazione emotiva del personaggio che lascia addosso un gran disagio allo spettatore per tutto il film. Altro esempio: nemmeno Jesse Eisenberg somiglia a Mark Zuckerberg, eppure in The Social Network ha messo tutta la nevrosi, la timidezza, la rabbia e l’intelligenza dell’inventore di Facebook.

Chi riesce nel difficile compito di attraversare la sottile linea rossa che separa una normale imitazione da una vera interpretazione, è da standing ovation.

Il trucco prostetico, tecnica che ormai è diventata sopraffina, aiuta? Certo. Il Craxi di Favino. Già solo in fotografia, potrebbe ingannare i suoi parenti stretti. Ma un trucco troppo identico all’originale è anche una maschera che, in un certo senso, “nasconde” l’attore e il suo talento. Pensate al premio Oscar di due anni fa, Gary Oldman/Winston Churchill ne L’ora più buia. O alla grande Meryl Streep in The Iron Lady, altro premio Oscar. Sì, rappresentava una Margaret Thatcher più vera del vero, però Meryl, come Gary e come Pierfrancesco, non hanno bisogno di troppi orpelli: sono formidabili anche quando recitano “solo” con la loro faccia. Poi, si capisce, il trasformismo è divertente, è come tornare bambini, quando si fa “giochiamo che io ero”…

Cate Blanchett, che ha recitato di tutto, da Katharine Hepburn a Bob Dylan (!!!) mi ha detto una volta: ”Sparire completamente dentro i personaggi è la cosa che amo di più di questo lavoro. Il trucco e i costumi servono, certo, ma la vera risorsa, la motivazione, la devi trovare dentro di te, altrimenti non c’è magia, solo tecnica”.